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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
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AP 2 - 2015
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 AP 1 - 2014
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 I NOSTRI 
AUTORI

Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
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Modern/Postmodern
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Solitudine/Moltitudine
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L'eone della violenza
di M. Piermarini
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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
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Azioni Parallele

Orlando Franceschelli, Nel tempo dei mali comuni.

 

 

 

 

Orlando Franceschelli

 Nel tempo dei mali comuni.
Per una pedagogia della sofferenza

 

 

 

Donzelli editore, Roma 2021,
pp.155. €. 18,00

 

L’ultimo volume di Orlando Franceschelli, Nel tempo dei mali comuni. Per una pedagogia della sofferenza (Donzelli 2021), è il dono a un lettore che vuole impegnarsi in esercizi di buona filosofia, perché, come per altri libri dell’Autore, oggi è più che mai necessario misurarsi con le drammatiche urgenze del presente. In tempi di pandemia, a dire il vero, il pensiero ha mostrato una sua svogliatezza faticando a trovare energie, concetti, strumenti per afferrare in maniera adeguata questo mutamento d’epoca innescato dal coronavirus. La lettura del testo presuppone un’implicita adesione al naturalismo inteso come eco-appartenenza, soprattutto in questo tornante della storia dell’umanità. La pan-demia, che Franceschelli preferisce chiamare sin-demia, perché il prefisso syn riguarda «l’insieme dei problemi (sanitari, ambientali, psicologici, sociali, economici)» (p.66) e indica questioni ben più ampie di quelle di natura meramente biomedica, impone al pensiero una ineludibile scelta di campo.

Nel progressivo e impietoso disgregarsi di modelli utopici e di consolidate sicurezze, ci ritroviamo a vivere in un’epoca che si sente sempre più immersa «in una confusa rovina del mondo» (p.52), alimentata dalla crescente consapevolezza di convivere coi gravi rischi presenti e futuri: devastazioni ambientali, pandemie, migrazioni, conflitti di ogni genere, estinzioni di specie non umane, minacce terroristiche globali, uso crescente delle bio-tecnologie. Sembra profilarsi per l’umanità uno scenario distopico, quasi un preludio alle catastrofi tutt’altro che irreali o imminenti, ma già in atto dell’Antropocene, una parola che indica come un’intera era geologica, caratterizzata dall’impatto delle attività umane sull’ambiente, si stia sgretolando sotto i nostri occhi. La possibilità, per dirla con Günther Anders, che l’uomo sia l’artefice della propria stessa distruzione e incapace di contenere i danni prodotti dagli effetti del cambiamento climatico e dalla rottura traumatica e incalcolabile degli equilibri ecosistemici del pianeta non è più una possibilità, ma una realtà dura e cruda. Franceschelli, a differenza di alcuni maîtres à pensée, non crea allarmismi, non predica dittature sanitarie o stati di eccezione afferenti alla pandemia che sta sconvolgendo le nostre vite e le nostre abitudini, si appella invece, nella durezza dei tempi che preferisce chiamare dei «mali comuni», alla saggezza olimpica di Goethe perché si venga a capo degli errori dell’Homo Sapiens, sempre meno sapiens e sempre più destruens.

L’espressione mali comuni, efficace ed incisiva, lontana dalle solenni teodicee, immunizzata dalle matrici idealistiche e metafisiche, contrassegna con buona pace del vecchio Kant il cosmopolitismo dell’inospitalità e chiama alla responsabilità i governi, le istituzioni, i cittadini, la generazione Greta a praticare ora e subito sapere e saggezza, a vivere come si deve, abbandonando qualsiasi pretesa titanica e superbia antropocentrica.

I quattro densi capitoli [1. Tra il pensare e il fare: il contributo della filosofia all’agire umano; 2. Antropocene: tra eco-appartenenza e sofferenze planetarie; 3.Redenzioni e interazione col tragico; 4. Possibilità (e inquietudine) di una pedagogia della sofferenza] che strutturano il volume mettono al centro il paradigma naturalistico uomo-mondo su cui l’Autore sta riflettendo da diversi anni con feconde ricadute nel dibattito filosofico. Il contributo della filosofia all’agire umano trae la propria linfa vitale dai greci non solo perché essa aiuta a vivere, a soffrire o a morire, ma anche perché è «una manifestazione della ricerca e del dialogo che gli esseri umani sono indotti a praticare»(p.19); in più, la filosofia in questo particolare momento ha bisogno di aprirsi e di confrontarsi con i risultati della ricerca scientifica, perché è «indispensabile anche una visione critica e scientificamente informata della realtà naturale di cui siamo parte, dei rapporti che effettivamente intratteniamo con essa» (p.7). Dal punto di vista metodologico, l’analisi dell’Autore è innovativa, spiazzante, perché lancia una socratica sfida all’idea stessa di filosofia chenon può più pensare di essere una disciplina a statuto speciale, ma deve provare,con umiltà e intelligenza, lasciandosi alle spalle incanti ontologici di cui si nutre gran parte del mondo accademico, a reinterrogare la natura, come già gli antichi Democrito, Socrate, gli Stoici sapevano fare e confrontarsi senza pregiudizi e barriere con le scienze naturali per pluralizzare, in un orizzonte di plausibilità, la sinergia di fare-pensare. Affrontare il dilemma su come rimediare e rimuovere i mali comuni: questo è il compito del pensiero, oggi.

La stessa pandemia Covid 19, oggi, il male comune più devastante e tangibile, non sta forse confermando che si è guastato il rapporto tra ambiente naturale e storia della nostra specie? Non è forse il tempo di un cambio di rotta che raddrizzi il cammino della nostra specie e tuteli il pianeta a condizione che ci si lasci alle spalle, fatalismi, riduzionismi biologici, determinismi, ubriacature prometeiche?

Franceschelli non ha dubbi su come assolvere con efficacia le nostre responsabilità di fronte alle sfide dell’Antropocene, perché, «grazie alle ricerche di antropologia evoluzionista, oggi riusciamo a capire sempre meglio il ruolo che un simile impegno a migliorarci ha svolto lungo tutta la storia della nostra specie» (p.75) ossia abitare la terra senza hybris antropocentrica e autoreferenziale volontà di potenza.

Inoltre, vibrante è la sua denuncia del futurismo dei vincitori cioè l’affidarsi a quello che promette il futuro e provare a sospendere o perlomeno a sopportare i mali di oggi perché il futuro vedrà il profilarsi di una nuova specie di individui migliorati e potenziati su tutti i piani (fisico, emotivo, cognitivo) e ogni distinzione tra intelligenza umana e artificiale non avrà più ragion d’essere. L’idea di «surrogare il presente prospettando scenari futuristici in cui la potenza della tecnica è spinta fino alla fabbricazione di esseri viventi[…] seduce più del proporsi di migliorare gli esseri umani e le loro condizioni di vita qui e ora per via pedagogica ed etico-politica» (p.113). Per quanto seducente sia questa formula, il futurismo dei vincitori è un’impietosa illusione, uno spettro da cui liberarsi, perché sterilizza le vie dell’impegno, della cura e del cambiamento.

Lontano dai moralismi di maniera, ma anche dalle prospettive catastrofiste di Günther Anders, un pensatore geniale del ’900 che ha saputo guardare nelle profondità della tracotanza prometeica, Franceschelli si congeda con convinzione e lucidità da ogni forma di redenzione e di messianismo salvifico della tradizione per misurarsi con l’umano patire, con l’umana sofferenza nel tempo presente. Entriamo nel IV capitolo del libro, su cui vorrei soffermarmi prima di avviarmi alla conclusione. I mali producono dolore, infliggono patimenti, registrano perdite. Qui si può ravvisare un fondo weiliano del pensiero di Franceschelli poiché la sofferenza tocca tutti e impregna la trama dell’esistenza umana. Bisogna imparare non solo a convivere con la sofferenza che abita le nostre vite, ma lasciarsi educare da essa, apprendere attraverso di essa. L’interazione pedagogica con la sofferenza «non avanza alcuna pretesa di santità o di onniscienza», ma, sapendo di «restare esposta a inquietudini e contingenze» (p.118), ci obbliga anche a rendere testimonianza e a farsi carico dei cosiddetti “sommersi”, di coloro che non sono stati risparmiati dallo sguardo pietrificante della Gorgone, come le migliaia di vittime del Covid. Credo che la chiave di lettura del libro si riveli tutta politica in questa versione di riscrittura, direi, e di aggiornamento dei sommersi e dei salvati che per Primo Levi erano i sopravvissuti dei Lager, mentre oggi è la qualità della vita umana che sta peggiorando ed è a rischio di sopravvivenza. Infatti, se il bene comune, cioè il bene di tutti è la massima aspirazione a cui la Politica dovrebbe guardare, allora la pedagogia della sofferenza è la componente più propriamente politica di questo nostro tempo senza epoca. Intorno a queste sfide, l’Autore apre un fitto dialogo con il lettore che da queste pagine trae la sensazione che il pensiero è al lavoro.