Natalia Ginzburg, Lessico famigliare

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Natalia Ginzburg

Lessico famigliare

 

 

Einaudi, Torino, 2014

ISBN-13 978-8806219291, € 12

 

 

 

 

Arduo incasellare Lessico famigliare tra i generi del romanzo, ammesso che ciò sia da ritenersi importante. Autobiografia? Memoriale storico? A noi sembra piuttosto un libro "necessario". Necessario perché narra l'universo familiare di Natalia Ginzburg. Necessario poiché lo sfondo delle vicende riguarda perlopiù la città di Torino e il trentennio 1920-1950. E necessario in quanto disegna i ritratti di tanti uomini e donne protagonisti nel panorama culturale e politico dell'Italia di quel travagliato periodo storico. Ma è ancor più necessario dal punto di vista linguistico dal momento che sciorina fin dalle prime righe il ricco e fantasioso campionario di vocaboli, neologismi, storpiature, espressioni popolari e modi di dire tipici della famiglia Levi: padre, madre, i cinque figli - tra cui Natalia, narratore interno - ai quali si può aggiungere la domestica Natalina. E nonostante si tratti di una lingua e di un lessico privato, famigliare, appunto, essi finiscono per assumere un carattere universale.

Gli eventi raccontati in Lessico famigliare sono compresi tra il 1919, l'anno in cui il padre, Giuseppe Levi, aveva ottenuto la cattedra di Anatomia Umana all’Università di Torino, e il 1950, quando Cesare Pavese si tolse la vita all'albergo Roma della capitale sabauda. È il trentennio seguito alla prima guerra mondiale, ricco di avvenimenti e profonde mutazioni, caratterizzato dall'enorme sviluppo economico e sociale nel triangolo industriale, dall'espansione della classe operaia e del socialismo, dall'ascesa del nazionalismo e del fascismo, dalla dittatura di Mussolini e dalle avventure coloniali, dalle leggi razziali e dalla persecuzione degli ebrei, dalla partecipazione al secondo conflitto mondiale a fianco della Germania, dai bombardamenti e dalla fame, dall'armistizio e dall'occupazione nazista, dalle deportazioni e dalla Resistenza, dalla Liberazione, dalla nascita della Repubblica, dalla ricostruzione e dal ritorno alla normalità...

Si entra sommessamente nelle pagine iniziali del volume, quasi si penetrasse in casa altrui per la prima volta; ma dopo un po' si arriva a condividere una realtà di rapporti umani ricchi e variegati: familiari e parenti, amici e compagni, conoscenti e colleghi con le loro peculiarità fisiche e le loro stranezze, le storie curiose o drammatiche, gli aneddoti, le parole e le frasi degne di nota, e da includere nel dizionario di casa Levi: "Non riconosco più la mia Germania", "De cosa spussa l'acido solfidrico", oppure "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna". Giuseppe Levi (Trieste, 1872), di chiare origini ebraiche, è il burbero - e simpaticissimo - protagonista che urla: "Vaniloquio!", e bofonchia per la casa le sue disapprovazioni a chi sta "sempre a dir sempiezzi", cioè stupidaggini, e i suoi epiteti, spesso rivolti alle donne di servizio vanno da asina a demente a malignazza. I potacci, o sbrodeghezzi, sono gli intrugli combinati a tavola dai familiari, mentre le negrigure sono le goffaggini e le azioni rozze o malfatte. Ma l'autoritarismo del Beppino trova la sua massima espressione durante le gite in montagna che impone a tutta la famiglia. La descrizione dei preparativi, della messa a punto delle attrezzature, e le istruzioni (meglio dire gli ordini) a cui sottopone i figli sono veramente divertenti, e degni delle migliori pagine di Tre uomini in barca, noto romanzo umoristico di Jerome K. Jerome.

La madre, Lidia Tanzi, cattolica non praticante, è tutt'altra persona: lieta e disincantata, è benvoluta da tutti per la sua mitezza, e la sua allegria è contagiosa. Le piacciono i vestiti, uscire per lo shopping e andare al cinematografo. Spesso intona arie dal Lohengrin di Wagner, oppure compone semplici rime che ripete come un mantra: "Io son don Carlos Tadrid / e son studente in Madrid...". Anche Mario, secondo dei figli maschi, si cimenta con i versi: "E quando arrivano i signori Tosi / Tutti antipatici, tutti noiosi", e con gli insistiti cambi di vocale: "il baco del calo del malo", che provocano la prevedibile reazione paterna. Gino, invece, il primogenito, è quello serio e diligente, il prediletto; mentre Alberto recita la parte della pecora nera della famiglia. Tra le femmine Paola è la preferita dalla mamma perché spendacciona, e la segue nei negozi di stoffe e abbigliamento; Natalia, la più piccola, non le dà molto spago, anzi.

L'operazione di recupero della memoria continua con i numerosi frequentatori di casa Levi, dal generoso Adriano Olivetti, rampollo dell'ingegnere delle macchine da scrivere di Ivrea, che sposerà la Paola, a Vittorio Foa, uno dei protagonisti della Resistenza e della nascente Repubblica Italiana, da Giulio Einaudi, fondatore delle gloriose "edizioni dello struzzo", ai suoi preziosi collaboratori, a Felice Balbo, a Cesare Pavese, ritratto a mangiare ciliegie e sputarne i noccioli, a Leone Ginzburg, marito di Natalia Levi, torturato e ucciso dai nazisti nel carcere di Regina Coeli, a Roma, allo storico Luigi Salvatorelli, al pittore Felice Casorati e al poeta Eugenio Montale, cognato della Lidia. E poi gli illustri allievi del prof. Giuseppe Levi: Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini e Salvador E. Luria, una triade di Premi Nobel. Una considerazione a parte meritano Filippo Turati, fondatore del Partito Socialista Italiano, e la compagna Anna Kuliscioff, entrambi stimatissimi in casa Levi, dove il Turati, braccato dai fascisti, venne nascosto per più d'una settimana, prima del suo espatrio in Francia (1926).

Queste continue presenze in casa s'intrecciano alla vita quotidiana descritta dall'autrice con un eterno sguardo fanciullesco, come una sorta di proustiana memoria involontaria. Non è forse un caso che Natalia Ginzburg nel 1937 tradusse Dalla parte di Swann, il primo dei libri che compongono Alla ricerca del tempo perduto. E non è un caso che la famiglia Levi non poté passare indenne tra gli anni della dittatura fascista, sospettata di aver ospitato elementi sovversivi, tant'è che Lidia, uscendo esclamava; "Vado a vedere se hanno buttato giù Mussolini". Il Beppino, invece, sosteneva che"... non c’era, contro il fascismo, nulla, assolutamente nulla da fare". Così aveva dovuto passare una buona quindicina di giorni in prigione. E continuare in Belgio l'attività accademica per circa un biennio. Anche Gino aveva trascorso due mesi in galera e Mario era dovuto fuggire in Svizzera in maniera avventurosa per sfuggire alla cattura. Non si dimentichi, inoltre, che a Natalia venne ucciso il marito dai nazifascisti e così scelse di assumerne il cognome, in ricordo.

Anche nella descrizione di questi drammi, tuttavia, la prosa della scrittrice, nata a Palermo nel 1916, rimane composta, accogliente, così come sono le famiglie italiane. E il lettore che entra in casa Levi rimane coinvolto in quelle pagine semplici e meravigliose, nell'ospitalità e nella dolcezza degli affetti di un nucleo familiare che diventerà il proprio: è la magia della letteratura, ed è l'aspetto più evidente di quest'opera preziosa pubblicata da Einaudi nel 1963, e vincitrice proprio lo stesso anno del Premio Strega. Nella Prefazione al libro Natalia Ginzburg rivendica il realismo dei luoghi, dei fatti e delle persone, dichiarando di non aver inventato nulla, e di non aver realizzato una mera autobiografia, ma di aver seguito fedelmente il filo della memoria...