AZIONI PARALLELE 
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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
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 AP 5 - 2018
LA GUERRA AL TEMPO DELLA PACE
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AP 3 - 2016
MEDITERRANEI
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AP 2 - 2015
LUOGHI non troppo COMUNI
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 AP 1 - 2014
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 I NOSTRI 
AUTORI

Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
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Modern/Postmodern
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Solitudine/Moltitudine
ed. MANIFESTO LIBRI

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 Vie Traverse
di A. Meccariello e A. Infranca
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L'eone della violenza
di M. Piermarini
ed. ARACNE

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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS 

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Azioni Parallele

Il cattivo influencer

 Ovvero, come i social vanno a braccetto col populismo

 

Nella terminologia corrente, è diventato quasi normale per i media tradizionali citare un bizzarro ente collettivo dal nome di social, al plurale, dotato di una sua coscienza e - si direbbe - di un carattere soprattutto ironico e/o arrogante. I social scatenati sono quindi un'immagine esplicita di messaggi o insulti o sfottò verso un malcapitato, che può essere un qualcuno famoso, ma anche un qualcuno fino ad allora sconosciuto. Difficilmente possiamo trovare in altri ambiti della nostra esperienza una falsificazione numerica così grande, perché gli scatenati possono anche essere migliaia, ma a fronte dei milioni di iscritti nelle varie piattaforme risultano di solito in percentuali irrisorie. La verità molto semplice, nota a tutti ma da tutti sottaciuta, è che se da un lato i social in quanto tali effettivamente esistono, Facebook, Instagram, YouTube, Twitter e altri, dall'altro lato in quanto ente collettivo non sono che una pura fantasia. Il popolo di Internet, come si diceva anni fa, non è che una parte del popolo tout court, variegato, eterogeneo, indefinibile.

Non sono una fantasia invece quei personaggi che dentro ai social rivestono ruoli particolari, ovvero sono seguiti da milioni di persone che ci tengono ad ascoltarne le opinioni, gli influencer. Secondo la dotta definizione della Treccani l'influencer è un "personaggio popolare in Rete, che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti e, in particolare, di potenziali consumatori, e viene utilizzato nell’ambito delle strategie di comunicazione e di marketing"1.

Su altri siti possiamo trovare ulteriori specifiche, tanto specifiche da essere definitivamente comiche, come questa2:

Esistono sei gruppi di influencers:

  • gli attivisti: coloro che hanno un impegno nei confronti delle propria comunità, movimenti politici e associazioni no profit
  • i connessi: influencers che hanno molti seguaci sui social network
  • influencers d’impatto: persone molto ambite che beneficiano della fiducia degli altri
  • le celebrità: artisti con migliaia di seguaci
  • le menti attive: utenti con interessi multipli
  • i trendsetter: coloro che per primi tendono ad entrare o ad abbandonare un mercato

 

Naturalmente, sono state anche scritte tesi di laurea serissime che si occupano del fenomeno in qualità di fenomeno sociale, e molti altri studi che cercano di stabilire quanto valgono gli influencer in particolare proprio dal punto di vista economico. Tesi di laurea, studi di settore, analisi statistiche, tutti dicono la stessa cosa, che gli influencer fanno guadagnare un sacco di soldi a se stessi e a quelli di cui si occupano. Se quindi l'influencer Z comunica (sul suo blog, su Instagram, su Facebook, ecc.) che il prodotto X è ottimo, i produttori di X controlleranno quale aumento di vendite ha determinato l'affermazione di Z e gli corrisponderanno del denaro in proporzione. Una volta stabilito che Z è in grado di muovere il mercato, le società gli offriranno soldi non solo dopo la sua pubblicità, ma prima, come accade in un contratto di lavoro normale. È chiaro a questo punto che l'influencer, se vuole mantenere la sua autorevolezza, non apprezzerà prodotti scadenti, altrimenti potrebbe di colpo crollare dal suo piedistallo. È anche chiaro che avrà comunque il potere di vendere la propria immagine al miglior offerente tra gli offerenti seri.

L'argomento non è nuovo, gli opinionisti o anche opinion maker ci sono sempre stati, e la pubblicità è l'anima del commercio; nuovo è soltanto il mezzo rapidissimo e diretto fornito dalla rete di Internet. Tuttavia, alcuni aspetti di questo nuovo mondo sono interessanti al di fuori dell'aspetto commerciale (anche se è difficile non trovarsi d'accordo con il celebre stilista Valentino Garavani che tre anni orsono in un'intervista al quotidiano Il Messaggero fece questa strepitosa affermazione, "Gli influencer propongono scelte ridicole e sbagliate e diffondono il cattivo gusto"3).

Ci sono naturalmente influencer di ogni tipo, sulla moda, sulla musica, sullo sport, sul turismo, sulla salute, sulla cucina, molto pochi quelli culturali purtroppo, molti di più quelli politici. Da diversi anni, forse - come molti suggeriscono - dal 2008 con l'elezione di Obama alla Casa Bianca, i politici hanno capito che i social sono il nuovo terreno da conquistare, meglio della televisione o della radio o dei giornali. Il blog di Beppe Grillo, da principio in veste quasi ecologista, ha portato l'attore comico genovese a fondare un partito che infine nel 2018 ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni politiche italiane. Il fenomeno quindi esce da una dimensione ridotta o indefinita, e diventa un fenomeno di massa.

Il partito di Grillo è un partito populista, vale a dire che affronta la politica utilizzando gli argomenti di quella che dovrebbe essere la voce della gente comune. Come dire che al governo dovrebbe starci quel signore che al bar discute di amministrazione, sanità, economia, sport e pensioni facendo capire che lui ne capisce di più di chi sta al potere. La suggestione di fondo è che la competenza in determinati settori non serve a nulla, perché il buon senso la può sostituire. Purtroppo, e ovviamente, non è così, anche se in certe situazioni storiche è indubitabile che si trovino, tra quelli che stanno al potere, personaggi di infimo rango.

Nel 2018 il movimento di Beppe Grillo raggiunge un risultato elettorale straordinario, ma appena un anno dopo, nel 2019 - alle elezioni europee - gran parte di quel risultato è compromessa, e la Lega di Matteo Salvini raggiunge a sua volta una percentuale altissima di consensi. Ci sono i social dietro al successo di Salvini, che è riuscito a far dimenticare il localismo separatista della Lega Nord nel nome di un ideale patriottico e sovranista? Potremmo rispondere sì per intuito, ma sono state pubblicate analisi molto più raffinate a confermarlo. E da queste analisi escono fuori risultati non sempre intuitivamente percepibili. 

Social media e populismo: un’analisi della campagna per le elezioni Europee del 20194, questo il titolo molto esplicito della ricerca effettuata dall'Università Roma Tre. Si tratta di numeri oggettivi che forniscono dati reali sorprendenti. Il primo riguarda l'Italia e la sua dipendenza dai social; molti italiani sono convinti che tutto il mondo si comporti come loro, ma non è affatto così. Leggiamo infatti che "l’area macro-geografica dove i partiti fanno un utilizzo maggiore di Facebook è quella del Sud Europa, con una media di 218,5 post totali e 77,6 post europei per account. Si tratta di un valore nettamente superiore a quanto si registra nell’Europa dell’Est e in quella dell’Ovest e pressoché doppio rispetto al Nord Europa." Nella classifica per nazioni, l'Italia è nettamente prima.

Va precisato che la ricerca nel 2019 vede Facebook come principale riferimento, vista la sua ormai enorme estensione generazionale e di contenuti, diversa dal dominio delle immagini su Instagram, che peraltro è in progressiva crescita di utenti, e dal dominio delle brevi invettive su Twitter. Quindi, il numero di post su Facebook nel 2019 rappresenta una buona quantificazione dell'impegno di un partito, ed ecco l'incredibile risultato dell'indagine sui post di partito tramite Facebook in relazione con le elezioni europee:

 

Il risultato si commenta da solo. Il populismo si alimenta e cresce grazie ai social. La comunicazione avviene non tramite scelte strategiche o ideologiche o puramente politiche, ma tramite battute, tatticismi, insulti, citazioni. L'influencer viene assurdamente seguito anche quando si contraddice con evidenza e senza alcun pudore. La pandemia ha messo in luce il sistematico e ridicolo avanti e indietro di molti influencer politici, in particolare proprio di Salvini, glorificato dai selfie degli ammiratori, che ha richiesto la chiusura delle frontiere, poi la riapertura, poi l'utilizzo di vari medicamenti miracolosi, poi i vaccini, per poi rovesciare nuovamente i contenuti, sempre nel nome di una sua presunta percezione del sentimento popolare. Ma se due anni fa Salvini aveva probabilmente indovinato quel sentimento, la successiva perdita dei consensi (dal 34 al 21 percento in due anni) ci dice che oggi l'influencer politico ha commesso errori e non tutti gli vanno dietro con la stessa testarda fiducia.

"Andar dietro a qualcuno" è una scelta di parole povere ma esplicite, mentre lo stesso concetto è stato studiato e catalogato dagli psicologi, che hanno coniato formule come "attenzione selettiva", "pregiudizio di conferma", "illusione di frequenza". Una volta stabilito che quell'influencer la pensa proprio come noi e ci piacerebbe potesse fare scelte per tutti, seguiremo solo quello che dice lui ignorando il resto (attenzione selettiva), troveremo solide conferme laddove quelle scelte sono alla base di un programma (pregiudizio di conferma) e cascheremo nell'equivoco di spiegare tutto il mondo reale tramite le coincidenze positive tra un fatto e l'altro (illusione di frequenza). Il vero problema si pone quando l'influencer comincia a non convincerci più; se le nostre conoscenze generali sono sufficienti, diventeremo circospetti e cauti e forse nel tempo abbandoneremo il nostro guru. Ma se non siamo in grado di analizzare con un minimo di autonomia quello che ci viene detto, insisteremo a cercare la verità in quel personaggio, giustificando le incertezze con la nostra ignoranza. Il primato di analfabetismo funzionale nel nostro paese spiega bene la situazione italiana rispetto a quella internazionale.

L'influencer politico ha scopi elettorali espliciti, ma soltanto lui pensa all'elezione nella giunta comunale, o regionale, o in parlamento? Da quando un imprenditore come Berlusconi è salito a Palazzo Chigi, nel 1994, in Italia nessuno si sorprende più se un fotomodello vuole diventare senatore o una sciatrice presidente della regione. Ma se Berlusconi è stato il più evidente segnale di questa metamorfosi, prima di lui ci fu Ilona Staller pornostar eletta deputata nel 1987, e prima ancora un attore di Hollywood eletto governatore della California nel 1967 e poi presidente degli USA nel 1980.

Considerati quindi i precedenti, soprattutto in Italia, la professione dell'uomo politico, le sezioni dei partiti e le associazioni politiche giovanili sono quasi scomparse, mentre diventa sempre più chiaro che l'influencer di moda, di sport, di spettacolo, di musica, può benissimo puntare al salto in politica, inteso come candidatura a una qualche elezione. I suoi follower sono sicuramente pronti a votarlo.

A questo proposito, mi sembra interessante per concludere dare un'occhiata alle classifiche degli influencer per numero di seguaci nei vari social. A livello mondiale, mescolando Facebook e Instagram ed escludendo le società (come industrie e squadre di calcio) hanno centinaia di milioni di follower star del calcio come Ronaldo, Messi e Neymar, attori come Vin Diesel e Dwayne Johnson, cantanti come Ariana Grande, Beyoncé, Shakira, e personaggi televisivi come le sorellastre Kim Kardashian e Kylie Jenner.

In Italia le classifiche dei social tra blogger, youtuber, FB e Instagram sono dominate dalle influencer di moda Chiara Ferragni e Chiara Biasi, dal buffo Khaby Lame attivo su TikTok, da varie modelle, molte esperte di cucina; i milioni di followers sono all'ordine del giorno.

Tra i politici, su Facebook Matteo Salvini ha 4,5 milioni di seguaci; Luigi Di Maio 2,3 milioni; Giorgia Meloni poco più di 2 milioni; Beppe Grillo quasi 2 milioni; Nicola Zingaretti 370mila e Enrico Letta 125mila (i numeri sono del maggio 2021). Il populismo domina.

In Italia i politici sono più presenti, per ora, su Facebook che su Instagram, ma a livello internazionale il rapporto si sta rovesciando. La differenza tra i due social sta nelle immagini, fondamentali su Instagram, decorative su Facebook. La prevalenza delle fotografie per descrivere il mondo rientra con coerenza nel fenomeno populista, dove ciò che conta è l'apparenza, la superficialità, la semplicità del messaggio. Non è un bel futuro quello che sembra profilarsi.

Nel primo film della serie Back to the future lo scienziato Doc Brown nel 1955 non crede che nel 1985 Reagan sia il presidente ed esclama: "Ronald Reagan! The actor? Then who's vice-president, Jerry Lewis? I suppose Jane Wyman is the First Lady!". Sono passati 36 anni dalla scrittura del film, e quel pazzo futuro è ormai abbondantemente superato dai fatti del presente.

 

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