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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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L’Uno e l’individuo in Giordano Bruno

 

 

Giordano Bruno non è soltanto il filosofo-martire del Rinascimento italiano1 secondo la celebre definizione di Giovanni Gentile. In realtà Giordano Bruno supera i tempi e le epoche storiche e assume nella storia della filosofia, la funzione di un paradigma dell’essere filosofo, della missione del filosofo.

Rilette a distanza di tempo i Dialoghi italiani e il Candelaio appaiono come opere in cui la sovrabbondanza e il turgore barocco della prosa esprime un’inarrestabile Pulsione Desiderante e la maestria di chi conosce dall’interno il Gioco degli elementi e le strutture su cui poggia il divenire del mondo.

Molto interessante per comprendere la concezione del mondo, del tempo e degli eventi di Giordano Bruno è la Dedica del Candelaio “Alla signora Morgana” nel quale l’autore fa questa dichiarazione, che è anche la sua professione di fede filosofica:

“Il tempo tutto toglier tutto dà: ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo”2.

Vi si ritrova il motivo antico, lucreziano de nihilo nihil fit certamente ma soprattutto una nuova concezione del tempo, che smentisce la concezione lineare e l’irreversibilità del tempo come divenire inafferrabile che tramonta nel passato. La mutazione degli enti è dal punto di vista bruniano soltanto un cambiamento di forma, di apparenza, non di natura e di essenza. La sostanza che rende possibile questa variazione e cambiamento degli enti, che però non può cambiare o mutare forma in quanto unità di tutte le forme è lo stesso Uno o l’Intelletto divino artefice, che Bruno pensa come il motore stesso del movimento e della vita dell’Universo infinito, la sostanza che ne fonda l’esistenza.

Non è un caso che, fedele a questo motivo neoplatonico dell’Uno inteso come fabbro del mondo Bruno abbia eletto quale motto della sua filosofia il celebre detto dell’Ecclesiaste (Qohelet) biblico: “nihil sub sole novum”. In effetti in una molteplicità che è animata e ridotta al Divino Intelletto che la plasma dall’interno non possono darsi né creazione né cambiamenti qualitativi di essenza.

Il che significa che il manifestarsi di Dio, che è la stessa esplicazione ed espressione dell’essenza divina, costituisce il passaggio da un’unità assoluta ad una diffusione-moltiplicazione nella quale l’essenza di Dio si presenta tutta dispiegata nella “infinita genitura” dell’universo infinito. La generazione dall’Uno esclude la creazione cristiana e il pluralismo ontologico (ivi compreso il dualismo platonico) così come la possibilità di qualsiasi aggiunta o sottrazione all’essere. In questo circolo o rivoluzione dall’Uno alla molteplicità della natura, che ascende poi di nuovo al suo principio nulla si perde e nulla si conquista. Ogni singola manifestazione, ogni increspatura alla superficie del gran mare dell’essere rimanda immediatamente al Principio che vi si dispiega. Il significato degli eventi viene meno di fronte a questa interna formazione e trasformazione (cambiamento di forme apparenti) incessante.

Sembra essere questo il senso dei versi bruniani seguenti:

“E il medesimo garbuglio
medesme tutte sorti a tutti imparte”3

 

Il determinismo nelle determinazioni dell’Uno nello svolgimento del suo stesso principio configura una radicale immanenza. Al tempo stesso realizza in filosofia il massimo del vitalismo nell’esaltazione della Natura come manifestazione divina.

Si è voluto vedere in questa “processione” ispirata anche alla dialettica plocliana, in cui il molteplice esce dall’Uno una ripetizione della visione neoplatonica di Plotino. La differenza tra i due continenti di pensiero non potrebbe essere più netta, in quanto la filosofia di Plotino nega l’esperienza sensibile e il divenire naturale.

In effetti la visione bruniana dell’universo, in cui ogni punto è centro di una circonferenza infinita e noi possiamo al tempo stesso affermare che è la stessa cosa volare di qua al cielo, che dal cielo qua e “non altrimenti calcamo la stella e siamo compresi dal cielo”, è quella di un movimento rappresentato, per usare la bella espressione riferita a Spinoza, “ut pictura in tabula”, vale a dire semplicemente dipinto, un’espressione fissata, cristallizzata, del movimento reale. A Bruno non interessa celebrare il divenire, ma l’energia vitale divina che lo produce e riproduce. Questa visione del cosmo ha delle conseguenze pratiche molto importanti. La contemplazione del Tutto nella sua multiforme manifestazione, retta da un unico Dio in essa immanente (“Deus in rebus”) ha per Bruno soprattutto un valore liberatorio dal timore della morte e dall’ansia suscitata dalle circostanze contingenti dell’esistenza (il caso, l’imprevisto, il timore della giustizia sovrannaturale), perché in questa immagine del cosmo nulla realmente muta in essenza e nessun frammento dell’essere muore. Il cieco spavento della morte, infatti, scrive nello Spaccio

“non già …s’accoste dove l’inespugnabil muro della filosofica contemplazione vera circonda, dove la quiete de la vita sta fortificata e posta in alto, dove è aperta la verità, dov’è chiara la necessitade de l’eternità d’ogni sostanza; dove non si dee temere altro che d’esser spogliato dell’umana perfezzione e giustizia che consiste nella conformità de la natura superiore e non errante”4


L’impegno del Nolano è teso alla liberazione degli uomini dal timore e dall’ansietà per le cose future e per le cose ultime. Fa appello al Logos cosmologico greco e conferisce una forte connotazione stoicheggiante ad una filosofia che, come quella platonica e neoplatonica, vuole riformare, e per questa via liberare, l’intero uomo e non semplicemente coltivare la mente e la conoscenza dell’intelletto. Si tratta di altrettante linee portanti della rivoluzione filosofica bruniana che, dietro l’aspetto di una riflessione cosmologica anti-aristotelica in una dichiarata difesa delle ragioni del copernicanesimo, nient’affatto evidenti al suo tempo, si lancia alla conquista dell’universo grazie all’energia sorgiva dell’eros filosofico. Scrive in una delle opere latine:

“Alla mente che ha ispirato il mio cuore con arditezza d’immaginazione piacque dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso….Così, io sorgo impavido a solcare con l’ali l’immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti […] mentre mi sollevo da questo mondo verso altri modi lucenti e percorro da ogni parte l’etereo spazio, lascio dietro le spalle, lontano, lo stupore degli attoniti”5.

Questo eros filosofico od eroico furore, che consente di fendere i cieli aristotelici ed ergersi all’infinito, guidati dalla mens (intelletto) che secondo la tradizione ermetica accolta dal Bruno, sola può aprirci la strada alla comprensione dell’immensità dell’infinito. Questa ascensione in direzione dell’Uno di natura contemplativa guadagna la sua mèta attraverso una gradualità di tappe che procedono dal senso, l’organo della conoscenza del limitato e del finito, alla conoscenza riflessa e rendono possibile l’approssimazione all’Uno sino alla completa fusione con esso. La simmetria è perfetta. Il descensus dall’Uno produce le cose, l’ascensus è teso alla cognizione di esse nell’Uno e per l’Uno. Entrambi i processi coincidono e costituiscono un medesimo carattere in cui la realtà si afferma.

Rispetto allo schema plotiniano Bruno sottolinea il valore dell’individualità, in modo tale che, come è stato giustamente osservato “la gradualità dell’ascesa è nel Bruno plotiniana e insieme fondata sull’intuizione del valore reale dell’io, posto, insieme, come negatività dell’Uno”6

Particolarmente nell’opera De umbris idearum Bruno si preoccupa di mettere a punto la sua teoria della conoscenza, in modo tale che il principio ontologico dell’Uno, comune al neoplatonismo, divenga il principio dell’affermazione individuata manifestata variamente dallo spirito umano, in fondo alla quale, immanentisticamente, esso si costituisce come unità, realizzando la sintesi mediatrice di immediato sensibile e di mediazione intellettiva, di molteplicità e di unità.

Nel Sigillus sigillorum, opera di mnemotecnica e di gnoseologia pubblicata in Inghilterra nel 1583, Bruno accentua ancor più l’immanenza dei gradi superiori dell’ascensus contemplativo in quelli inferiori. Essi sono il senso, che verte intorno ai corpi, l’immaginazione che si occupa delle immagini dei corpi o simulacri, la ragione, che si occupa delle specie intelligibili dei simulacri e l’intelletto che concerne l’Uno, inteso come la natura comune delle singole specie sensibili.

Sollevandosi dalla molteplicità del piano sensibile all’unità dell’intelletto si realizza una graduale e progressiva identificazione del soggetto conoscente con l’oggetto conosciuto. A queste quattro distinzioni di gradi Bruno aggiunge una molteplicità di sotto-gradazioni che tendono ad accentuare l’immanenza dei gradi superiori negli inferiori e l’immanenza dell’atto intellettuale, o Uno, via via nei gradi inferiori dell’essere, Così ogni forma di luce rinvia ad un’unica fonte, che è anche la vita che vivifica tutte le cose. Leggiamo nel Sigillo dei sigilli:

“Una sola luce illumina tutte le cose, una sola vita vivifica tutte le cose discendendo secondo determinati gradi dalle superiori alle inferiori ed ascendendo dalle inferiori alle superiori; e come è nell’universo, così è anche nei simulacri dell’universo. E a quanti ascendono più in alto non solo sarà manifesto che una sola è la vita di tutte le cose, una sola la luce in tutte le cose, una sola la bontà, e che tutti i sensi sono un solo senso, tutte le nozioni una sola nozione, ma anche che tutte le cose, come pure cognizione, senso, luce e vita sono in ultimo una sola essenza, una sola virtù e una sola operazione.”7

Risulta problematico affermare che la metafisica e la gnoseologia bruniane dipendano teoreticamente dal neoplatonismo di Plotino8. Si è visto, al contrario, che il maggior risultato della speculazione bruniana consiste nella conquista della tesi dell’immanenza del soggetto individuato e dell’Uno provvidenziale. Grazie all’esaltazione dell’attività dell’individualità, tratto tipicamente rinascimentale, il suo pensiero acquista caratteri squisitamente moderni. Per un verso l’iniziativa umana e l’attività creatrice dell’individuo potrebbe far pensare alla teoria vichiana degli uomini artefici della storia. Ma l’orizzonte di Bruno è rivolto ai grandi cicli naturali e alle rivoluzioni astronomiche, alle leggi eterne che governano il movimento della natura. La sua concezione dell’immanenza è, in senso profondo, naturalistica. Divinizza la natura ed esalta le forze che operano in essa, nelle quali soltanto la magia naturale può intervenire. L’uomo rappresenta soltanto l’eccellenza di questa divinità della natura, il cui impeto è “eroico furore” e amore della verità. Il principio generante alla base dell’universo è l’Intelletto, che è intrinseco alla natura stessa. Ne Dialogo quinto del De la causa, principio e uno Bruno definisce in maniera chiara il suo immanentismo o meglio mette a punto una introduzione alla nuova fisica copernicana e alla nuova concezione dell’universo con la morale eroica ad essa connessa. Il dialogo opera una revisione critica di tutti i concetti e termini della filosofia scolastica aristotelica, rinnovandone radicalmente il significato, particolarmente introducendo un rovesciamento del rapporto tra potenza e atto, materia e forma, all’interno di una visione cusaniana dell’universo infinito. La potenzialità allora non è più una privazione o una diminuzione, ma la costruzione “geometrica” e dinamica dei corpi viventi.

“E’ necessario dunque che il punto ne l’infinito non differisca dal corpo, perché il punto, scorrendo da l’esser punto, si fa linea: scorrendo da l’esser linea, si fa superficie; scorrendo da l’esser superficie, si fa corpo: il punto dunque, perché è in potenza ad esser corpo, non differisce dall’esser corpo, dove la potenza e l’atto è una medesima cosa”9


Viene distinto il principio che concorre alla costituzione della cosa e rimane in essa, dalla causa che agisce esteriormente e resta fuori della composizione della cosa. L’Intelletto divino rappresenta in questo senso il principio di tutte le cose, in quanto artefice e fabbro del mondo e motore del movimento degli esseri. È la più alta facoltà dell’anima del mondo e riempie, per così dire, la sfera del vivente:

“”L’Intelletto universale è l’intima, più reale e propria facultà e parte potenziale de l’anima del mondo. Questo è uno medesmo che empie il tutto, illumina l’universo ed indrizza la natura a produrre le sue specie come si conviene; e cossì ha rispetto alla produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione di specie razionali”10

Questa visione di Dio nelle cose stesse Bruno la ritrova nella Mens che “agitat molem” del libro VI dell’Eneide virgiliana11. Ma essa presenta, oltre il richiamo all’Uno di Plotino, una forte impronta stoicheggiante, in quanto Dio è l’artefice interno e il principio razionale attivo, animatore del tutto, che opera “tutto in tutto”12. Questa divinità, come quella dello stoico Cleante “empie tutte le cose, inabita tutte le parti dell’universo, è centro da ciò che ha l’essere, uno in tutto e per cui uno è tutto”13.



Note con rimando automatico al testo

1 Cfr. G. Gentile, “Giordano Bruno nella storia della cultura” in Id., Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, Vallecchi, Firenze, 1920. Per Gentile Bruno è “la conchiusione logica di tutto il Rinascimento” che “accogliendo la nuova dottrina copernicana, sconvolge l’intuizione cosmologica, che la terra dell’uomo contrapponeva ai cieli di Dio in un sistema chiudo di rapporti finiti” (ivi, p. 52)

2 G. Bruno, Il candelaio, Rizzoli, Milano, 1976, pp. 220-1.

3 G. Bruno, De l’infinito universo e mondi, Mondadori, in Id., Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, Milano, 2000, p. 376.

4 G. Bruno, Spaccio della bestia trionfante, cit. in Id., op.cit, ed. cit., p.655.

5 G. Bruno, De immenso ed innumerabilibus, seu de universo et mundis, trad. ital., Utet, Torino, 1980, p.417-8.

6 G. Galli, La vita e il pensiero di G. Bruno, Marzorati, Milano, 1973, p. 107.

7 G. Bruno,Il sigillo dei sigilli, in Id., Le ombre delle idee, Il canto di Circe, Il sigillo dei sigilli, Rizzoli, Milano 2013, ed, digitale, par. 34.

8Contra l’attualista di sinistra Giuseppe Saitta, nel suo Il pensiero italiano nell’Umanesimo e nel Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1961, vol. III, p. 109, il quale sostiene che Bruno non si sia liberato dalla soluzione plotiniana del problema conoscitivo “anzi neppure della tradizione peripatetico-scolastica”.

9 G. Bruno, De la causa, principio e uno, Mursia, Milano, 1985, Dialogo quinto, p.215.

10 G. Bruno, De la causa, principio e uno, op.cit., ed. cit., p.94.

11 G. Bruno, cit., p.95.

12 G. Bruno, cit., ibidem.

13 G. Bruno, op.cit., p.215.