AZIONI PARALLELE 
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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
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 I NOSTRI 
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Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
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Modern/Postmodern
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Solitudine/Moltitudine
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di A. Meccariello e A. Infranca
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L'eone della violenza
di M. Piermarini
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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS 

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The Internet is forever


Google e l'oblio

Anche se gli utenti di Internet nei paesi occidentali sono diventati la maggioranza assoluta tra i cittadini e quindi si calcolano in varie centinaia di milioni, non sono molti tra loro gli utenti accorti e informati su ciò che Internet è realmente. Ad esempio, il rapporto tra Internet e Google è molto poco chiaro e, anche qui, solo pochissimi sanno che cos'è realmente Google. Di fondo, prevale l'idea che Google sia una specie di padron di casa che ci fa da guida nei meandri delle stanze: per molti, assurdamente, “Google è Internet”.

Le spiegazioni che cercherò di fornire su questo argomento nascono da una esperienza ventennale, da una conoscenza non professionale ma appassionata dei meccanismi della rete e dalla curiosa congruenza tra alcuni recenti aspetti della storia di Google e il tema socio-filosofico dell'oblio. Capita spesso che qualche amico o collega mi rivolga domande semplici: “Dopo quanto tempo una notizia entra in Google?”; oppure, “Posso cancellare un sito da Google?”, e anche “Cosa significa che Google fornisce la possibilità di recuperare l'oblio?”. Ma le risposte non sono così semplici, e per definirle bisogna prima capire che cos'è Google, prima ancora che cos'è Internet e al principio di tutto che cosa è un server.

 

Che cos'è Google?

I server sono computer grandi, o meglio molteplici, in grado di registrare documenti e di metterli a disposizione tramite una linea telefonica che trasmette dati. È utile sottolineare come i termini “registrare” e “cancellare” (in inglese, “save” e “delete”) siano in questa dimensione trattabili come sinonimi di ricordare e dimenticare.

Un server connesso a Internet, che è l'insieme di alcuni milioni di server, può quindi fornire documenti registrati da un utente americano a un utente italiano che li stia cercando. Il modo in cui questa fornitura di documenti avviene è vario, ma da vent'anni la forma popolare del passaggio di documenti è il World Wide Web, cioè un meccanismo di trasferimento dati, denominato HTTP (HyperText Transfer Protocol), molto intuitivo, di facile accessibilità e dotato di veste grafica. Quando sul nostro schermo appare un articolo con una fotografia di Obama, noi stiamo aprendo grazie a un browser (Chrome, Explorer, Firefox, …) un documento che si trova su un server probabilmente americano, e di fatto quel server americano ce lo sta fornendo tramite la rete telefonica e il protocollo HTTP. La fotografia e il testo si trovano peraltro inseriti tra altri testi e altre immagini, video, reclame: la pagina composta da tutti questi elementi si definisce un ipertesto ed è la risultante di un montaggio voluto da un impaginatore, il webmaster, che è in grado di costruire quelle pagine usando un codice denominato HTML (HyperText Markup Language).

 

Internet è solo un gigantesco magazzino

Non andiamo oltre nell'ambito del codice HTML, ma limitiamoci a determinare che l'ipertesto che compone una pagina web è composto da vari documenti diversi e che di pagine web oggi nel mondo ne esistono alcuni miliardi. Come fare a rintracciare in questo gigantesco archivio o magazzino le cose che ci interessano?

Vent'anni fa in Internet i dati erano molti di meno, la velocità di trasferimento mille volte più lenta di oggi, la posta elettronica lo strumento più usato, il web agli albori, e le ricerche basate su elementi semplici; il magazzino era ordinato e si cercava di tenerlo ordinato, e infatti con un po' di esperienza le ricerche (effettuate tramite programmi che oggi sembrano ridicoli, come Gopher e Veronica) avvenivano in tempi accettabili, magari alcuni minuti. Certamente, vent'anni fa in rete c'erano soprattutto documenti recenti, pochissime immagini, nessun video e quindi Internet era utile soprattutto ai professionisti di alcuni settori per trasferire notizie, o a chi, come me, trovava straordinario scambiare opinioni tramite email con altri studiosi sparsi nel mondo.

In seguito, in parallelo col progredire del Web, i sistemi di ricerca si affinarono e nacquero i primi veri Search Engines, i motori di ricerca, cioè siti web che dispongono di un sofware per cercare altre pagine web. La risposta alle ricerche degli utenti avveniva in modo quasi casuale e i siti venivano elencati senza criterio apparente; stava all'utente cercarsi tra tanti il sito giusto, che in qualche caso non era neppure presente. Yahoo!, Lycos e Altavista sono stati per qualche anno i motori più usati, fino all'avvento improvviso e prepotente di Google, nato nel 1997, che a partire dal 2000 all'incirca ha soppiantato tutti gli altri sistemi creando un vero e proprio monopolio e generando una società informatica gigantesca. Si pensi che i server utilizzati da Google sono oltre un milione e non si dimentichi che Google possiede anche Youtube, Gmail, Android e molti altri marchi.

 

Perchè Google è il motore migliore?

I creatori di Google hanno visto l'errore di fondo dei loro predecessori e hanno basato la ricerca su un algoritmo, cioè su una procedura che elenca i siti in base alla loro popolarità; la popolarità non si basa - come molti credono - sul numero dei visitatori, ma soprattutto sull'interconnessione di un sito dentro la rete.

Ma come fa Google a risponderci in micosecondi, se la rete è fatta di miliardi di pagine web? Innanzitutto, Google effettua la ricerca sui suoi server e non sul web; infatti, Google dispone di una serie di programmi automatici, sempre in funzione, detti spider, che perennemente analizzano tutti i dati pubblici dei server di tutto il mondo e li registrano. Sia chiaro che gli spider non possono accedere in siti protetti, quindi l'interno delle pagine di Facebook o i clienti di una banca o i libri di una biblioteca restano invisibili.

I dati raccolti vengono indicizzati, cioè rapidamente analizzati e catalogati in un indice di veloce consultazione. Quando uno spider trova un sito nuovo, lo colloca in un limbo d'attesa; semplificando, si può dire che la “scoperta” di un sito nuovo viene registrata da Google nell'arco di 24 ore dalla sua pubblicazione (la brevità di tempo ci dice qualcosa sulla mostruosa efficienza degli spider). Questo non significa tuttavia che il sito entri nelle ricerche degli utenti così presto, anzi; l'algoritmo di Google usa un sistema a livelli (rank) per cui la miglior posizione di un sito negli indici è determinata da molti fattori, tra cui - semplificando - la presenza del suo indirizzo nelle pagine di altri siti (tanto più è interconnesso tanto più il sito è rilevante), la sua mutevolezza (tanto più cambia tanto più un sito è attivo) e naturalmente il rilievo che il termine cercato ha nella pagina web (se si trova nel titolo o meno).

 

Un esempio personale

Per evitare di fare solo teoria, parliamo ora di casi reali; il mio nome è presente non solo nel mio sito personale ma anche in molti altri, e alla ricerca “andrea bonavoglia” (se i termini sono messi tra virgolette diventano un unico termine di ricerca) Google risponde in 30 centesimi di secondo che ricorre in oltre 2600 pagine web. Analizzando con attenzione gli elenchi forniti da Google, posso tuttavia stabilire che - a parte pochi omonimi - i siti che ospitano il mio nome sono molti di meno; al termine delle pagine di ricerca, che si raggiunge in pochi secondi, appare una dicitura in cui Google segnala che un numero altissimo delle 2600 pagine ha indirizzo “molto simile” ed è stato per praticità ignorato; i siti principali quindi sono soltanto 178. La spiegazione è semplice: in uno stesso sito sono spesso proposti elenchi e indici nelle parti fisse dell'impaginato (i menu, i moduli, le sezioni, le annate, ecc.); il nome di un autore può trovarsi scritto e indicizzato in tutte le 100 pagine di un sito se anche in una sola di quelle pagine appare un suo scritto.

 

Cancellarsi

Poniamo ora che io decida di cancellare la mia presenza in rete. La cosa ha implicazioni interessanti da un punto di vista psicologico e antropologico, ma in questa sede le ignoreremo, facendo finta appunto che io stesso - che di Internet sono un profondo sostenitore - sia entrato in una crisi esistenziale e abbia preso la drastica decisione di sparire dalla rete. Per i motivi che abbiamo detto prima, molta gente crede che cancellarsi da Internet o da Google sia la stessa cosa, e la società californiana ha dovuto adeguarsi al fatto che gli utenti le si rivolgano per ottenere l'oblio. Google ha ricevuto un'ingiunzione dall'Unione Europea, ma poteva benissimo rifiutarsi di farlo, e chi ha seguito i miei ragionamenti avrà capito perché; sta di fatto che una buona politica societaria prescrive che i clienti, più che le autorità, hanno sempre ragione.


Quindi Google ha preparato il modulo (vedi qui sopra) per richiedere l'oblio, nel senso che la società si impegna per quanto possibile a cancellare l'utente dai propri server; è evidente che Google non può cancellare alcunché da siti che non possiede, ma si suppone che una volta oscurata la ricerca, quel nome sia di fatto oscurato a sua volta.

Tutto ciò ricorda la famosa poesia di Bertolt Brecht, “Die unbesiegliche Inschrift” (la scritta invincibile, che è poi un evviva a Lenin): cercare di cancellare la scritta da un muro è impossibile, l'unica soluzione è togliere il muro.

Il nostro risultato in definitiva è questo: non sto cancellando i miei dati dal magazzino, ma sto chiedendo al magazziniere di non trovarmi più. Una simile scelta ha dei limiti evidenti, e in particolare si poggia su un'ipotesi falsa, che Google resti per sempre il miglior motore di ricerca.

 

The Internet is forever

In una qualche serie poliziesca americana i detective ottengono prove risalendo a dati molto vecchi della rete e chiosano l'indagine con la battuta “The Internet is forever”. Non è del tutto vero, ma molte cose in rete sopravvivono al di là delle aspettative e procurano non solo affollamento di dati, ma anche una grande confusione. Molte pagine web non sono datate in modo visibile e la loro lettura può generare equivoci notevoli. Google - come detto - abbassa di rank le pagine che non cambiano, ma non le cancella dai suoi archivi; in una ricerca selettiva, è quindi facile incorrere in dati antiquati che appaiono attuali.

Tornando al mio caso, 178 siti mi citano, e quindi a parte l'invio del modulo a Google, potrei chiedere ai webmaster dei 178 siti di cancellare ciò che mi riguarda. Posso farlo, con evidente fatica, ma resta un problema: con quale diritto lo chiedo? Ho messo io a disposizione della rete i miei articoli e le mie costruzioni web, e quindi le citazioni, i riferimenti, le repliche ai miei lavori sono state sempre benvenute; inoltre, molte citazioni del mio nome sono automatiche, perché risalgono ad esempio alla pubblicazione di un libro. Se ora, in preda a depressione, voglio cancellarmi dalla rete, devo anche cancellare alcuni fatti concreti della mia vita. Nel mio caso, dovrei cancellare molte pagine di carta, la mia attività di insegnante, il mio ruolo stesso di progettista web, la mia partecipazione a seminari e conferenze, ecc. ecc. Si vede bene, credo, che tutto ciò è da un lato impossibile, dall'altro inutile.

E quindi, cercare l'oblio di Google non equivale forse a cercare l'oblio assoluto? In questa meraviglia/follia di un mondo che non nasconde più nulla, ha senso cercare di nascondersi? Come si può cancellare/dimenticare ciò che comunque è destinato a restare, per quanto sommerso nel caos delle cose? Il confine tra rete e vita si manifesta nella sua totale precarietà, molto semplicemente perché la rete ormai è parte della vita.