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NUMERO  7 - 2020
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Tommaso Campanella tra Rinascimento e Controriforma

 

 

Immanenza e concetto della natura

Giovanni Gentile individua nel concetto di Natura “il gran concetto in cui finisce il Rinascimento italiano” e “il concetto fondamentale della filosofia di Campanella”1. Chiediamoci subito: di quale natura si tratta? Certo è una natura lontana mille miglia dalla natura dello scienziato moderno. Gentile precisa nella stessa illuminante pagina della sua Storia della filosofia italiana come essa sia stata intesa da Telesio e da Bruno. Potremmo aggiungere che Campanella non intende con la sua idea rinascimentale la natura come l’insieme dei fenomeni ma come un soggetto vivente, un ente dotato di potenze e di virtù, cioè si colloca in uno stadio pre-galileiano e pre-kantiano della filosofia della natura, uno stadio in cui sono presenti notevoli componenti magico-religiose, astrologiche ed esoteriche, delle quali Campanella, come indica la documentazione relativa ai processi, si dilettava e in cui la natura materiale, comprese le stelle, diventa un soggetto senziente che è oggetto della scoperta di segreti2, cioè è un’entità vivente e organica dotata di sensibilità di tipo animistico. Malgrado la distanza, d’altra parte da lui stesso dichiarata pur nel suo sostegno a Galilei, dalla concezione scientifica galileiana della materia e della natura, che si evince dal rifiuto esplicito della matematizzazione della natura, Campanella segna indubbiamente passi importanti nel processo di transizione alla concezione moderna del mondo.



Gnoseologia e metafisica

Gentile colse nel pensiero di Campanella l’unità di gnoseologia e metafisica, che si fondono entrambe nel concetto rinascimentale di Natura. Così la teoria campanelliana della cognizione afferma i diritti della coscienza di sé, che per il pensatore di Stilo è il fondamento della conoscenza certa della realtà:

Noi possiamo dire di esserci e di guardare perciò e conoscere come che sia il mondo, in quanto siamo per noi, ci sentiamo, sappiamo di essere. Essere e saper di essere sono lo stesso. Notitia sui est esse suum. Il mio essere è il mio conoscermi. E l’essere delle altre cose? Per me, il mio stesso conoscerle”3

Dunque in primo luogo il senso di Campanella, che coincide con lo stesso pensiero, cioè con la coscienza di sé, è, diversamente che in Telesio “l’avvertimento di uno stato interno (perceptio passionis)”4, cioè è inteso attivamente; in secondo luogo esso è la cognizione del particolare e rappresenta, secondo la lettura di Gentile, in un precorrimento della dignità vichiana del certo. Così interpreta Gentile:

Il senso per lui è pensiero, avvertimento di uno stato interno (perceptio passionis); ma è pensiero che si rivolge al singolo, al concreto, al particolare, al certo, come dirà Vico, che in questo punto, e in altri, continua Campanella direttamente e senza soluzione di continuità”5

Per Gentile, la cui lettura degli scritti di Campanella è volta alla ricerca di anticipazioni, precorrimenti e continuazioni in una compatta visione unitaria della storia della filosofia, Vico “continua”, cioè sviluppa teoreticamente il pensiero di Campanella, ivi compresa la dottrina delle tre primalità della metafisica campanelliana: posse, nosse, velle, la cui struttura triadica è alla base della sua ontologia trinitaria di derivazione agostiniana6.

Gentile articola il suo assunto in termini tali da collegare i principi della filosofia di Campanella al loro sviluppo interno in quella di Vico :

Giacchè il conoscere è prima di tutto poter conoscere; e conoscere viene ad essere poi un fare, operare. Giacchè chi sa, fa: e non può fare chi non sa; e chi non sa non ha fatto: Dio, perciò ‘primo ingegniero’ (come pur ripeterà Vico)”7

Dunque Gentile anziché riconoscere il motivo trascendente e metafisico presente nella dottrina delle tre primalità divine di Campanella vede in essa un precorrimento e un elemento d’origine della concezione vichiana del vero-fatto.

Nel saggio “La prima fase della filosofia vichiana” dei suoi Studi vichiani8 rileva infatti come l’equazione di conoscere e fare fosse un luogo comune della tradizione platonica italiana, ad esempio presente in Gerolamo Cardano. Si tratta di quel platonismo, accolto secondo la sua traduzione nel neoplatonismo, di cui furono fortemente imbevuti sia Giordano Bruno (come si evince sia dagli scritti di mnemotecnica che dal dialogo De la causa principio e uno) che Tommaso Campanella.

Dio Artefice del mondo, lo conosce perfettamente, mentre l’uomo può conoscere soltanto, analogamente al suo creatore, le cose che crea. L’uomo è il produttore dei suoi veri. L’opposizione tra il sapere divino, intrinseco alla natura, e il sapere umano, estrinseco e superficiale, condurrà Vico, secondo Gentile, dapprima allo scetticismo della sua prima metafisica, poi alla Scienza Nuova del mondo umano e alla nuova metafisica della mente. Lo stesso concetto vichiano della Provvidenza che si realizza nella storia sembra al Gentile essere preannunciato e anticipato da quello di Campanella, “secondo la legge dell’eterogenia dei fini”9.

In queste riflessioni e ricostruzioni storiografiche non v’è dubbio che Gentile faccia tesoro dell’interpretazione spaventiana del pensiero di Tommaso Campanella, su cui ci soffermiamo ora brevemente. Bertrando Spaventa opera una netta distinzione in Campanella, tra il nuovo e il vecchio, che a suo dire il filosofo di Stilo si sforzava di conciliare in sintonia con la Restaurazione cattolica, cioè con la Controriforma. Nella valutazione del filosofo hegeliano il nuovo non era poca cosa, costituiva anzi un importante passo avanti nella storia della filosofia europea:

[In Campanella] “è affermato per la prima volta il principio della soggettività, fondamento della filosofia dopo il medio evo: quel principio per cui la filosofia sa di essere autonoma e di derivare dalla ragione; sa che la coscienza di sé, è momento essenziale del vero; e che il pensiero, causa e principio di sé, è essenza e misura del tutto, né si può ammettere autorità esterna in cui si riconosca”10

In Campanella Spaventa riscontra la presenza, benché ancora distinti e contrapposti, dei due indirizzi del pensiero moderno, l’empirismo (il principio dell’esperienza interna di Locke) e il razionalismo (il valore del soggetto di Cartesio). La gnoseologia di Campanella gli sembra confermi tale interpretazione.

In Campanella la notitia abdita, che deriva dal sensus inditus si modifica per effetto della notitia addita, acquisita (che appartiene al sensus additus).

Gentile sottolinea in Spaventa la scoperta del dualismo ancora presente negli scritti di Campanella o meglio l’incapacità di risolvere l’antinomia tra immanenza e trascendenza in campo gnoseologico:

E lo Spaventa li addita nelle due teorie campanelliane della notizia abdita che è notitia sui, e della notizia addita che è notitia aliorum: inconciliate e inconciliabili così come si trovano in Campanella, ma contenenti profondi accenni di verità elaborate lentamente nella storia della filosofia moderna”11.

La collocazione del pensiero di Campanella si presenta così in una luce nuova, nella ricostruzione di Spaventa, perché in essa sono contenuti in germe i due filoni della filosofia moderna, il razionalismo e l’empirismo. Prima di tutto è presente in Campanella il principio stesso della soggettività, dell’autocoscienza, che è il fondamento della filosofia moderna, come principio della coscienza di sé e dell’attività o spontaneità dello spirito, che culmina nel soggetto cartesiano (il Cogito). Lo Stilese infatti afferma che notitia sui est esse suum: la notizia di sé diventa il criterio di certezza incrollabile del pensiero, perché non si può dubitare che io sono, infatti se non fossi non potrei dubitare. Campanella trae da questo assunto delle conclusioni impegnative, di ordine metafisico: “Certissima sunt haec tria nobis: nos esse, scire, velle” (“Queste tre cose sono le più certe per noi, che noi esistiamo, conosciamo, vogliamo”). Il contenuto della notitia sui è una verità di ordine metafisico, costituita dai tre principi originari dell’essere, le tre primalità, l’essere, il conoscere, il volere, che sono oggetto di un’ampia e dettagliata trattazione nella Metafisica di Campanella12. Le tre primalità risultano essere il contenuto della notitia sui e sono iscritte a livello strutturale in ogni ente dal punto di vista ontologico. Rispetto alla componente naturalistica telesiana del suo pensiero giovanile, nella Metafisica(Metaphysica1623)Campanella rivaluta profondamente l’indirizzo neoplatonico e patristico, in particolare agostiniano, nella sua concezione di Dio, del mondo e dell’uomo.



Campanella e il pensiero moderno

Un argomento importante di studio della filosofia di Campanella riguarda il rapporto effettivo con il pensiero moderno, segnatamente con Cartesio e con Kant. Come si è visto sopra Bertrando Spaventa puntava a ridurre le distanze e le differenze tra Campanella e il pensiero moderno. Giovanni Gentile, invece, nel suo saggio13 pone in dubbio che Cartesio abbia ripreso direttamente qualcosa da Bruno e da Campanella. Infatti la notitia sui è senso. Campanella afferma infatti, sulla scorta di Telesio e della sua scuola (Sertorio Quattromani), il valore dell’esperienza sensibile, su cui fonda la scienza delle cose umane e naturali, cioè del finito. Nella teoria del concetto (o della cognizione) Campanella intende la cognizione del particolare come sensibile, mentre quella di Cartesio è l’idea chiara e distinta, percepita con evidenza intellettuale. Nella Metafisica Campanella afferma che se sentiamo è certo che sentiamo e sappiamo (il sentire coincide con il sapere) e nel De sensu rerum et magia riduce lo stesso intelletto al senso, le cui impressioni sono conservate dalla memoria e dall’immaginazione, nelle nozioni-simulacri più languide e lontane dalla vivezza delle impressioni del senso sino a parlare di “sensitivo discorso” e di “sillogismi percettivi”. Spaventa interpreta senz’altro la concezione del sensus sui come soggettività, cioè come presenza dell’Io nel sentire, che è anche il criterio della certezza, perché ci fa conoscere non un oggetto esterno ma l’essere stesso cui è interno il conoscere. L’autocoscienza (il senso di sé) in questa interpretazione trionfa sullo scetticismo e sul dubbio che inficiano la notizia addita, aggiunta dall’esterno in quanto affezione prodotta in noi dagli oggetti esterni. Il sensus sui è invece un principio originario, un’attività conoscitiva originaria in quanto sensus inditus, cioè innato. Il si fallor sum agostiniano viene dunque tradotto in termini campanelliani in “io che sento, sono”. Io sento perché mi sento e sento di sentire. La scientia illata, riferita agli oggetti esterni, presuppone dunque la scienza innata e originaria di sé, l’autocoscienza. In condizioni normali, però, mentre si sforza di appropriarsi della conoscenza del mondo esterno il sensus inditus, innato, rimane nascosto (abditus), celato persino al soggetto della conoscenza. Questo è anche il motivo per cui l’anima non conosce immediatamente sé stessa. La sua conoscenza delle cose passa attraverso l’alienazione e il patire consapevolmente l’azione degli oggetti esterni, cioè essa si conosce attraverso la conoscenza di ciò che è diverso da sé. La conoscenza che l’anima ha di sé stessa d’altra parte non è discorsiva, ma essenziale e intrinseca, di tipo intuitivo, in quanto l’anima ama se stessa e conosce se stessa : notitia sui est essesuum, appunto. Questa conoscenza originaria di sé, della propria esistenza, coincide con la primalità della potenza di essere, di cui è essenziata, al pari delle altre due primalità, la sapienza e l’amore (la volontà di essere). In altri termini le conoscenze delle cose esterne (superadditae) occultano e fanno obliare la conoscenza essenziale di sé. Chiarisce Campanella: “l’anima quasi cade nell’oblio di sé e nell’ignoranza, poiché è sempre agitata dalle forze delle cose estranee”14. Per Campanella dunque la certezza si trova soltanto nel senso. Il sentire è propriamente la coscienza di sé, l’unità del pensare e dell’essere, del vero e del fatto, del soggetto e dell’oggetto. L’altro aspetto che qualifica la posizione gnoseologica di Campanella è la distinzione che introduce tra il sensus additus, che è passività (scrive nel De sensu rerum et magia “Saepe patitur homo quae non sentit”15) e il sensus abditus, il quale, come si è visto, è nascosto, occulto e originario, ma opera indipendentemente come senso di sé o puro atto, non passione, com’era ad esempio in Bernardino Telesio) ma percezione della passione16. Il senso acquisito ci offre la conoscenza dell’essere oggettivo, il senso delle cose che limitano l’io e occultano il senso nostro mutandolo in quelle17. Poiché il senso acquisito altro non è che una modificazione del senso innato e nascosto in tale gnoseologia l’oggettività esiste soltanto nell’essere dell’io. In altre parole, l’oggettività si colloca oltre la certezza dei fenomeni che sono apparizioni semplici delle cose. La certezza originaria concerne qualcosa che non è mero fenomeno, ma principio universale e fondamento della vera cognizione. Ecco le caratteristiche del principio della soggettività enunciato da Campanella: il principio di una pura relazione con sé stessi, dell’intimità e dell’infinità dell’io. Conoscere equivale per Campanella a sentire la realtà e non si può conoscerla se non si ha coscienza di sé, mentre quella fenomenica è una conoscenza derivata e avventizia, pur se necessaria alla cognizione. Infatti io posso, so e voglio non tutto, ma sempre qualcosa di determinato e limitato. Accanto all’essere che è coscienza di sé e conoscenza vi è il limite del non-essere e dell’ignoranza. Per Spaventa questa scoperta della teoria della cognizione in Campanella è un primo momento di quel processo che condurrà alla scoperta kantiana dell’appercezione o Io trascendentale, identità di pensiero ed essere nella coscienza di sé, cioè nella spontaneità dell’io. Kant, infatti, secondo l’interpretazione spaventiana, risolve nel suo sistema trascendentale l’empirismo astratto e l’altrettanto astratto razionalismo, rappresentato da una parte da Locke, dall’altra da Wolff, che continua Cartesio. Spaventa intravede un rapporto diretto Campanella-Kant, intendendo esplicitamente il sensus sui come precorrimento dell’appercezione trascendentale kantiana. E’ evidente che la lettura spaventiana della gnoseologia e della metafisica di Campanella sottovaluta i limiti del soggettivismo campanelliano e le differenze radicali con il cartesianismo e il suo principio dell’evidenza razionale.



L’anima e la struttura trinitaria della realtà

Il risultato della gnoseologia campanelliana è inficiato infatti dal dualismo della sua psicologia filosofica, dalla concezione di un’anima creata, immateriale e immortale (la mens), che è organo della religione, accanto all’anima naturale e materiale “caldo spirito sottile e mobile”18, comune all’uomo e alle bestie e che sarebbe dotata del doppio senso, innato e acquisito. Siamo di fronte ad un dualismo insuperabile tra lo spiritus (o sensus) e la mens (intesa come un potere divino e incorporeo, essenziato dalle tre primalità, che potenzia intrinsecamente il processo verso la verità). Si tratta di una discordia incomponibile tra il naturalismo telesiano e lo spiritualismo agostiniano. La mente conserva infatti le caratteristiche della facoltà del divino e dell’universale platonico, che dovrebbe fondare la religione nello spirito il cui atto è intuizione del vero, mentre l’anima naturale percepisce l’universale aristotelico. Nel suo antiaristotelismo Campanella è però coerente e si mostra vicino alle posizioni di Bruno. Egli rielabora il concetto di potenza, estendendolo oltre i limiti posti da Aristotele, in aperta critica con la sua tesi circa la superiorità dell’atto rispetto alla potenza, la quale invece viene intesa attivisticamente come potenza produttiva dell’ente e diventa causa agente19. Identifica l’azione con lo stesso agente20 e la potenza di essere con lo stesso agire. La potenza di essere precede ogni altra specie di potenza, sia essa attiva, passiva od operatrice su di sé. Campanella raggiunge qui la critica antiaristotelica di Giordano Bruno che puntava alla potenzialità infinita. Ma cerca di armonizzarla con la metafisica neoplatonico-agostiniana21. La definizione di potenza che egli mette a punto è palesemente neoplatonica: la potenza di essere, che precede ogni altra potenza, si conosce dall’azione che si produce, dalla diffusione dell’essere che è potente. “Si dice infatti potente ciò che è capace di diffondersi, amplificarsi e moltiplicarsi”22. Effondere e amplificare la propria entità, il proprio essere, è proprio della potenza attiva, che è abbondante di essere23. Riveste ai suoi occhi importanza soprattutto la potenza di agire su di sé od operativa, non studiata da Aristotele. Con essa si conserva sé stesso in sé. Il primo Ente sussiste di per sé, e dunque esiste sempre, mentre gli altri ricevono l’essere da lui. L’ente effettivo, in quanto è prodotto, è circoscritto dai limiti della sua natura. Questo limite è il non-essere. La stessa creazione che fa nascere dal nulla l’ente lo pone nei limiti del non-ente. Dio, da parte sua, è inteso neoplatonicamente come “il primo ente onniabbracciante e unificante i diversi modi di essere nell’unico gran mare dell’essere in cui vivono, si muovono e sono”24.

Come possono agire gli enti? Perché hanno un’informazione, una notizia di sé, il senso del proprio essere. L’agire, che deriva dall’essere, e il conoscere sono indisgiungibili. Essere e sapere sono indisgiungibili. Il sapere di sé è un principio costitutivo, essenziale, dell’esistenza di sé: “la sapienza è il principio dell’essere e del conservare l’essere”25. Tutti gli enti conoscono sé stessi perché amano se stessi, scrive Campanella:

con una conoscenza nascosta innata, e non acquisita; essa è principio originario di essere, ossia essenzialità, primalità, come la potenza e l’amore; e in verità, se tutte le cose amano il proprio essere, lo conoscono pure con una conoscenza naturale, come lo amano con un amore naturale”26 (p. 131).

Ma l’essere implica la volontà di essere, di estendere la propria essenza, cioè l’amore, che riveste un ruolo centrale nella concezione campanelliana della Trinità. L’amore è construtturale all’ente, insieme alle altre due primalità, l’essere e il conoscere:

Noi non compiamo un’opera, se non vogliamo o non sappiamo o non possiamo; l’opera viene compiuta a fine di estendere l’essenza; dunque l’essenza consta della volontà o amore, come della potenza e della sapienza.27



Dal pansensismo al neoplatonismo emanatistico

Da quanto fin qui esposto risulta che il disegno teoretico di Campanella è ardito: l’innesto sulla concezione telesiana della natura (pansensista, ma con esclusione in Campanella del materialismo atomistico e fortemente caratterizzata dall’animismo mutuato dal platonismo rinascimentale) di una metafisica neoplatonica-agostiniana che fa delle primalità la struttura stessa della realtà. E’ grazie alle primalità (posse, nosse, velle) che l’essere è dialettizzato, personalizzato, vive ed è cosciente in virtù della vita trinitaria. Nelle creature alle istanze positive delle primalità si mescolano i controprincipi dell’impotenza, dell’insipienza e dell’odio, che derivano dal non-ente e compongono insieme all’entità maggiore e minore di essere l’esistenza naturale28. Naturalmente i controprincipi possono essere compresi soltanto a partire dai protoprincipi che li generano. Sono i limiti dei composti metafisici costituiti dagli enti finiti. Il non-ente (Nonens) in nessun modo esiste secondo sé, ma nell’ente finito che limita e divide dagli altri enti finiti. L’essenza viene limitata all’essere dell’esistenza che partecipa del non-essere29. Campanella stabilisce il primato dell’essenza sull’esistenza e utilizza nella sua riflessione sulla composizione dei finiti l’idea neoplatonica di partecipazione, che si dà sia positivamente che privativamente, cioè negativamente. I protoprincipi sono infusi negli enti, ma essi sono limitati dai controprincipi. Sempre impostata sulla tradizione neoplatonica e critica dell’aristotelismo è la concezione di Dio come essere e causa finale delle cose. Dio si rappresenta soprattutto come luce soprannaturale, che trascende la luce corporea30. L’anima umana emana dalla luce divina. Essa, dice Campanella, richiamandosi più volte nel corso dell’opera ad Agostino e a Dionigi Areopagita, è la luce del padre dei lumi, che abita in una luce inaccessibile31. Nella Terza parte della Metafisica Campanella espone la teoria dei cinque gradi in cui si esplica l’attività divina verso il mondo, a partire dal mondo degli archetipi ovvero delle idee nella mente divina, che sono modelli esemplari a partire dai quali le cause agenti conoscono e producono le cose, al mondo spirituale angelico, al mondo matematico dello spazio, al mondo materiale corporeo, al mondo determinato spazialmente secondo caldo e freddo, che si sviluppa secondo le magne influenze delle tre primalità: la Necessità, il Fato e l’Armonia. Siamo molto lontani dall’impostazione telesiana dell’opera giovanile La filosofia dimostrata con i sensi (1592) e collocati nel pieno di una visione neoplatonica della realtà che recupera temi medievali come il mondo angelico, il suo potere e la sua organizzazione e il problema del destino dell’anima umana. L’anima è intesa da Campanella primariamente non come spirito sensitivo e corporeo, spiritus, quanto come mens sovrannaturale e spirituale che ha origine “mediante un’emanazione ineffabile” da Dio32 ed è perciò, in quanto infusa da Dio, appartenente al mondo spirituale, che ha oggetti e fini di ordine superiore, come Dio, gli angeli, le idee e la beatitudine. E’ evidente in conclusione che la mente corrisponde all’intelletto intuitivo che coglie gli universali platonici per immediata illuminazione. Campanella stesso d’altra parte rinvia alla concezione ermetica del nous, la facoltà che collega la facoltà di intellezione dell’uomo con l’intelletto divino33. La mens soprannaturale, celeste scintilla divina che Dio infonde in noi, viene aggiunta allo spirito sensibile o anima naturale che abbiamo in comune con le bestie, e non può esser ridotta alla definizione aristotelica di forma del corpo, perché non dipende dalla materia e dal temperamento, ma da Dio come la luce dipende dal sole. La distinzione di valore è ordinata gerarchicamente:

L’anima dunque umana si appella mente quella che Dio infonde, quella che con le bestie abbiamo commune, spirito” 34

L’anima sovrannaturale o mens immessa da Dio abita nello spirito corporeo e mobile umano in cui è “involta”, ma essa è superiore ad esso. Soltanto essa può essere considerata la forma dell’intero corpo, pur abitando principalmente nello spirito senziente. Sono proprio questi limiti, come è costretto a riconoscere lo stesso Spaventa, i motivi per cui Campanella resta il filosofo della Restaurazione cattolica35. Questa definizione regge pur se ammettiamo che la dottrina dell’anima sovrannaturale (o mente) si presenti come un’aggiunta e un’appendice all’altra, che coincide con lo spirito senziente, senza intima connessione con essa, o considerandola un espediente per sottrarsi a processi inquisitoriali, che pure furono intentati numerosi a carico del pensatore di Stilo. Il progetto del pensatore di Stilo, di armonizzare il concetto rinascimentale di Natura con l'altra componente del Rinascimento, il platonismo, risulta problematico.




Note con rimando automatico al testo

1 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, a c. di E. Garin, Sansoni, Firenze, 1969, I, p. 238.

2 T. Campanella, Il senso delle cose e la magia, Melita, Genova, 1987, Libro III (ristampa dell’ed. di A. Bruers, Laterza, Bari, 1925).

3 G. Gentile, op. cit., I, p.359.

4 G. Gentile, ivi, ibidem. Si tratta di un punto chiave su cui Campanella supera Telesio, già nella sua prima filosofia più vicina a Telesio come evidenzia lo stesso Gentile. V. G. Gentile, “Tommaso Campanella nella storia della filosofia” (1920), in Id., Studi sul Rinascimento, Vallecchi, Firenze, 1923, p. 227.

5 G, Gentile, Storia della filosofia italiana, cit.,I, p. 359.

6Che sia uno nellasostanza e trino nelle persone, appare dalla seconda parte di quest'opera,dove mostriamo che l'ente primo consta di potenza, sapienza e amore infiniti, e che la sapienza procede dalla potenza, e che l'amore procedente da questi due è in quello, onde procede, altrimenti non sarebbe possibile processione, e che quello, onde alcunché procede, trovasi in quello che procede, altrimenti non procederebbe identico, ma altro da sé. Abbiamo infine dimostrato che le tre primalità essenziano un ente uno”. (T. Campanella, Metafisica, in Opere di Bruno e Campanella, Ricciardi, Milano-Napoli, 1956, p. 1187). Forti consonanze ha questa concezione con quella di Agostino nel De Civitate dei e nel De Trinitate.

7 G. Gentile, op. cit. I, p. 360. o

8 G. Gentile, Studi vichiani, in Id., Storia della filosofia italiana, cit., I, p. 382.

9 G. Gentile, Tommaso Campanella, in Id., op.cit., I, pp. 360, 361.

10 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, cit., II, p.682, cfr. B. Spaventa, Rinascimento, Riforma, Controriforma, Venezia, La Nuova Italia, 1928, p.33.

11 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, cit. p.683. E. Cassirer ha evidenziato il dissidio che è alla base della filosofia nonché della personalità di Campanella, tra naturalismo e metafisica. Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, vol. I. Melita, La Spezia, 1983, p. 229-30.

12 T. Campanella, Metafisica, a c. di G. Di Napoli, Zanichelli, Bologna, 1967, vol. 2, dove l’Autore si diffonde nell’analisi sistematica delle tre primalità (pp. 60-201). Gli attributi e le persone divini sono intesi come proprincipi originari di tutte le cose, che intrattengono tra loro rapporti di coimplicazione. Lo schema trinitario coinvolge tutti gli esseri.

13 G. Gentile, op. cit., ed. cit., p. 698 sgg.

14 T. Campanella cit. in G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari, ed. dig., 2014, Cap. 4 par.4.

15 T. Campanella, De sensu rerum et magia, Genova, 1987, I, 4 p. 12.

16 T. Campanella, op. cit., ed. cit., p. 8. V. supra nota 4.

17 T. Campanella, Metafisica, ed. cit., I, 8, art. 1.

18 T. Campanella, De sensu rerum et magia, ed.cit., I, 4, p.11.

19 Cfr. T. Campanella, Metafisica, Zanichelli, Bologna, 1967, vol. 2, p. 81.

20 T. Campanella, op.cit., cit., p.83.

21 T. Campanella, op.cit., p. 63.

22 T. Campanella, op, cit,, ibidem.

23 T. Campanella, op.cit., p. 65.

24 T. Campanella, op.cit., p.77.

25 T. Campanella, op.cit., p.89.

26 T. Campanella, op.cit., p.131.

27 T. Campanella, op. cit. vol 2, p. 145. Tra le primalità sussiste un rapporto di implicazione: la circumsessione, cioè la processione interna ed essenziale dalla potenza alla sapienza e da entrambe l’amore. (cfr. op. cit., p. 163-167).

28 T. Campanella, op. cit., pp. 188-191.

29 T. Campanella, op.cit., p.195.

30 T. Campanella, op.cit., p. 293.

31 T. Campanella, op.cit., p.295.

32 T. Campanella, op.cit., I, p. 147.

33 Ermete Trismegisto, Corpus hermeticum, Rizzoli, Milano, 2002, Asclepio, 7, pp. 303 sgg.

34 T. Campanella, Del senso delle cose e della magia, Laterza, Roma-Bari, 2007, cap. 30.

35 B. Spaventa, Opere, Sansoni, Firenze, 1972, II, p. 501 e Id., Rinascimento, Riforma e Controriforma, cit., p.22.