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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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I corpi di Eliogabalo

 Del corpo attraverso il corpo con il corpo dal corpo e fino al corpo.
La vita, l'anima non nascono che dopo. 
Non nasceranno più. 
Tra il corpo e il corpo non c'è nulla . . .
(A. Artaud, Per gli analfabeti)

Un oggetto viene scagliato in alto. E’ un corpo, si dice, il suo destino è segnato. Ricadrà a terra. E’ la parabola dei corpi di Eliogabalo nel romanzo-saggio di Artaud. Eliogabalo fa di Roma la scena dell’epifania del suo corpo. Vi introduce la poesia che trasforma l’ordine in disordine. Vi giunge come una saetta, un fulmine, e distrugge ogni convenienza, ogni legalità, ogni armonia strutturata come una simmetria terrestre. E’ il creatore, insieme alle tre Giulie, di un regime estetico indifferente alle leggi e ai costumi di Roma: una cifra di sublimità, il gusto dell’informe e delle energie libere ne sostiene lo slancio. L’”anarchia coronata” sarà il regno dell’imperatore-Dio quattordicenne, del sacerdote del Sole il cui corpo rivestito di lamine d’oro manifesta una regalità e una sintesi di principi metafisici, di ordine sovratemporale. Le trame ordite per issare in alto il corpo sacro, solare-lunare, del giovane Eliogabalo, fino al potere imperiale, svelano un’azione scenica, la trama di una rappresentazione, in terra, di segrete alchimie celesti. Ad Eliogabalo trucidato dalla guardia pretoriana nelle latrine del suo palazzo, non appartiene la dimensione del feretro, malgrado lo stato cadaverico dell’assassinato. Ma il suo corpo, in atto, durante tutto il suo percorso vitale, è un corpo multiplo. Non può sfuggire la valenza filosofica di questa molteplicità virtuale. Eliogabalo è, innanzitutto, un corpo fisico, vulnerabile, che può essere tagliato, trafitto, sgozzato. L’identificazione illusoria col Dio solare, di cui è sommo sacerdote ad Emesa, ne fa un martire. La sua morte, così truce, descritta con toni senechiani da Artaud, segna il tronfo della sua vita di anarchico incoronato. Come San Sebastiano è colto dalla violenza omicida nella sua fioritura vitale. La morte per così dire suggella, cristallizza quella bellezza disordinata. Eliogabalo è però anche un corpo malato, pur essendo perfettamente sano, è il corpo dell’appestato che diffonde quell’epidemia che si chiama, per Artaud, teatro. Il corpo malato interiormente assiste alla performance della sua dissoluzione organica, al cambiamento di colore e di specie dei suoi liquidi, degi umori, del sangue, all’apertura e chiusura della sua superficie, delle lacerazioni e delle occlusioni, delle febbri e dei tremori che ne anticipano la morte. Come un corpo infetto l’imperatore ha diffuso nel mondo romano la “peste” dell’anarchia, ha fatto trionfare la teatralità, la magnificenza, ha dissipato favolosi tesori e sacrificato vite umane. Il corpo-specchio di Eliogabalo, che splende come il bolide-Sole di Emesa, si presenta come un bubbone pestifero, un corpo appestato, un fòmite di epidemia letale per il mondo romano. I pretoriani usano la lama per tagliare quel tumore che infetta Roma, quella piaga purulenta che secerne linfa e sangue in tutto il territorio dell’Impero. Si tratta di gettare nelle fogne quel male, allontanarlo dai tessuti sani. Nell’Eliogabalo-personaggio del “romanzo storico” di Artaud, costruito su fonti storiche incerte e partendo da storici di tradizione filo-senatoria, come Lampridio e Dione Cassio, il corpo si presenta come una superficie1 solcata da aperture e orifizi. Una nuova apertura può finirlo. E’ ricoperto di diademi e di lamine, nelle celebrazioni di cui è maestro, ma ora è la nudità del suo collo a condannarlo a morte. Dall’ultimo taglio sgorga il sangue, si consuma la vita, giunge a compimento la glorificazione del corpo erotico, del corpo laboratorio dell’insurrezione erotica. Nel corpo di Eliogabalo, figura dell’amore cosmico o cosmogonico2 in cui i princìpi metafisici si mischiano, come lo sperma e il sangue, l’inizio e la fine, si realizza il detto di Bataille “la morte è la giovinezza del mondo”3. Il testo artaudiano è l’apoteosi di quella figura categoriale della filosofia post-strutturalista che si chiama corpo senza organi4, il corpo rifatto, liberato dalla tirannia dell’organismo, più che dagli organi, emancipato dalla soggettivazione, cui Antonin Artaud dichiarò guerra il 28 novembre del 1947 nello scritto Per farla finita col giudizio di Dio5. Il corpo senza organi viene glorificato in Artaud come un dispositivo di scardinamento di poteri e fedi servili, un corpo il cui la vita-amore grandeggia nell’ampiezza di una smisurata spazialità cosmogonica. Prima e fuori dei tecnicismi del pensiero filosofico in Artaud, il corpo senza organi realizza il puro movimento d’immanenza che si svincola dalla materia bassa, fecale, statica e conquista la materia fosforica, magnetica, elettrica del “corpo glorioso”, prodotto di una trasmutazione alchemica6. Incontro al Sole e incontro al Mondo, questo corpo ha conquistato lo Spazio, le vette eccelse del fuoco solare e le tenebre dei sotterranei del tempio di Emesa, in cui è custodito il frutto del fuoco, l’oro con il quale si compra il potere. Come corpo cosmico ha percorso distanze infinite per giungere sino alle latrine del palazzo, dove giace il cadavere abbandonato, senza sepoltura né memoria, dell’imperatore-efebo di Roma. La pulsione anarchica al disordine è tale soltanto rispetto alle formalità di un potere imperiale surcodificato che rigetta l’unificazione dei principi opposti che Eliogabalo persegue7. Il dispositivo anti-occidentale, più ancora che anticristiano, di questo corpo, lo impone come manifestazione non del paganesimo, ma delle forze vitali cui il paganesmo ha dato un nome. Artaud codifica in Eliogabalo in suo antioccidentalismo, la sua Anti-Europa. La sovversione avanza, quando Eliogabalo giunge col suo bizzarro e sfarzoso corteo orientale. Tutti diventano re, persino gli schiavi 8 e la bellezza di un ordine invisibile, cosmico, si manifesta come Teatro. Scocca la scintilla. E’ il seme della rivolta, non una tirannia che ne sostituisce un’altra, ma la sovversione generale dei poteri, il dominio del disordine. Questo disordine si presenta sopra una pedana, su un palco, in scena: è il potere, sottolinea Artaud, della materia e del teatro, cioè della poesia. Per fondare questo ordine rappresentabile ma invisibile del teatro, che è poesia, si versa il sangue, nelle castrazioni rituali9, nei mestrui femminili, nel massacro del campo di battaglia. Eliogabalo riesce a unire ciò che è impossibile unire: per dirla con riferimenti moderni, il corpo ebbro di desiderio de “La chiave” di Tanizaki, spinto da una “lussuria così potente che par quasi miracolosa”, da un fermento di passione e da impulsi che trascinano “fino a perdere ogni controllo, fino alla pazzia”10 con il corpo del suppliziato, sottoposto al “fare a pezzi” cinese indicato da G. Bataille come “identità di questi perfetti contrari che oppongono all’estasi divina un orrore estremo”11. Protagonista della scena è la carne che desidera12, di un corpo non è soltanto una presenza nel mondo, che non è più l’astrazione della fisica moderna o la causa finale della fisica aristotelica. Due astrazioni non fanno una relazione. Sono gli agganciamenti, i concatenamenti, le modificazioni, le virtualità, le mutazioni a produrre un corpo. Un corpo è una pienezza di intensità, di connnessioni, di energie, l’insieme di tutti gli eventi che ci sono, nel tempo vuoto dell’Aìon. Per questo motivo Deleuze nomina il corpo come un flusso di concatenamenti, un campo di affetti, una molteplicità intensiva13.

Si sa, la peste artaudiana ne Il teatro e il suo doppio è un’entità psichica, che debilita gli spiriti e la morale14, un’onda di energia letale che gli occidentali non sopportano perché scuote dalle fondamenta tutte le loro regole e le loro certezze. Ha una sintomatologia inafferrabile, macchie, bubboni, spossatezza. Invade il corpo e ne deforma le funzioni e i processi. Riabilita il corpo come volontà, nel segno di Schopenhauer e di Nietzsche, e smaschera il primato dell’autocoscienza. Superfici e aperture che definiscono il corpo sono sconvolte dal morbo. Le pieghe e le cavità diventano il teatro di una battaglia tra i principi, di una guerra tra fecalità e corpo glorioso alchemico. Il corpo si copre di macchie, poi di ulcerazioni, di vesciche, di bolle, di ascessi, di bubboni. L’apertura al mondo diventa molteplicità del corpo senza organi, ripetizione e replicazione, ricombinazione dei suoi organi. Il corpo dell’appestato, come quello del Giobbe biblico, esplode in mille processi dissolutivi che sono altrettante metamorfosi. I volti si deformano, irrigidendosi in una maschera, le teste diventano musi caprini, teste di cavallo, di rinoceronte. E’ la disfatta della forma platonica. Vita e morte si affrontano, si abbracciano e penetrano l’una nell’altra. La forza e la fine del corpo lottano l’una contro l’altra, ma la linea del fronte è mobile, indeterminata. Il corpo, ormai, è in disordine, un vulcano, uno spazio in movimento, finalmente “crudele” per l’intensità delle sue trasformazioni. Potremmo attribuirgli l’appellativo di corpo nietzscheano, senza coscienza e senza volontà15. E’ lo spettacolo dell’anarchia. ”16. Questa peste artaudiana non è un evento metafisico, come in Camus17, ma un evento tellurico, una rivoluzione che emerge dalle profondità della terra e che cadde, un giorno, dal cielo. Il corpo-piega, superficie bucata, trapassato in corpo-piaga, diventa il corpo dell’abiezione, del crimine, il corpo del ladro, dello sciacallo e dello stupratore, un corpo che sfida la legge e l’ordinamento sociale, come nel Diario del ladro di Jean Genet18. Il corpo dell’appestato, circondato da un’aura di morte, diventa un dispositivo esplosivo, così come il corpo di Eliogabalo, allevato in una “culla di sperma”, esibito come oggetto erotico ai soldati e alle folle di Roma. Dismesso e destituito, cangiato in cadavere, quel corpo non sarà mai un feretro. Impossibile ridurre ad un ordine simbolico questo corpo distrutto nella sua dignità, insepolto, gettato nelle fogne e poi nel Tevere. Circostanze fortunose l’avevano spinto in alto, a rappresentare l’unione del corpo del sacerdote con il Dio solare. La stessa contingenza lo spinge in basso, nelle latrine. Fino in fondo questo corpo ribelle, ridotto allo stato cadaverico, è una circolazione di sangue e di escrementi, il mistero degli elementi che si combinano e ricombinano, come nel processo alchemico, che si associano e si dissociano, della copulazione multipla che connette i corpi. Figlio della lussuria e della prostituzione sacra, non ha origine certa, se non il traffico di congiungimenti, il fiume di stupri, di infamie, di violenze, di castrazioni. Soltanto il corpo organizzato, disciplinato nelle sue funzioni vitali, potrà avere un’origine certa. Artaud ha scoperto il “Corpo senza organi”, il corpo alchemico e aperto in una prospettiva del discorso sul corpo non più ambientale, ma cosmica. Eliogabalo è un corpo di fornicazione, che ha copulato con le sue madri in un intreccio incestuoso19. Egli introduce a Roma la stessa “corruzione” del suo corpo di maschio frustrato dall’energia delle sue donne. Rimane il protagonista della scena, perché i confini del corpo di Eliogabalo sono quelli dell’Impero romano. Il culto solare e le devozioni lunari fanno centro nel corpo di Eliogabalo, vera sede del “Soffio del Caos” originario. Il corpo è il teatro, in stretto rapporto con l’opus che lo rifà, nel senso dell’alchimia, cioè della purificazione che è unificazione massima dei principi maschile e femminile. Un impero, sorto da una genealogia solare, governato da castrati, ripristina l’ordine cosmico sul piano politico. E’ l’impero dell’immaginazione al potere20. I riti del culto offerto al dio Sole dal re-sacerdote Eliogabalo hanno questo scopo: ricondurre tutti i contrari all’Uno e fondere tutto in uno. Il corpo senza organi è, appunto, un corpo-caos, il corpo come “quella specie di soffio vitale, mutevole, opaca, che percorre i nervi colle sue scariche ed entra il lotta con i principi intelligenti della testa”21. La coppia sacra Sole-luna cresce e trionfa, come un’enfiagione, un bubbone o una pustola. Viene spontaneo pensare al “Rizoma” di Deleuze e Guattari, il modello epistemico di questo corpo glorioso22. Artaud chiama le macchie solari “bubboni suppuranti di una peste”23 La religione di Eliogabalo è quella del fuoco creatore-distruttore e delle pietre viventi, che emettono suoni e si muovono, perché “lanciate dal cielo”, cadute dal cielo, sono eventi. La pietra o Cono nero di Emesa conserva il proprio fuoco e lo effonde come il corpo pronto ad esplodere nel cielo cosmico. Persino l’opposizione dei sessi, tra fallo e vagina, che verrà annullata dalla grande Unificazione di cui il rito della castrazione è simbolo, rimanda ad un conflitto cosmico, alla guerra che maschile e femminile si fecero nel caos.

Il corpo è l’aperto, la sede dell’odore pestilenziale, delle emissioni che “grida, trabocca lancia veleno e sperma, come noi lanciamo sputi”24. Nel corpo e nel sacrificio c’è sempre versamento di sangue, trasmutazione materiale delle forme, cui corrisponde la purificazione25. Il sangue dei riti nel tempio di Emesa è sangue puro, che non si mischia con le deiezioni del corpo organico, del corpo della bassa fecalità, è sangue “alleggerito e reso sottile dai riti”. Il tempio di Emesa è il paradigma del corpo alchemico e del teatro alchemico ed è lo stesso cerchio che circoscrive il cielo cosmico. Il corpo senza organi si ordina soltanto in funzione della cosmicità. La descrizione del corpo coperto di macchie, pustole e bubboni, che Artaud offre nel Teatro e il suo doppio, disegna il corpo infetto come scissione e conflitto, lacerazione degli organi e sconvolgimento dell’ordine sociale. La peste di Marsiglia è il corpo di Eliogabalo, su misure diverse e in ambienti-annessi diversi. Il corpo multiplo oltrepassa il corpo fisico e il corpo-ambiente per diventare corpo cosmico. Il corpo multiplo non si lascia ridurre all’autocoscienza, all’essere immediato dell’Io, al corpo fisico, come l’immediatezza alla mediazione26. Neppure si lascia ridurre ai simboli che preannunciano il trionfo dello spirito-persona, proprio dell’ontologia spiritualistica del corpo di Maine de Biran o della fenomenologia del corpo di M. Henry27. Nella visione di Artaud il corpo vive i suoi ritmi, la velocità dei suoi processi, le improvvise accelerazioni, sino al punto da cangiarsi in una sostanza esplosiva, nello stato di “gloria” della materia che rifà se stessa, nell’intensità del suo grado iperbolico. Così diventa una proliferazione di molteplicità-corpi, una folla di ecceità, in quanto corpo desostantificato e desoggettivato.

La bellezza non gli appartiene nei termini di una “qualità”, più di quanto gli appartenga l’organismo. La sua gloria è rottura della forma. Il corpo efebico di Eliogabalo “farà uso della propria bellezza”28, non è imprigionato in essa, congelato in una forma platonica, in una specie. Si tratta, come si è visto, di un corpo in transito, di un corpo metamorfico come la crisalide-farfalla, un corpo-pube, il cui viso è un sesso e una promessa. Non c’è perfezione formale classica del tipo dell’efebo29 nel corpo di Eliogabalo, figlio della prostituta Iulia Soemia, da cui mutua un carattere “femminile traboccante”. E’ bello, ma oltre ogni orthòtes di simmetria e armonia formale. In preda alla foia erotica, segno della sua vocazione cosmica e della sua origine divina, è un fisico “in cui vi è dell’alchimia”30 Al primato greco della visione Artaud sostituisce la crudeltà e l’energia dell’azione vitale, il teatro dei princìpi. Questo corpo sacerdotale non è un semplice corpo nudo. Coincide col dio Sole di cui è la manifestazione. In esso si fondono il corpo-cagna terrestre della madre e il corpo solare-cosmico: l’inversione è prodotta dalla stessa energia dei principi metafisici. I suoi amori incestuosi con la madre si consumano dentro un recinto rituale che segna i confini del cerchio cosmico31 Il corpo di prostituzione è anche il seme del potere. L’impero di Eliogabalo nasce dal complotto di corpi delle sue donne e fa nascere un potere da una passione (Giulia Soemia-Caracalla). Ciò non basta: il potere, costituito dalla generazione, viene riconosciuto soltanto con l’esibizione. Eliogabalo viene mostrato ai soldati “come una mummia, come un reliquario, come il braccio di S. Maria Egiziaca o la testa di due Marie a S. Marie de la mer32, si mostra sui gradini del tempio di Emesa. Religione e ordine militare si stringono la mano. Anche nella ferocia della battaglia, al culmine dell’orgia di violenza, oro e sangue scaturiscono dalla stessa fonte.

Icona sacra che solo nella luce divina del sole potrà avere la sua epifania, quel corpo è un mosaico in cui si intrecciano turpitudine e solarità, luce e tenebre. Circondato da eunuchi “splende come un braciere” “schiacciato da amuleti, da pietre vive, da smalti preziosi” e non è più distinto dal dio di cui è sacerdote. E’ un corpo addobbato, come un altare. E’ una “statua di carne umana”33 che getta fiamme solari senza consumarsi. Sole, oro, bellezza: il potere cresce con la seduzione. Il corpo esplode, oltrepassa gli strati, si lacera e si gonfia come una membrana, arde nella febbre della peste teatrale o della peste epidemica. Il suo disordine si trasmette alle forme sociali. Il caos regna34. Oltre lo “strato organico”, è a partire dal corpo che l’ambiente si costituisce come scena teatrale, poesia vivente. L’anarchia coronata è “poesia realizzata”35 Il corpo di Eliogabalo lanciato come una freccia eleatica, supera ogni ostacolo ed attinge all’immobilità di un ordine eterno. Vi traboccano energie divine, che si offrono a tutti, fuori di ogni divisione in classi. Tutti diventano re, anche gli schiavi. Dilaga la sovversione generale, il dominio del disordine36 , cioè il potere della materia e del teatro-poesia, per cui si versa il sangue nelle castrazioni rituali, nei mestrui femminili e nelle guerre. Essudazione e spreco, dispendio inutile sono le leggi di movimento di questo movimento. Lo splendore e il lusso sovrabbondante ne segnano l’avvento. Nel fuoco celeste di cui è la manifestazione finiranno tutte le cose, in un grande sconvolgimento di materia. Eliogabalo è il sangue del sole, lo specchio del raggio celeste, un “re che arde”37 e che trasuda sangue come il corpo di un martire o di un salvatore. Il corpo non ha in Artaud un valore simbolico, non è un sistema di segni che rinviino ad altro, ma attua la presenza della divinità cosmica, è una cifra del divino e un insieme di geroglifici da decifrare. La parola non lo riceve e la grammatica gli è indifferente. Scrive nella carne i geroglifici del tempo vuoto e degli eventi. E’ un corpo di gloria che getta dentro l’immanenza della lotta, della guerra e della “crudeltà”, le sue energie infinite. Il divino non vive, per Artaud, nel cielo della trascendenza, ma nella forza dal basso,oscura sorgente della vita, tellurico-uterina, esempio di un “misticismo rovesciato”38. In questa superficie bucata, che costituisce il corpo, si scopre che

Tutto è corpo e corporeo. Tutto è mescolanza di corpi e nel corpo, incastro , penetrazione…Un albero, una colonna, un fiore, un bastone spuntano attraverso il corpo; sempre altri corpi penetrano nel nostro corpo e coesistono con le sue parti”39.

Sarà il corpo stesso il geroglifico di senso e la scrittura vivente.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Per Deleuze e Guattari il corpo, la pelle e il viso, sulla scorta di Freud e Bergson, sono una superficie bucata e una molteplicità pura (cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, Roma, Castelvecchi, 2003 Mille piani, pp. 68, 252).

2 Cfr. L. Klages, Dell’eros cosmogonico, Milano, Pgreco, 2012, che segna la rinascita del pensiero di Bachofen (cfr. La dottrina dell’immortalità della teologia orfica, Milano, Rizzoli, 2003). La prospettiva “cosmica” è presente, conciliata con la dialettica, anche in un autore insospettabile come B. Croce, di cui v. Breviario di Estetica, Bari , Laterza, 1954, pp. 131 sgg e soprattutto B. Croce, La poesia, Milano, Adelphi, 1994. Le sorgenti orfiche ed esiodee dell’eros alimentano il “neopaganesimo” di Artaud, che è un vitalismo dissimulato in formule sacre alla Guenon. La svolta dell’estetica crociana in direzione schellinghiana, con la riflessione matura sulla “cosmicità” della poesia, va nella stessa direzione di una visione cosmica dell’amore.

3G. Bataille, L’erotismo, p. 28 cit. da Giorgio Cesarano, L’insurrezione erotica, in: Manuale di sopravvivenza, Dedalo, Bari, 1974

4 Il corpo senza organi è un corpo destratificato, cioè è lo stesso piano d’immanenza sotto l’angolo dell’organicità. Nella sesta parte di Mille piani viene presentato come un insieme di pratiche, una sperimentazione antipsicanalitica, un limite in senso kantiano, cui non si finisce mai di accedere, abitato e popolato da intensità e l’insieme della pura molteplicità d’immanenza nel piano di consistenza. La scoperta artaudiana del Cso come corpo rifatto che sa danzare al contrario e riconoscere la crudeltà dell’uomo nella sua natura di “animale erotico”, lo rende identico a Spinoza, la cui Etica è il “grande libro” sul Corpo senza organi. Insomma, per Deleuze e Guattari “Eliogabalo è Spinoza, Spinoza è Eliogabalo resuscitato” (G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, Roma, Castelvecchi, 2003 , p. 237)

5 G. Deleuze e F. Guattari citano in Mille piani due opere di Artaud: Eliogabalo e Al paese dei Tarahumara. Su quest’ultima opera cfr. M. Piermarini, Sacrificio, continuità, morte, Il bolero di Ravel (www. ilbolerodiravel. org) Vetriolo, 2004.

6 Cfr U. Artioli, F. Bartoli, Teatro e corpo glorioso, Milano Feltrinelli, 1978, pp. 220-221 e e 217 sgg.

7 Questa unificazione oggetto della “guerra dei princìpi” è, sottolineano Deleuze e Guattari, soltanto in apparenza legata alla dialettica hegeliana. Artaud “fa d’Eliogabalo una specie di hegeliano. Ma è un modo di parlare, perché la molteplicità supera fin dall'inizio ogni opposizione e destituisce il movimento dialettico. ” G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, ed. cit. p. 247-8, nota 10. Lo stesso potrebbe dirsi per il pensiero di Georges Bataille.

8A. Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato, Milano, Adelphi, 1998, p. 108

9 Sulle mutilazioni sacrificali vedi G. Bataille, Diccionario critico, trad, spagnola de “La congiura sacra”. pp. 27 sgg. Bataille costruisce tutta un’antropologia” maledetta” delle parti del corpo, ad es. il ditino del piede (p. 15 sgg), la bocca (p. 25)

10 Junichiro Tanizaki, La chiave, Bompiani, Milano, 1980, p. 53. L’eros domestico di questo romanzo si rovescia nel demoniaco dell’eros come “rete di seduzione” in J. Tanizaki, Il demone, Torino, Einaudi, 2010, in un contesto fortemente dominato dalla coppia eros-thanatos.

11 G. Bataille, Le lacrime di Eros, Bologna, Boringhieri, 1995, p. 222.

12Il desiderio è incomprensibile senza l’ambiente annesso. Così nella dimensione della Parigi metropolitana e dei suoi boulevards C. L. Philippe poteva scrivere: “La nostra carne conserva tutti i ricordi, e li mischiamo con i nostri desideri. Solchiamo il presente con questo bagaglio, andiamo avanti e in ogni istante siamo interi” (C. L. Philippe, Bubu di Montparnasse, Milano, Garzanti, 1966, p. 18). Impossibile avvicinarsi all’eros di Lawrence Durrel de “Il quartetto di Alessandria” senza il contesto alessandrino o al suo “La grotta di Prospero” senza quello egeo dell’isola di Corfù.

13 Il rizoma, come il corpo nomade, per Deleuze e Guattari “è sempre nel mezzo, tra le cose, inter-essere, intermezzo” (G. Deleuze, F. Guattari, Rizoma, Castelvecchi,1997, p. 48-49). Il viso fa parte del sistema superficie-buchi del corpo ma “da solo, è già tutto un corpo: è come il corpo del centro di significanza, nel quale s’impigliano tutti i segni deterritorializzati e che fissa il limite della loro deterritorializzazione…. Il viso è l’icona propria del regime significante, la riterritorializzazione interna al sistema. Il significante si riterritorializza sul viso. ” G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, Roma, Castelvecchi, 2003 cit. p. 181.

14 A. Artaud, Il teatro e la peste, in: Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000, p. 136

15 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, “I quattro grandi errori”, Roma, Newton Compton, 1986, p. 142-144, per la critica dell’errore di una falsa causalità, cioè della volontà e della coscienza-spirito e dell’io.

16 A. Artaud, Il teatro e la peste, cit. p. 148.

17 Cfr. A. Camus, La peste, Milano, Bompiani 2000. In Camus la peste è una cifra del Male storico, il nazismo, di fronte al quale si pongono problemi di responsabilità etica e di riflessione metafisica sulla razionalità del reale. In Artaud invece la peste è la rappresentazione, il Teatro della Morte e della crudeltà in cui, senza finzioni e ammaliamenti, le passioni e le motivazioni delle azioni umane sono ricondotte alla loro reale nudità.

18 J. Genet, Diario del ladro, in Id. , Romanzi, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp. 139 sgg.

19 La stessa atmosfera nera e sacrale circonda i personaggi del racconto di M. Yourcenar “Anna, soror…” in cui la coppia dissolutezza-ascetismo si trova indissolubilmente legata all’eros incestuoso (v. M. Yourcenar, Come l’acqua che scorre, Novara Mondadori-De Agostini, 1987 pp. 3-59).

20 Cfr. R. Turcan. Eliogabalo e il culto del sole, Genova, Ecig, 1991, pp. 145-171.

21 A. Artaud, Eliogabalo, p. 15

22 G. Deleuze, F. Guattari, Rizoma, Roma, Castelvecchi, 1997, pp. 14-54

23 A. Artaud, op, cit. p. 16.

24 A. Artaud, op. cit. p. 36

25 A. Artaud, Eliogabalo, op. cit. p. 38.

26 Cfr. G. Gentile, La natura, in Id, Introduzione alla filosofia, Firenze, Sansoni, 1981 p. 96

27 Cfr. M. Henry, Le corps vivante, Conferenza, 1995.

28 A. Artaud, Eliogabalo, p. 21.

29 Eliogabalo è agli antipodi del modello dell’adolescente bello, immortalato nelle pagine de La morte a Venezia di T. Mann, in cui, platonicamente, la bellezza è veicolo alla verità da contemplare “con l’aiuto di un corpo” che funge da semplice rappresentazione “per renderci visibile l’astratto” con la forma e il colore della giovinezza umana (T. Mann, La morte a Venezia, Repubblica, 2002, pp. 59-60.

30 A. Artaud, Eliogabalo, cit. , p. 72.



31 A. Artaud, op. cit. p. 73

32 A. Artaud, op. cit. p. 74

33 A. Artaud, op. cit, p. 77

34 Gli orifizi, le fessure, le cicatrici, gli stiramenti, le aperture, le occlusioni, le erezioni, le deiezioni, le tensioni, le contrazioni e i rilassamenti sono sempre in rapporto ad un ambiente. Gli ambienti sono associati, nella concezione deleuziana, con le forme organiche, sono “morfogenetici”.

35 A. Artaud, op, cit. p. 98

36 Cfr. A. Artaud, op. cit. p. 108

37 A. Artaud, op. cit. p. 83

38 U. Artioli, op,. cit. p. 225 e nota n. 35, sottolinea, malgrado le ovvie differenze, la presenza in Artaud di temi della mistica paolina del corpo glorioso della Lettera ai Corinzi e l’impostazione gnostica della sua antropologia.

39 G. Deleuze, Logica del senso, Milano, Feltrinelli, 2009, p. 84