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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Quella meditazione che non fa bene al Capitale

 

In questi giorni ho riletto un articolo uscito qualche tempo sulla rivista Internazionale, intitolato “La meditazione che fa bene al capitale”1 e scritto da Ronald Purser. Questo stimolante “secondo incontro” mi ha spinto a scrivere un breve commento, il cui intento non è quello di criticare in toto l’opinione espressa dall’autore, ma piuttosto quello di porre l’accento su alcuni elementi, senza considerare i quali non è possibile giudicare adeguatamente la questione da lui sollevata.

Secondo Purser alcune pratiche di origine orientale, riconducibili in Occidente al movimento della Mindfulness, sono state di recente assorbite e strumentalizzate dalla mentalità capitalista. Grazie alla Mindfulness gli individui diverrebbero “inoffensivi”, ovvero meno sensibili al carattere alienante del lavoro svolto e quindi potenzialmente non sovversivi nei confronti del sistema. Ciò sarebbe possibile grazie alle pratiche di rilassamento, introspezione e concentrazione, tutte tecniche che hanno per obbiettivo il focalizzare l’attenzione sull’istante presente. L’applicazione regolare di precisi esercizi spirituali comporterebbe infatti dei benefici psicofisici immediati (primo tra tutti la diminuzione dello stress) ed aiuterebbe i soggetti ad accettare maggiormente la realtà. Essi si adatterebbero perciò perfettamente al modello di società voluta dal Capitale, una società in cui quello stesso capitale continui indisturbato ad alimentare se stesso. I cittadini di una siffatta società sarebbero troppo occupati a pensare al proprio benessere nell’istante presente per opporvisi, cosa che invece presupporrebbe l’esistenza di un soggetto vigile nel “qui e ora”, memore del passato, critico nei confronti del presente e capace di agire nel futuro per il bene della collettività.

Gli esercizi di Mindfulness non sembrano distanziarsi molto da quelli dei grandi maestri della filosofia ellenistica, come Epicuro e Seneca2. Anche le pratiche orientali come lo yoga e il buddhismo zen esortano i singoli ad intraprendere percorsi di meditazione i cui esercizi permettono di avere accesso al tempo presente, liberandosi dalle fluttuazioni dell’animo3. Sia ad Oriente che ad Occidente focalizzarsi sul presente sembrerebbe essere ancora oggi il giusto pharmakon per anime inquiete. Ma è davvero possibile comparare le pratiche odierne a quelle del passato?

A nostro avviso, però, la domanda che l’osservatore dovrebbe porsi prima di giudicare la Mindfullness e altri fenomeni di introspezione che hanno conosciuto larga diffusione negli ultimi decenni è un’altra. Concentrarsi sul presente implica necessariamente l’assunzione di un atteggiamento passivo nei confronti della realtà? Siamo convinti che sia necessario rivedere il rapporto che gli individui intrattengono con la temporalità e con il contesto in cui vivono prima di pronunciarci a favore o contro un determinato tipo di pratica che ha per fine il benessere, il bien-être.

Secondo Erich Fromm, il nostro modo di parlare del tempo rivela il rapporto che intratteniamo con il tempo stesso. Così nel linguaggio comune associamo spesso il verbo “avere” al tempo (diciamo per esempio: “non ho tempo”, “vorrei avere più tempo”, ecc.) perché siamo convinti che il tempo sia un oggetto a sé stante che è possibile utilizzare o dominare. Concepire il tempo come “entità esterna” significa intrattenere un rapporto inadeguato con esso. Tale relazione tradisce il tempo nella sua essenza poiché questo, come già intuito da Agostino, non esiste senza un soggetto che lo percepisca, ma scaturisce dal rapporto intimo e immediato che colui che è intrattiene con l’hic et nunc.

Applicando la prospettiva marxista all’ambito psicologico ed esistenziale, Fromm sostiene che l’errata concezione del tempo è il prodotto della società stessa in cui viviamo. Il sistema economico capitalista avrebbe condotto ad una modalità esistenziale fondata sull’avere, modalità che implica il possesso, il dominio e la sopraffazione in qualsiasi ambito. Una società siffatta condurrebbe inevitabilmente alla violenza, alla guerra e a sentimenti di odio, invidia, rabbia, tristezza e alienazione tra i suoi componenti. Ciò comporta anche una relazione consumistica nei confronti del tempo, il quale viene concepito come “oggetto” misurabile e mercificabile, non come dimensione dell’esistere.

Fin qui l’analisi dell’autore sembra compatibile con le tesi espresse da Purser. Si ha infatti l’impressione che la strumentalizzazione delle pratiche meditative si inserisca perfettamente nella lunga lista di processi di sfruttamento di cui è capace il capitalismo. La mercificazione della meditazione avrebbe quindi il proprio fondamento nell’errato approccio che l’individuo moderno intrattiene con la temporalità. Tuttavia ciò che manca nell’articolo di Purser, è quello che ritroviamo invece in Fromm, il quale, dopo aver diagnosticato i sintomi del male, indica anche il suo necessario rimedio.

Secondo Fromm, non esiste solo la modalità dell’avere, ma anche quella dell’essere, la quale ci consente di stare nel reale in modo autentico. È questo l’approccio che è necessario adottare se vogliamo vivere in modo consapevole e felice. Colui che sceglie l’etica dell’essere vive nel presente: egli non ha il tempo, ma è nell’istante, in una dimensione che trascende il tempo e che si fa eternità. Ed è qui che sorge una prima importante distinzione tra quelle pratiche di concentrazione “che fanno bene al capitale” e le reali pratiche meditative. Le prime offrono semplicemente una fuga nell’istante, mentre le seconde insegnano a vivere nel presente. Nelle prime l’attimo è la risposta ad un preciso stimolo che può essere riattivato senza limiti e senza alcun riguardo per il contesto fisico o socioculturale in cui ci si trova (potenzialmente in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, come per esempio al lavoro, a casa, in viaggio, ecc.). Nelle seconde invece non si tratta di consumare un momento di evasione, ma di proseguire con coerenza un cammino di lunga durata che investe ogni aspetto dell’esistenza: in questa prospettiva la relazione con il presente è per forza di cose inserita nel flusso della vita quotidiana poiché contribuisce a cambiarla di continuo.

La principale critica che solitamente viene rivolta alle pratiche introspettive fa riferimento alle derive individualistiche che queste comportano. Secondo un pregiudizio difficile da scalfire ancora oggi, l’individuo che concentra la propria attenzione su di sé e sull’istante vive separato dal mondo e si disinteressa delle dinamiche comunitarie4. Tuttavia le cose non stanno affatto così. Essere, sostiene Fromm, non significa condurre la propria vita all’insegna dell’isolamento, dell’autocompiacimento e della passività. Al contrario assumere la prospettiva dell’essere nel tempo significa ritrovare se stessi e gli altri grazie ad un percorso di consapevolezza che si realizza durante l’intera vita. Il sentimento che sorge nell’individuo che è nel tempo è la gioia; colui che vive nella gioia è portato alla condivisione e alla solidarietà. Essere si traduce in una reale “attività”, che non è il vano affaccendarsi, ma l’agire creativo che privilegia la qualità, perché il “fare” è diretta manifestazione di un modo di esistere.

Se le cose stanno così, com’è stata possibile la strumentalizzazione delle pratiche orientali? Come dimostra l’articolo di Purser, si tratta purtroppo di un fenomeno reale, dai contorni ben definiti.

A nostro avviso il problema risiede soprattutto nell’operazione di sradicamento realizzata dagli agenti del Capitale. Le tecniche poste alla base della Mindfulness sono state strappate dal contesto culturale e spirituale in cui erano sorte e sono state poi utilizzate quali meri strumenti, sganciati completamente da una qualsiasi finalità etica5. È fondamentale invece comprendere che non basta “concentrarsi” sul presente per effettuare una rivoluzione del Sé6. La vera trasformazione o metamorfosi del sé che porta all’esistenza consapevole e all’azione responsabile nel collettivo deve inserirsi in un percorso coerente sorretto da una visione filosofica globale7. Quello che rende pericoloso l’uso di qualsiasi mezzo è la mancanza del quadro storico, filosofico e specialmente etico che ha dato vita al mezzo stesso. Ecco perché le pratiche di Mindfulness non sono comparabili alle pratiche meditative associate alla spiritualità orientale o antica.

L’esercizio spirituale non può, e a nostro avviso non deve, essere dissociato da quell’iter conoscitivo che dovrebbe essere l’orizzonte di senso di ogni individuo; la meditazione nelle sue molteplici forme deve essere uno strumento a servizio di ideali più alti che vanno a confluire in una precisa visione del mondo8. Essere nel tempo presente non significa né “averlo” né “esserci” per qualche momento ogni settimana “indipendentemente da”; l’“essere” nel tempo è il mezzo attraverso il quale viene condotto un cammino di trasformazione globale del Sé che ci rende migliori esseri umani e di conseguenza anche migliori cittadini. Dal nostro punto di vista mettere a fuoco le diverse forme di “meditazione” esistenti, individuandone i presupposti, i quadri teorici in cui si inseriscono e i fini che le caratterizzano, consente di distinguere e di giudicare ciascun fenomeno in modo adeguato.

La meditazione, quella vera, non fa affatto bene al Capitale; essa è al contrario un valido strumento per allontanare gli individui dalle logiche consumistiche del nostro tempo poiché favorisce ed alimenta, così come un’attenta educazione, un atteggiamento vigile. Ciò è valido a condizione che l’attività meditativa sia inserita all’interno di una cornice gnoseologica ed etica, in cui lo sguardo cerca e vede il Vero poiché lo vuole. Da tali presupposti dovrebbe derivare non solo il benessere, ma anche la consapevolezza dei singoli. Dal nostro punto di vista la meditazione non offre un sicuro baluardo contro le perversioni della modernità9; tuttavia, se inserita nella struttura conoscitiva adeguata quale mezzo in vista di un fine etico, essa ci dà perlomeno l’opportunità di difenderci dalle insidiose iniziative del Capitale.



 

1 Internazionale del 17/23 gennaio 2019, n°1341 - anno 27. L’autore dell’articolo, Ronald Purser, è docente presso la San Francisco State University.

2 Rispetto alle pratiche orientali che si applicano sia alla mente che al corpo, gli esercizi spirituali ellenistici si basano sull’uso esclusivo della ragione (visualizzazione, concentrazione, ecc.).

3 Il secondo yoga sutra definisce lo yoga come “la sospensione delle fluttuazioni della mente”. PATAÑJALI, Yoga sutra, aforismi sullo Yoga, Giunti, 2008.

4 Questo sarebbe, secondo l’analisi di Purser, uno dei motivi per cui il Capitale si interessa alle pratiche meditative.

5 Un fenomeno simile è riscontrabile anche in ambito terapeutico. In La crisi della Psicoanalisi Fromm analizza le cause che hanno portato ad una strumentalizzazione delle tecniche psicoanalitiche. Dal suo punto di vista una società incentrata sull’avere non ricerca il vero cambiamento che un lungo percorso di accompagnamento può e dovrebbe comportare, ma tenta di eludere la trasformazione servendosi di terapie di diverso genere. Queste danno l’impressione al soggetto di risolvere i propri problemi senza in realtà rimettere in questione la realtà in cui egli vive. FROMM E., La crisi della psicoanalisi, Mondadori, Milano, 1979.

6 Carl Gustav Jung sostiene che l’individuo deve necessariamente intraprendere un percorso di introspezione di lunga durata che lo conduca a costruire una relazione intima e consapevole con il proprio Sé. Cos’è il percorso di individuazione descritto nel Libro Rosso (o Liber Novus) se non una particolare esperienza meditativa per entrare in contatto con una modalità autentica nel presente? E cosa comporta tale lungo e impervio percorso se non un cambiamento radicale dell’Essere dal punto di vista gnoseologico e esistenziale? JUNG C.G., Il Libro Rosso, Edizione studio, Bollati Boringhieri, Torino, 2017.

7 Questo spiegherebbe come mai molti dei frammenti che compongono il Tao te Ching riguardino l’arte del “buon governo” e non solo il raggiungimento della felicità per il singolo. In quest’opera la saggezza sembra intimamente connessa all’utilità collettiva. LAO TZU, Tao te Ching, Mondadori, Milano, 2017.

8 FROMM E. Avere o Essere?, p. 126, Mondadori, Milano, 1980. Su questo aspetto Fromm concorda appieno con la visione che P. Hadot espone a proposito del ruolo che gli esercizi spirituali assumono nelle filosofie ellenistiche. HADOT P., La filosofia come maniera di vivere in Esercizi spirituali e filosofia antica, p. 155-167, Einaudi, Torino, 2005.

9 Facendo leva sull’etimologia del termine “perversione”, con l’espressione “perversioni della modernità” intendiamo riferirci a tutti quei fenomeni che deviano la coscienza e il corpo verso obbiettivi non adeguati al raggiungimento della reale serenità intellettuale e corporea.