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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Mediazione e relazione nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel

  

1.1 Premessa e obiettivo 

Intendo qui mostrare che lʼessenziale, sempre efficacemente operante nella Fenomenologia dello Spirito1 di Hegel, che satura e informa tutta lʼopera in modo altamente polifonico, è la mediazione dialettica soggetto-oggetto, lʼintima relazione di e altro, dellʼIo con altri.

In effetti, lʼimpresa titanica e audace del filosofo di Stoccarda è stata innanzitutto quella di combattere e revocare la rappresentazione naturale di un sapere immediato, irrelato, trovato, esprimente la solita indeterminatezza e meschinità del senso comune2, lʼingenuità di una conoscenza fatua e non sperimentata3, che gabellata come la più vera, finisce per illudere volgarmente sé e gli altri4.

HegelLa lezione di Hegel a riguardo è sempre stata inequivocabile: lʼimmediato va mediato con se stesso e col suo altro, giacché in fondo già sempre mediato. Solo così scopriamo che lʼessere diviene parallelamente alle oggettivazioni sempre più alte dello spirito: entrambi, soggetto e oggetto, maturano insieme, crescono, si relazionano e si rettificano a vicenda lungo il cammino sempre aperto dellʼumanità. Non bisogna allora intendere la mediazione come un «sacro orrore che in effetto deriva dallʼignoranza della natura della mediazione e dalla stessa conoscenza assoluta. Infatti la mediazione non è altro che […] il movimento […] il divenire semplice. [...]È la riflessione che eleva a resultato il vero»5.

Pertanto, quello che nella Fenomenologia hegeliana è espresso col termine concetto, e che risulta contrapposto alla vuota rappresentazione, è lʼuniversale mediato dalla singolarità. Soltanto queste due cose insieme, lʼastratto e il concreto, lʼuniversale e il particolare, il sé e la cosa, costituiscono ed esprimono la totalità, ossia il contenuto sviluppato, pienamente mediato e simultaneamente lʼeffettualità.

Ora, non potendo ripercorrere lʼintero cammino fenomenico dello Spirito, tenterò di focalizzarmi sulla prima parte della seconda sezione dedicata allʼautocoscienza vivente6. Una tale scelta di campo non può prescindere, ma anzi richiede, la presentazione, seppur celere, delle tappe che hanno preceduto e suscitato lʼemergere della autocoscienza allʼinterno di questa sorprendente opera hegeliana del 1807.

  

1.2 La dialettica della libertà nellʼautocoscienza

Che la verità sia relazione e mediazione è certamente sin dallʼinizio il punto di vista del per noi o dellʼin sè, cioè della sintesi che preme e pulsa ritmicamente per uscire allo scoperto, per essere pensata, ma non è ancora il punto di vista della coscienza naturale che insediata nella verità si appresta per la prima volta a percorrere il suo cammino, esaminando se stessa ed auto-saggiandosi.

Il sapere che dapprima o immediatamente è suo oggetto è il sapere immediato, che si paleserà piuttosto un non sapere, un pregiudizio, un alcunché di indeterminato; correlativamente la sua prima figura non può che essere la certezza sensibile, che in tale immediatezza trova subito appagamento.Essa difatti pretende ingenuamente che il vero sia un questo immediato uguale a se stesso, laddove invero il questo è già sempre relazione di molteplici dati, è già sempre mediato da un ora e da un qui; esso è appunto «un alcunché di semplice che è per via di negazione, e che è né questo né quello, un non-questo, e che è anche altrettanto indifferente ad essere sia questo che quello»7, ovvero il non di tutti i questo. Peraltro il questo è un questo per il questi o puro Io della coscienza sensibile, quindi senza dubbio mediato anche da lei, quandʼanche si limitasse solo ad indicarlo, senza proferirlo: «né lʼuno né lʼaltro sono nella certezza sensibile soltanto immediati, ma vi sono in pari tempo come mediati: io ho la certezza mediante qualche cosʼaltro, ossia mediante la cosa, e anche questa mediante qualche cosʼaltro, ossia mediante Io»8.

La mediazione, dunque, è già allʼopera: è in sé ma non ancora per sé/per lei, in quanto la coscienza è dapprima concetto del sapere, ma non ancora sapere reale, espresso, oggettivato, manifestato9.

Anche laddove il questo, per Aufhebung,si interna e si invera nella cosa dalla molteplici proprietà, la coscienzaaccresciutaa percezione tiene pervicacemente distinti uno e anche, la cosa ed i suo predicati (come se la sapidità e la bianchezza fossero estrinseci al cristallo di sale) piuttosto che pensarli come dialetticamente interconnessi e dunque, leibnizianamente, in un rapporto di inerenza e di interna auto-mediazione. Essa misconosce che «sotto un unico e medesimo riguardo lʼoggetto [la cosa] è piuttosto il contrario di sé stesso […]. Esso è per sé, è riflesso in se stesso, è Uno; ma questo essere per sé Uno è in [relazione] con il contrario, lʼessere per altro»10, le molte proprietà.

La relazione è per lʼappuntola verità della percezione, ma validare ciò è come negare lʼauto-identità della cosa e la sua unità esclusiva, il che equivale a smentire la convinzione e la credenza che la coscienza percettiva stessa ha finora difeso.

Dopo essere stata ricacciata a più riprese dal vero in se stessa, la coscienza fa il suo ingresso nel regno dellʼintelletto, e con ciò si registra il passaggio dalla vita al pensiero. Questʼultimo si connota come atto secondo di ripresa dellʼesperienza immediatamente vissuta, in forza del quale la coscienza fattasi intelletto chiarisce in parte a se stessa che ciò che è per sé è per altro e che ciò che è per altro è per sé, e cioè che la verità è nexus e relatio.

Soltanto disponendosi come intus legere la coscienza intuisce che ciò che pretendeva fosse separato è invece intrecciato e ritmato da una dialettica di complicatio ed explicatio, di concentrazione ed espansione. La sua esperienza ora le mostra che lʼuno e lʼanche, la forza nella sua duplice partitura di sistole e diastole, lʼinterno e lʼesterno, la legge e il fenomeno, il mondo ultrasensibile e il mondo dellʼ al di qua si mediano vicendevolmente. Tali opposizioni infatti «qui non sono più presenti. Le differenze non si redistribuiscono più in due sostanze tali che le sostengano e forniscano loro una sussistenza separata, mediante la quale lʼintelletto ricada nella posizione precedente»11. A questo punto lei dovrebbe pervenire a pensare «il puro scambio, […] cioè la contraddizione»12: il divenir-ineguale dellʼeguale e il divenir-eguale dellʼineguale13.

Lo stadio a cui è giunta con fatica è la prova che il visibile con cui si è cimentata da subito non è uguale a sé, giacché rinvia al suo interno invisibile – se guardo le mani di qualcuno, non vedo solo due mani, ma vedo dei gesti – e simultaneamente lʼinvisibile è altrettanto diseguale a sé, in quanto la sua verità è di manifestarsi nellʼesterno visibile. Il movimento della verità è allora un andirivieni, una relazione reversibile di apparenza ed essenza, ove entrambi sono ricompresi in un orizzonte infinito di vita e di senso.

Sboccia così la figura emblematica della vita, intesa non come caos, impulso immediato privo di una densa articolazione interiore, ma come identità relazionale che si differenzia da sé nello stesso istante in cui si attua come uguale a sé; in cui il sé si ritrova nellʼaltro da sé: «lʼessenza semplice della vita, lʼanima del mondo, il sangue universale che non viene turbatoda differenza alcuna e che è anzi tutte le differenze, nonché il loro essere tolto […]. Con il [sé] quindi è già espresso lʼaltro»14, ed ecco che la coscienza è adesso autocoscienza.

Lʼautocoscienza entra in scena lasciandosi alle spalle la conquista veritativa dellʼintelletto; questʼultima non è affatto dileguata, ma è piuttosto da lei assunta e validata solo parzialmente, unilateralmente. Lʼautocoscienza infatti ammette a se stessa che il vero è relazione, ma pur sempre relazione esclusiva ed autoreferenziale di sé con se stessa, oltrepassante e negante ogni forma di alterità. Questa è la sua debole e annebbiata pretesa.

Essa è soltanto puro Io e contemporaneamente il contenuto dellʼattività con cui lʼIo si rapporta allʼaltro15. Essa, dunque, è il movimento con cui lʼaltro da sé è ricondotto al per sé (a lei); «ma poiché distingue da sé solo se stessa come se stessa, ecco che per [lʼautocoscienza], la differenza come un esser-altro è tolta; la differenza non è; e lʼautocoscienza è soltanto lʼimmota tautologia16 dellʼIo sono Io»17.

A ben vedere però lʼIo=Io non dice unʼidentità statica e tautologica, bensì dialettica, quale nesso di identità e non identità; proferisce in altri termini unʼalterità non ancora sviluppata che implicitamente interroga ciascun Io, parimenti quellʼIo che narcisisticamente afferma che tutto ciò che è fuori di lui è in funzione di lui, quale ricettacolo dei suoi desideri e delle sue aspettative.

Ma chi è effettivamente lʼaltro dallʼio? In prima battuta, cioè nellʼimmediato, è un oggetto, ma in seconda battuta è un altro Io; in ambedue i casi è però un vivente, poiché lʼautocoscienza – come del resto ogni altra figura della fenomenologia – giunge ad espressione come la negazione mediata della tappa precedente, che in questo caso è proprio la vita.

Lʼautocoscienza «è certa di se stessa soltanto perché toglie questʼalterità che le si presenta come vita indipendente: essa è concupiscenza o appetito. […] Certa della nullità di questo altro […] essa annienta lʼoggetto indipendente e si dà la certezza di se stessa […]. Ma in questo appagamento lʼautocoscienza fa esperienza dellʼindipendenza del suo oggetto. Lʼappetito e la certezza di se stesso sono condizionati dallʼoggetto; infatti lʼappagamento sussiste mediante il togliere questo altro, e affinché il togliere ci sia, ci deve essere anche questo altro. Lʼautocoscienza, dunque, non è in grado di togliere lʼoggetto; anzi non fa che riprodurre lʼoggetto nonché lʼappetito. In effetto, qualcosʼaltro è lʼessenza dellʼappetito»18, ed è nello stesso tempo indipendente, ossia è unʼaltra autocoscienza.

Eʼ comprensibile allora che a placare lʼappetito (Begierde) dellʼautocoscienza non è un mero oggetto, ovvero un calmo mezzo che essa nega e consuma per soddisfare la fame, ma invero un altro essere per sé. Il destinatario autentico e profondo della fame è insomma un soggetto con la medesima struttura egologica dellʼautocoscienza. Per essa allora cʼè un altro Io, cʼè un altra autocoscienza, che come lei pone il vero nel per sé. Così, la pretesa di partenza unilaterale e sterile dellʼautocoscienza cui si era abbarbicata è stata di fatto rovesciata: un altro è per lei e lei è per un altro, ovvero: «lʼautocoscienza è in e per sé in quanto è in e per sé per unʼaltra»19.

Io richiede lʼaltro. LʼIo cerca una relazione con lʼaltro, sebbene senza lʼaltro non raggiungerebbe se stesso, ovvero non si comprenderebbe. Lʼaltro dunque lo rivela, ossia entrambi si auto-rivelano a se stessi e allʼaltro. Cʼè indubbiamente un gioco delle parti, un gioco di forze, una dialettica di sollecitante e sollecitato, ove ciascun Io esprime la propria autenticità solo attraverso lʼaltro, nel suo essere per lʼaltro.

Ebbene, affinché entrambe le autocoscienze elevino a verità oggettiva la certezza soggettiva di essere per sé, e cioè si riconoscano entrambe nel loro nesso di identità e alterità, di per sé e per altro, costituendo un rapporto intersoggettivo e intermonadico, devono rinunciare sia a proiettare arrogantemente se stesse nellʼaltro sia a smarrire ed alienare se stesse nellʼaltro. La dialettica della libertà, infatti, si attiva se e solo se entrambe riconoscono lʼaltro come singolarità indipendente ed autodeterminantesi.

La verità delle autocoscienze si svela essere pertanto non la relazione intesa come fusionalità immediata, in cui si disperde il sé e lʼaltro dellʼaltro, ma come dialettica relazionale di identità e differenza, in cui entrambi gli Io danno vita energicamente ad un Noi che sta più in alto, quale causa finale che li ricomprende senza risolverli, ma che anzi consente loro di essere per sé. Ecco quindi che lentamente fa capolino lo Spirito, suggello della «perfetta libertà e indipendenza […] di autocoscienze diverse per sé essenti [costituente] lʼunità loro: Io che è Noi e Noi che è Io»20.

 

 

Note con rimando automatico al testo

1 G.W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes [1807]; trad. it. di E. De Negri, Fenomenologia dello Spirito, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008. Si avverte che dʼora in avanti, ogni riferimento a questʼopera hegeliana verrà indicata nelle note con lʼabbreviazione PdG.

2 Nella prefazione della Fenomenologia, Hegel si scaglia sia contro il volgare senso comune, sia contro il raffinato senso comune della logica formale che intende la verità come una semplice proposizione, un giudizio, laddove essa invero è per il Nostro un progressivo sviluppo, un processo in divenire: qualcosa che si fa e che affida alla sapienza filosofica lʼarduo compito di restituire nel concetto la vitalità automoventesi di tal processo. La figura nella quale la verità si dà può essere soltanto il sistema o parimenti il concetto, giacché se la verità non è un possesso stabile, ma un cammino in divenire, non ci resta che descrivere il movimento, il passaggio e la tendenza, che porta la sostanza a farsi soggetto, dandone il concetto. Cfr. Hegel, PdG, p. 5.

3 Idee profonde che sopraggiungono per folgorazione e sublimi lampi di pensiero sono da Hegel detestate; la penetrazione scientifica si guadagna solo nella fatica del concetto.

4 Cfr. Hegel, PdG , p. 25

5 Hegel, PdG , p. 16

6 Le sezioni della fenomenologia dello Spirito sono sei: Coscienza, Autocoscienza, Ragione, Spirito, Religione e Sapere Assoluto.

7 Hegel, PdG, p. 84

8 Ivi, p. 82.

9 E. Bloch, Subjekt-objekt [1949]; trad. it. a cura di Remo Bodei, Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, il Mulino, Bologna 1982, pag. 34: «S non è ancora P: ovvero la verità che inerisce allʼesperienza della coscienza non è ancora resa esplicita, pur essendo già implicitamente presente».

10 Hegel, PdG, p. 104.

11 Hegel, PdG, pp. 132-133.

12 Ivi, p. 134.

13 Ivi, p. 130.

14 Ivi, p. 135

15 Hegel, PdG, p. 144

16 Appare evidente come la cifra storico-filosofica che condensa questo atteggiamento dellʼautocoscienza è lʼidealismo soggettivo di Fichte, in forza del quale lʼin sé fuori dal per sé perde intrinseco interesse conoscitivo e parimenti acquisisce valore solo a partire dallʼIo medesimo e dalla sua attività.

17 ibidem

18 Hegel, PdG, p. 150.

19 Hegel, PdG , p.153

20 Ivi,p. 152