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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Sulle tracce dell'uno

 

PER UNA LETTURA FENOMENOLOGICA DEL PERIPHYSEON1ERIUGENIANO

É possibile adottare un metodo di lettura fenomenologico per intendere il movimento di pensiero che abita e vivifica unʼopera ingente e arditissima dellʼAlto Medioevo come il Periphyseon di Giovanni Scoto Eriugena?

Scoto Eriugena

A mio parere, la risposta è affermativa, se intendiamo la fenomenologia come lʼatteggiamento antidogmatico di chi, revocando le certezze categoriali precostituite, interroga i fenomeni originari dellʼesperienza, decentrandoli dallo loro immediatezza e descrivendoli dunque come la superficie di una profondità, come immagini consistenti scavate da un invisibile rilievo eidetico o da una misteriosa essenza, ultimamente trascesa dallʼintrasmutabile e ultrafigurale Uno negativo, alfa e omega di ogni manifestazione.

Fenomenologicamente2, porre una domanda di senso ai dati immediati dellʼesperienza, mediando riflessivamente la loro immediatezza con se stessa, comporta il collocarli entro un orizzonte di ricomprensione, da cui essi emergono come il suo dimensionalizzarsi e senza il quale non sarebbero discernibili nella loro intrinseca finitezza. Ma di nuovo questo sfondo indiviso è a sua volta intuibile dallʼocchio del nostro intelletto, qualora riconosciamo allʼorigine di una tale direzione di apprensione del senso un Principio fontale irrappresentabile e incommensurabile, eppure analogicamente coglibile nelle sue manifestazioni e nelle cifre esistenziali e speculative in cui risplende intenzionalmente, prima di ritrarsi apofaticamente.

Coerentemente con tutto ciò, Eriugena, riconducendo la consistenza ontologica del fenomeno a quella di manifestazione teofanica dellʼinattingibile Uno, considera ogni ente, traguardato nel suo senso, come lʼesterno di un interno, di unʼinoggetivabile e plastica generatività in cui è custodita la sua trama espressiva ed attuativa. Tale intuizione primigenia sostituisce alla presupposta fissità del reale, la dinamicità del transitus, che consente al soggetto interrogante di risalire da una teofania più esteriore ad unʼaltra più intensiva e ricomprensiva, nel vortice di un movimento a spirale che va da un fuori a un dentro e simultaneamente da un meno a un più: dal sensibile a ciò che è Epékeina.

La filosofia del Periphyseon è per questo eminentemente unʼesperienza dʼessenza. Essa ci invita a pensare, con una fiducia tipicamente medioevale, la presenza implicativa del Non espresso nellʼespressione, del possibile Non ancora esistentificato nella sua peculiare realizzazione manifestativa; di ciò che in prima istanza non si mostra, ossia quello che, rispetto a ciò che si mostra, resta al coperto e che rispetto a ciò che si manifesta ne costituisce il fondamento ed il senso:

tutto ciò che si comprende e si percepisce non è nullʼaltro se non lʼapparizione di ciò che non appare, la manifestazione di ciò che è nascosto, la comprensione dellʼincomprensibile, lʼespressione dellʼinesprimibile. Anche quando appare allʼesterno rimane sempre invisibile al suo interno. […] E pare invisibile e mentre appare è invisibile3.

Pensare significa allora accedere ad un essere di latenza; scoprire nel singolo fenomeno: modelli, archetipi, leggi, verità tipiche ed universali. Significa intuire con uno sguardo noetico gli innumerevoli tesori eidetici, le essenze, che una volta rinvenute ed espresse, cioè una volta rese visibili, entrano legittimamente a far parte del patrimonio dellʼumanità, come sua vivente eredità spirituale. Naturalmente, lʼintelletto umano è capace di contemplare tali essenze, poiché esso conserva nel suo fondo lʼincondizionata impronta delle idee stesse, che non sono inferibili per via induttiva, e che invece indicano il fungere intenzionale nel nostro intelletto particolare, di un superiore intelletto, insieme trascendente e immanente, quale pregnante Protoimmagine dellʼUno, da cui le idee sgorgano allo stato nascente.

A tale ambito ineriscono le idealità pure a titolo di leggi logiche e matematiche; appartengono gli assi dimensionali che rendono intelligibile l’intuitivo fruire della bellezza, fino al suo sporgersi sullʼorlo del sublime. Vi ineriscono inoltre le idee morali, che per quanto distanti dallʼeffettualità, ci consentono di autoavvertirci come autentici solo se non voltiamo loro le spalle. Questʼultime si lasciano schematizzare come valori: valori intessuti di temporale e di eterno, senza che si possa tracciare una linea netta di confine tra queste due polarità. I valori hanno quindi uno statuto pragmatico, non ontologico, e se vengono ipostatizzati diventano idoli e generano conflitti; ma comunque non si darebbero senza la loro fonte eidetica.

Pensare, più in generale, vuol dire vedere lʼUno dappertutto nella natura, sebbene non possiamo riconoscerlo come tale in assoluto, ma come lʼunitarietà di qualsiasi determinazione, sia intelligibile (le idee essenziali di cui accennavamo poc'anzi) sia sensibile, in cui ci è concesso godere a distanza dello sfumato e indiretto riverbero di quel lumen primum, lux per excellentiam, omnia lumina descendunt.

Ogni determinazione è pertanto una fenomenologia dellʼUno absconditus sub contrario, senza che ciò implichi un secco monismo panteistico – di cui pure Eriugena è stato ingiustamente accusato. Non cʼè, in effetti, da scegliere tra immanenza e trascendenza, poiché il pensatore irlandese stesso attiva contemporaneamente tanto il registro del super omnia quanto il registro dellʼin omnia, in forza dei quali Dio è Tutto in tutto e Nulla di tutto:

Dio è creatore del tutto ed è creato nel tutto. Ed anche se lo si cerca al di sopra di tutte le realtà, non si trova in nessuna[...]. Se lo si intende in tutti gli enti, nulla in essi sussiste se non egli solo. Eʼ questo e neppure lo è, ma è tutta la realtà. [...]E mentre diviene tutte le realtà non cessa di rimanere al di sopra di tutte4.

LʼUno si palesa invero il protagonista indiscusso, il cantus firmus, della metafisica eriugeniana, che traspare nella natura visibile come il Principio imprincipiato distribuentesi interamente nel creato, senza partire la sua arelazionale autoidentità, e fungendo allo stesso tempo come la causa finale e ricapitolativa dellʼintera creazione:

egli è la divisione e la riunione di tutta la creatura, il genere e la specie, il tutto e la parte, pur non essendo né il genere, né la specie, né il tutto, né la parte di nulla, ma tutte queste derivano da lui e tendono verso di lui5.

Ebbene, rimodulando e riattualizzando la teoria neoplatonica della contrazione dellʼUno nella duplice relazione di esplicazione discensiva (exitus/effluxus) dallʼUno ai molti e di complicazione ascensiva (reditus/refluxus) dai molti allʼUno – nella versione cristiana filtrata da Pseudo Dionigi lʼAereopoagita e Massimo il Confessore – Eriugena è stato in grado di forgiare un concetto di ϕύσις, in cui interamente inerisce la storia e insieme la preistoria dellʼUno che, dalla sua indisturbata e assoluta identità, transita nella molteplicità attraverso due decentramenti espressivi. Il primo transitus intemporale, si dà allʼinterno del principio, nel modo della causa sui autodischiudentesi triadicamente, in cui la semplicità dellʼUno si ruota nellʼidentità in sé differenziata del Verbo: questʼultimo generato dallʼautoeguaglianza assoluta è necessariamente uguale allʼorigine, giacché lʼapparente distinzione di ciò che è proceduto è ricondotta ad unità. Il secondo transitus, creativo, segna il decentramento teofanico dalle puntualità eidetiche raccolte e avvolte nel Verbo, alla singularitas propria delle forme sostanziali, cioè delle creature:

il movimento della somma, trina, unica e vera bontà in se stessa immutabile e la sua semplice moltiplicazione [nel Verbo] e lʼinesauribile diffusione da se stessa, in se stessa,verso se stessa, è la causa di tutte le realtà, anzi è tutta la realtà6.

Ma proviamo a descrivere insieme la contrazione del Sommo Uno a partire da come Eriugena lʼha esperita in prima persona raccogliendola e sussumendola sotto quel generale nomen, omnium quae sunt et quae non sunt, cioè la natura.

Vedremo che la natura esprime lʼUno su quattro registri, in un simmetrico corrispondersi del primo e del quarto, tra i quali si dispongono strettamente interconnessi il secondo ed il terzo.

Il primo indica la natura creante e non creata, coincidente con lʼimmanente e personale bullitio di Dio, in quanto autodispiegamento della propria pienezza in una forma di assoluta autopenetrazione; il quarto, invece, indica la natura non creante e non creata, quale ambitus omnium, spazio di interale compossibilità. Entrambi esprimono quindi lʼAssoluto, la prima volta come causa senza principio, qui solus omnia creans, la seconda volta come fine «quia ad ipsum moventur quietem motus sui saequae perfectionis stabilitatem quaerentia». Parimenti, nei due ordini intermedi, costituiti dalla seconda natura creata e creante – pléroma delle cause esemplari e della loro koinonia – e dalla terza natura creata e non creante, è sempre di nuovo lʼUno che si partecipa nellʼalterità, con una prevalenza dellʼunità nella sfera intemporale delle essenze, e della molteplicità nella dimensione spaziotemporale coincidente con lʼordine sensibile:

[lʼUno] discendendo dalla sovraessenzialità della sua natura, nella quale si dice non essere, dapprima nelle cause primordiali, si crea da sé e diviene principio di ogni essenza, di ogni vita, di ogni intelligenza[...]. Poi dalle cause primordiali, che occupano una posizione intermedia tra Dio e le creature[...], si crea discendendo negli effetti di quelle7.

Ora, da questa fenomeologia della naturache ci racconta il libero e contingente venire dellʼUno ai molti, che è già anche in se stessa una henologia, ossia reductio dai molti allʼUno, siamo nelle condizioni di trarre per conto nostro delle importanti conseguenze antropologiche e morali.

Lo spessore etico-soteriologico, infatti, non può non emergere allorché cogliamo la contrazione dellʼUno come il misterioso e benevolo operare di un universale distributivo e correlativamente di un infinito finiente, che singolarizzandosi nelle creature in cui si dimensionalizza, dona generosamente lʼindistruttibilità, insieme al desiderio insopprimibile di unità, di uguaglianza e di concordia (Unitrinitas, appunto).

Unitas, Aequalitas e Nexus si dischiudono allora come notizie intuitive che agiscono in ogni creatura a mo' di a priori, incoraggiandola a trovare nel mondo, lo spazio a posteriori in cui fondare le proprie relazioni di amore e di amicizia, finalizzate a rinvenire, oltre le rigide mura del non senso e della guerra, le tracce ben più originarie dellʼunità e della pace.

Letta in questo modo, la contrazione dellʼUno eriugeniana ci regala anche un punto di vista politico di enorme valore: essa dà adito ad una concezione dialettica dello stato, in cui la sintesi creatrice degli opposti può essere raggiunta senza ridurre la potenza vitale della loro imprevedibile dinamicità; in cui i processi di accordo tra i popoli europei possono felicemente strutturarsi sulla reciproca solidarietà e sul rispetto, in contrapposizione alla logica dellʼesclusione e del dominio, senza che nessuno si arroghi il privilegio di decretare chi è dentro e chi è fuori, chi è amico e chi è nemico. Ecco l՚essenza primordiale dell’europeismo: unità della radice nella varietà delle espressioni; ove ogni singolo stato, che innerva l’intera comunità europea, fa della propria tradizione un’offerta piuttosto che una pericola pretesa identitaria; ove ogni singolo stato, in dialogo con tutti gli altri, ricerca nuovi e inediti spazi di libertà e di giustizia, in nome dell’Uno sempre invocato.

É solo disponendosi sulle orme dellʼUno, nel rifiuto incessante della disarmonia e della discordia, e nel tentativo inesausto di discernere i possibili varchi manifestativi per la realizzazione del Buono, del Giusto e del Bello, che lʼuomo può trovare la salvezza e può ritornare a quellʼUno-patria, che a tutti rifulse nellʼinfanzia e in cui nessuno è stato ancora. LʼUno, insomma, simboleggia lʼenergia unificante che chiama a sé ciascun individuo, affinché giungendo a Dio possa in pari tempo pervenire a se stesso, al nucleo elastico e profondo della propria identità: allʼUno-in-noi.

Bisogna dunque tornare a pensare lʼUno, poiché una vita senza Uno, allʼinsegna della divisione e dellʼesclusione, non è augurabile: questo è il secretum di Eriugena o si velis il suo idealismo trascendente.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Citero lʼopera (dʼora in poi abbreviata PHY) nella traduzione italiana curata da Nicola Gorlani, pubblicata dalla Bompiani in un unico volume; inoltre, menzionerò anche le pagine e le colonne di riferimento della Patrologia Latina. Lʼedizione che Gorlani ha scelto come base è quella di Édouard. Jeauneau, usata anche da Peter Dronke e Michela Pereira, nella collana curata dalla «Fondazione Lorenzo Valla», presso lʼEditore Mondadori.

2 Mi riferisco qui sia alla fenomenologia di Husserl, così come lʼha inaugurata nella prima metà del ʽ900, sia a quella di Merleau-Ponty e Heidegger, che lʼhanno ripresa lasciandola incontrare con lʼontologia e la dialettica. Ciò che accomuna questi pensatori della Fenomenologia ad un autore come Eriugena, nonostante la distanza temporale, risiede nella comune concezione della verità come espressione. Verità cioè come movimento dellʼespressione del senso inscritto nei fenomeni di cui facciamo esperienza. Verità, ancora come espressione del senso nascente, promanante da una sconosciuta fonte: lʼUno. Infine, li accomuna anche lʼidea che il pensare sia atto secondo di ripresa dialettica, inevitabilmente parziale, di unʼoscurità originaria in cui l'essere umano è conficcato, ma che non padroneggia. Il pensare non è autofondato, ma già sempre trasceso da una più originaria fonte, che lo antecede e lo sopravanza.

3 PHY, Liber III, 633 A-B, pp. 699-701: «Omne enim quod intelligitur et sensitur nihil aliud est nisi non apparentis apparition, occulti manifestation, negate affirmation, incomprehensibilis comprehension, ineffabilis fatus. Et dum sic extrinsecus apparet, semper intrinsecus invisibilis permanet […]. Et invisibilis videtur, et dum videtur invisibilis est».

4 PHY, Liber III, 683 A-B, p. 845: «deum omnium factorem esse et in omnibus factum. Et dum super omnia quaeritur in nulla invenitur […]. Dum vero in omnibus intelligitur, nil in eis nisi solus ipse subsistit. Et neque est hoc, ut ait ille, hoc autem non est, sed omnia est. […] Et dum in omnibus fit, super omnia esse non desinit».

5 PHY, Liber III, 621 C, p. 667: «ipse est divisio et collectio universalis creaturae et genus et species et totum et pars, dum nullius sit vel genus vel species sive totum sive pars, sed haec omnia ex ipso et in ipso et ad ipsum sunt».

6 PHY, Liber III, 632D, p. 699: «Summae siquidem ac trinae soliusque verae bonitatis in se ipsa immutabilis motus et simplexmultiplicatio et inexhausta a se ipsa in se ipsa ad se ipsam diffusio causa omnium, immo omnia sunt».

7 PHY, Liber III, 683 A-B, p. 845: «Proinde ex superessentialitate suae naturae, in qua dicitur non esse, primum descendens in primordialibus causis a se ipso creatur; et fit principium omnis essentiae, omnis vitae, omnis intelligentiae […]. Deinde primordialibus causis, quae medietatem quandam inter deum et creaturam obtinent […], descendens in effectibus ipsarum fit».