Tre sintesi, tre tagli e quattro macchine. Dall'organismo al soggetto nell'Anti-Edipo

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Introduzione

È nota la concezione alla base dell'Anti-Edipo: l'inconscio non è – come vorrebbe Freud – un teatro, palcoscenico in cui si muovono i burattini già dati del complesso edipico, secondo uno schema sempre identico a sé; piuttosto, esso è una fabbrica, un'officina, ossia essenzialmente un luogo di produzione. Lo stesso desiderio, nozione cardine attorno a cui ruota l'intera costruzione teorica di Deleuze e Guattari, non sta a indicare tanto una mancanza, quanto invece si dimostra essere testimonianza e agente dell'infinito processo di produzione (inconscio o meno): il desiderio è la produzione stessa, la quale opera su flussi e genera oggetti parziali, sempre legata a qualcosa d'altro, logica plurale di creazione del reale.

In questa sede non ci soffermeremo tanto sulla polemica condotta da Deleuze e Guattari contro la psicanalisi (e i lacaniani piuttosto che Lacan stesso); vorremmo invece concentrarci su un tema più preciso, delimitato – e forse secondario all'interno della logica dell'opera. Nostra intenzione è cercare di analizzare il ruolo del corpo all'interno dell'Anti-Edipo, specificatamente inteso come superficie d'iscrizione (o di registrazione, come più comunemente scrivono gli autori). Per riuscirvi, cercheremo di chiarire cosa debba intendersi con nozioni come analizzando le tre sintesi passive e le relative macchine presentate da Deleuze e Guattari. Sarà quindi condotta un'attenta lettura delle prime pagine dell'Anti-Edipo: è proprio qui, infatti, che possiamo a nostro giudizio ritrovare una particolare visione del corpo.1

  

Il processo, la produzione

In apertura dell'Anti-Edipo troviamo esposta la tesi secondo cui l'intera Natura altro non è che processo: ciò «che lo schizofrenico vive specificatamente [...è] la natura come processo di produzione. Cosa vuol dire qui processo?» (p. 5). Ebbene, il processo pare essere quell'incessante catena che lega ogni sfera della produzione, ogni macchina desiderante e produttrice in una stessa istanza generativa. Il fatto è che ogni entità sembra inevitabilmente indotta a produrre qualcos'altro, che siano flussi, tagli o prelievi: insomma, che ogni cosa sia letteralmente una macchina, e una macchina produttrice. E così, poco dopo possiamo leggere: «Cosicché tutto è produzione: produzione di produzioni, di azioni e di passioni; produzioni di registrazioni, di distribuzioni e di punti di riferimento; produzioni di consumi, di voluttà, d'angosce e di dolori» (Ibid.). D'altra parte, sappiamo delle posizioni radicalmente empiriste di Deleuze, secondo cui, come nota giustamente Rocco Ronchi, «il reale non è costituito di fatti, ma di atti. Non ci sono cose ma processi»2. È difficile, in ogni caso, dare una definizione precisa di ciascuno di questi termini (processo, produzione, macchina, flusso, taglio etc.): Deleuze e Guattari non si curano mai – o quasi mai – di fornire una spiegazione rigorosa dei concetti da loro coniati; piuttosto, si sforzano di mostrarli in azione, di far vedere come funzionano e a quale scopo. È quel che abbiamo cercato di fare anche noi nel presente scritto: la speranza è che ognuno di questi termini risulti via via più chiaro, nel corso dell'esposizione. Per ora accontentiamoci quindi di assumere come corretta la visione immanentemente produttrice della realtà, posta dagli autori.

Tutto è flusso, tutto è produzione e macchina dunque. Ma di queste ne esistono almeno di quattro tipi – la macchina paranoica, quella miracolante e la celibe: ognuna sorta dal combinarsi di tagli, flussi, prodotti, a partire dalla macchina desiderante. Guattari e Deleuze le introducono in sequenza, come successive fasi3 di una medesima produzione di produzione e risposta di un corpo-macchina in relazione ai flussi e alle altre macchine-organi: ossia come una sorta di reazione data e provocata da una macchina desiderante inserita nel processo. Parallelamente alla presentazione delle tre macchine, saranno di seguito analizzate nel dettaglio le tre sintesi passive a queste associate: e questo perché macchine e sintesi agiscono, operano assieme e nel medesimo momento – facce diverse dello stesso processo. Ora, le tre sintesi passive4 sono la sintesi di produzione (produzione di produzione, cui corrisponde la macchina paranoica associata), la sintesi di registrazione (produzione di registrazione, macchina miracolante) e la sintesi di consumo (produzione di consumo e macchina celibe): presupposta a ciascuna resta comunque la macchina desiderante, la quale prende forma nelle differenti macchine-organo generanti i flussi nonché i prelievi e gli stacchi che avvengono su di essi. Cominciamo quindi dalla sintesi di produzione.

 

 

La sintesi di produzione, il taglio-prelievo

Tutto è produzione, tutto è processo: la differenza tra natura e fabbrica – il luogo produttivo per eccellenza – è venuta a cadere. L'uomo non è più il re della natura perché non v'è apparentemente5 più alcuna differenza all'interno della produzione: natura, fabbrica, uomo, animali, piante – ma unicamente e semplicemente processo. Il flusso continuo, costante e (virtualmente) infinito accomuna ora ogni oggetto ed entità del mondo, sino alle rotazioni e ai moti dei pianeti – e poi ancora gli scambi microscopici (molecolari) e quelli universali di energia e materia (molari). D'altra parte, per questo infinito di produzione è richiesto un correlato logico, ovvero gli agenti, gli operatori molecolari o molari di tutti questi flussi, consci e inconsci: è necessario insomma produrre la produzione stessa, sono necessarie le macchine. Ora, che cos'è una macchina? Essa viene definita come «un sistema di tagli. Non si tratta affatto del taglio inteso come separazione dalla realtà: i tagli operano in dimensioni variabili, secondo il carattere considerato. Ogni macchina, in primo luogo, è in rapporto con un flusso materiale continuo (hyle) nel quale essa recide» (p. 38): flusso, taglio, innesto – innesto poiché ogni «macchina non produce un taglio di flusso se non in quanto è innestata su un'altra macchina che si suppone produca il flusso» (p. 39). Dunque, trattare delle macchine significa trattare di produzione, e precisamente come abbiamo accennato di produzione di produzione. Ma parlare di produzione di produzione non è un semplice gioco di parole: le macchine producono incessantemente flussi, operano tagli su questi, si innestano su differenti macchine per il processo di ancora nuovi flussi, tagli e prelievi. L'espansione è orizzontale, capillare reticolo macchinico: il processo è al contempo risultato e presupposto – ossia immanenza. Oggetti parziali si accumulano, in quanto tali, composti dal taglio e prelievo di un flusso; l'importante, ci viene detto, è non chiedersi cosa significhino ma come funzionino, a cosa servano. Macchine paranoiche – e presto le vedremo –: l'infinito produttivo della fabbrica universale, del processo, porta alla coincidenza tra produttore e prodotto, e tra il prodotto e il produrre: il desiderio, ancora, sarà principio immanente al processo. Non come mancanza, tradizionale lettura fallace propria al pensiero occidentale, da Kant a Lacan: il desiderio non si muove, produce o alimenta della mancanza dell'oggetto desiderato; tutt'al contrario, il desiderio innanzitutto produce – e la mancanza sarà solo mero effetto secondario della macchina desiderante produttrice. Il desiderio muove, crea, agisce il reale: ovvero molteplicità; noi non desideriamo mai solo una cosa, un oggetto. Al contrario, questi è sempre legato a qualcos'altro: ''e...e'': e da qui, da questo movimento provocato e generatore di stacchi e flussi, prenderanno forma gli oggetti parziali.

Il prodotto è il risultato di un prelievo di flusso virtualmente infinito da parte di una macchina innestata su un'altra, produttrice di altro flusso: ma a sua volta, la macchina che preleva il flusso – che opera uno stacco qui – sarà macchina produttrice di flusso per una differente macchina, la quale agirà su questa come prelevatrice di flusso, e così via: il reticolo di macchine, il flusso, la produzione. Ma a tal proposito: gli oggetti si formano, come accennato, proprio da questi prelievi di flusso; essi ne risultano essere il prodotto, l'oggetto parziale. Il quale, di nuovo – e proprio come per i flussi –, sarà interrotto «da altri oggetti parziali, i quali producono altri flussi, reinterrotti da altri oggetti parziali» (p. 7). E perciò sempre «del produrre è innestato nel prodotto, e per questo la produzione desiderante è produzione di produzione, come ogni macchina è macchina di macchina» (p.8). È in gioco la famosa forma connettiva ''e...e'' (o anche ''e poi''), opposta in Logica del senso al sillogismo disgiuntivo negativo (''o..o''): questa macchina e poi quella, questo flusso e quello e ancora e ancora. La sintesi di produzione è definita da un sistema binario poiché le macchine stesse «sono macchine binarie» (p.7), l'una innestata sull'altra.Ora, è proprio nell'intersezione di prodotto e produrre – per la loro inter-iscrizione potremmo dire, e alla fine identificazione –, di macchina con macchina (sorgente e organo, flusso e taglio, prelievo), nell'insieme dell'''e...e'' che è possibile identificare la produzione di produzione. «La regola di produrre sempre del produrre, di innestare del produrre sul prodotto, è il carattere delle macchine desideranti o della produzione primaria: produzione di produzione» (p.9).

Per comprendere cosa intendono Deleuze e Guattari quando parlano di un taglio del flusso virtualmente infinito (hyle) pensiamo, ad esempio, alla produzione delle ostie. Sono chiaramente di fattura industriale, o al più artigianale: ma nella loro lavorazione non presentano alcunché di sacro. Eppure è come se appartenessero all'unico flusso infinito (hyle) del pane spezzato da Cristo a simbolo della propria carne. La Chiesa, insomma, effettua un taglio, un prelievo dal flusso di produzione delle ostie industriali o artigianali e lo innesta, come oggetto parziale, sul flusso infinito della sacra ostia simbolo di Cristo. E così, «lungi dall'opporsi alla continuità, il taglio la condiziona, implica o definisce ciò che taglia come continuità ideale. La macchina non produce un taglio di flusso se non in quanto è innestata su un'altra macchina che si suppone produca il flusso. E quest'altra macchina è magari a sua volta in realtà taglio. Ma non lo è se non in rapporto con una terza macchina che produce idealmente, cioè relativamente, un flusso continuo infinito» (p. 39). Il senso del taglio flusso sta tutto qui: l'innesto (virtualmente) infinito di prelievo e di flusso che conduce alla produzione di produzione. D'altra parte, occorre tenere presente che allo stesso modo in cui non si può mai desiderare una sola cosa, bensì sempre e solo una molteplicità («e poi, e poi, e poi..»), così una macchina non può mai essere considerata singolarmente. La definizione di macchina data da Deleuze e Guattari è la seguente: «Una macchina si definisce come un sistema di tagli (coupures). Non si tratta affatto del taglio considerato come separazione dalla realtà; i tagli operano in dimensioni variabili secondo il carattere considerato. Ogni macchina, in primo luogo, è in rapporto con un flusso materiale continuo (hyle) nel quale essa recide» (p. 38). Ciò significa che ogni macchina è innestata sopra un'altra, sorgente del flusso, la quale a sua volta è taglio di una differente macchina-sorgente che a sua volta, e così via. «Insomma, ogni macchina è taglio di flusso rispetto a quella su cui è innestata, ma è essa stessa flusso o produzione di flusso rispetto a quella su di essa innestata. È questa la legge di produzione di produzione» (p. 39). Dunque, primo taglio → innesto del produrre sul prodotto → produttività del desiderio. Il taglio del flusso, la creazione di oggetti parziali, resta comunque solo il primo dei differenti tipi di taglio che le macchine sono in grado di operare.

Le macchine desideranti altro non fanno, altro non desiderano che questo: produrre del produrre. Universo-officina. Eppure è proprio a questo livello, e precisamente nell'identificarsi tra prodotto e produrre, che entrano in gioco due nuovi termini: una nuova macchina – la macchina paranoica – e un nuovo oggetto, «terzo termine nella serie lineare [di prodotto e produrre]: l'enorme oggetto non differenziato». (p.9). Macchine-organi tra loro relate in interazioni complesse, sino a essere organizzate gerarchicamente, per strutture, e finalizzate al produrre l'intero della loro complessità interconnessa: le «macchine desideranti ci danno un organismo». Eppure, proseguono Deleuze e Guattari, «in seno a questa produzione, nella sua stessa produzione, il corpo soffre di essere così organizzato, di non avere altra organizzazione, o assolutamente nessuna organizzazione» (p.9). Le macchine desideranti, ci viene assicurato, funzionano per colpi a vuoto, mancanze, inceppi; e tanto più si rompono meglio è. Ma quando questo avviene, quando le macchine desideranti smettono di funzionare per un attimo, arrestandosi, è permesso l'improvviso emergere alla superficie di quella «massa inorganizzata che articolavano» (p.9): l'improduttivo, l'enorme oggetto non differenziato, il corpo senza organi fa la sua comparsa e con esso – oltre all'improvvisa possibilità di un'esperienza totalmente altra, prima del formale e del già organizzato, esperienza per intensità6 – compare la macchina paranoica.

 

La macchina paranoica

I flussi e le operazioni che vi avvengono, i tagli e i prelievi, scorrono tutti su una superficie non generata, sempre presupposta, corpo pieno inteso come terzo momento, il movimento negativo in quanto elemento contraddittorio e non positivo della serie (serie produrre-prodotto, macchina-macchina, flusso-taglio etc.: come un codice binario, 1,2, 1, 2... ora negato senza che per questo il flusso stesso del codice venga interrotto). Ma il negativo non deve essere inteso come una qualità nichilistica, distruttrice: piuttosto, la sua connotazione corretta è la neutralità, il grado zero dell'amorfo e dell'informale, l'elemento antecedente a ogni produzione e al contempo necessario affinché esso sia possibile. È infatti sulla superficie di questo terzo «enorme oggetto non differenziato» che avviene la produzione. Eppure il corpo senza organi, si può leggere, è esso stesso prodotto «a suo tempo e luogo nella sintesi connettiva, come identità del produrre e del prodotto» (p. 10). Il corpo senza organi è l'improduttivo a sua volta prodotto, a patto di intendere qui – per lo meno nella nostra interpretazione – la produzione come la sua possibilità d'emersione alla superficie e di rottura delle sintesi produttive al fine di ricominciare da zero, ripartire da capo in nuovi cicli di produzione. Le macchine desideranti, gli oggetti parziali, gli organi-macchina e la loro gerarchizzazione produttiva sono ora repulsi dalla «superficie scivolosa, opaca e tetra» del corpo senza organi – macchina repulsiva. Ma le macchine desideranti non possono arrestarsi oltre quell'attimo di colpo a vuoto, di rottura: e riprendono la produzione agendo violenza sullo stesso corpo senza organi, conducendo una «azione d'effrazione» (p. 11) sulla sua superficie. Per questo motivo Deleuze e Guattari scrivono che il corpo senza organi sperimenta le macchine desideranti come un «apparato di persecuzione»: ed è qui che verrà a formarsi la macchina paranoica. Essa nasce «nell'opposizione tra processo di produzione delle macchine desideranti e stazione improduttiva del corpo senza organi. Lo testimoniano il carattere anonimo della macchina e l'indifferenziazione della sua superficie. […] Ma in sé la macchina paranoica è una incarnazione delle macchine desideranti: essa risulta dal rapporto tra le macchine desideranti e il corpo senza organi, in quanto questo non può più sopportarle» (p. 11).

Sino a questo momento ci siamo mossi su un campo molecolare, micrologico (o, se si preferisce, inconscio, benché nella nostra lettura vorremmo attenerci a un'interpretazione quasi carnale, ontologicamente materiale delle macchine): ma, sostengono Deleuze e Guattari, anche la produzione sociale esige un momento improduttivo, una superficie sopra cui possano scorrere i flussi e avvenire i processi di produzione: ovvero «una stazione improduttiva ingenerata, un elemento d'antiriproduzione abbinato al processo, un corpo pieno determinato come socius. Può essere il corpo della terra, o il corpo dispotico, oppure il capitale» (p. 11). Un'intera superficie di registrazione va ora a estendersi, sull'integralità del processo produttivo (poco importa se sia molare o molecolare), salvo poi ripiegarvisi sopra e apparire «come il suo presupposto naturale o divino» (p. 12), appropriandosene, attirando la produzione desiderante. Le forze di produzione, gli agenti, i flussi: ogni cosa ora può e deve essere iscritta e distribuita su questa superficie di registrazione; e da questa tutto sembra emanare, come fosse sua universale quasi-causa. «Forze e agenti diventano la sua potenza in una forma miracolosa, sembrano da esso [il corpo pieno senza organi, la superficie di registrazione] miracolati. In breve, il socius come corpo pieno forma una superficie ove tutta la produzione si arresta e sembra emanare dalla superficie di registrazione» (p. 12). Il delirio della società è prendere questo funzione di quasi-causa della superficie, l'emanazione fittizia degli oggetti da essa e il movimento illusorio che vi si conduce sopra, come realtà: «tutto sembra (oggettivamente) prodotto dal capitale in quanto quasi-causa» (p. 12); a prendere corpo ora è il feticcio. «Il capitale è sì il corpo senza organi del capitalista, o meglio dell'essere capitalistico: ma come tale […] produce il plusvalore, come il corpo senza organi si riproduce da sé, germina e si estende sino ai limiti dell'universo» (p. 12).

Si è messa in funzione una «macchina d'attrazione», e subito dopo (ma ancora, attenzione alla logica del tempo, è un ''dopo'' sempre presente, co-estensivo al ''prima'') l'agire della macchina repulsiva: «una macchina miracolante dopo la macchina paranoica» (p. 13). Adesso il corpo pieno sociale (socius) a livello molare, e il corpo senza organi di ciascuno sul piano molecolare7, sono chiamati a fungere da superficie di registrazione all'interno del processo di produzione (del desiderio): è venuta formandosi, insomma, «una superficie incantata di iscrizione e di registrazione che si attribuisce tutte le forze produttive e gli organi di produzione, e che agisce come quasi-causa comunicando loro il movimento apparente (il feticcio)» (p. 13). A questo punto però non ci troviamo nemmeno più all'interno della prima sintesi (produzione di produzione): impercettibilmente siamo scivolati sul campo della produzione di registrazione.

  

La sintesi di registrazione, la macchina miracolante, il taglio-stacco

Se la legge della produzione di produzione era la sintesi connettiva («e poi, e poi, e poi..»), con l'emergere dell'elemento improduttivo (il corpo senza organi) assistiamo all'imporsi di un nuovo principio: «quando le connessioni produttive passano dalle macchine al corpo senza organi […] si direbbe che rientrino sotto un'altra legge che esprime una distribuzione rispetto all'elemento non produttivo in quanto ''presupposto naturale o divino'' (le disgiunzioni del capitale)» (p. 14). La superficie del corpo senza organi, il quale poco prima si era irruentemente manifestato come terzo elemento indifferenziato, è ora costellata da macchine differenti, in un reticolo di nuove sintesi: i punti in cui si innestano le macchine, in cui si «agganciano» divengono altrettanti punti di disgiunzione sulla superficie del corpo senza organi; le connessioni che ora si stabiliscono tra loro sono totalmente differenti rispetto alle sintesi connettive di produzione precedenti. All'«e poi, e poi, e poi..» e all'«oppure» è adesso sostituito il «sia...sia», il che vuole significare per l'appunto l'affermazione della differenza in quanto tale, non escludente: «il ''sia'' designa il sistema di permutazioni possibili tra differenze che sono sempre lo stesso, spostandosi, scivolando» (p. 14). La possibilità che ora si apre è un'intera riorganizzazione informale dell'esperienza, un sentire più che un pensare (Io sento invece che Io penso), un divenire-altro, passare soglie e gradienti, vivere in intensità – lo vedremo tra poco meglio. La produzione di produzione precedente è in parte modificata, si assiste a una parziale trasformazione energetica: «La sintesi disgiuntiva di registrazione viene dunque a sovrapporsi alle sintesi connettive di produzione. Il processo come processo di produzione si prolunga in procedimento come procedimento d'iscrizione. O meglio, se si definisce libido il ''lavoro'' connettivo della produzione desiderante, si deve dire che una parte di questa energia si trasforma in energia d'iscrizione disgiuntiva (Numen)» (pp. 14-15). La macchina miracolante attira a sé, dove la macchina paranoica respingeva. Ma, ancor più importante, ogni cosa dovrà adesso essere inscritta, codificata e registrata sulla superficie opaca e scivolosa del corpo senza organi.

Il secondo tipo di taglio pare riportarci direttamente al livello del corpo, e dell'inconscio. Il fatto è, sostengono Deleuze e Guattari, che ogni macchina implica, richiede «una sorta di codice che si trova macchinato, immagazzinato in essa» (p. 40). I differenti flussi, le connessioni della produzione di produzione generano informazioni, richiedono registrazioni, pongono gli organi in relazione a più regimi, a seconda delle diverse connessioni a cui sono soggetti: un organo «può essere associato a più flussi secondo connessioni differenti: può esitare tra più regimi, e anche assumere il regime di un altro organo» (p. 41). Allo stesso modo in cui si era visto svilupparsi una sorta di intreccio orizzontale di macchine desideranti e macchine-organi innestate tra loro, troviamo ora esteso sulla superficie di registrazione del corpo senza organi «un reticolo di disgiunzioni di tipo diverso rispetto alle connessioni precedenti» (p. 41). Questa rete è composta da molteplici catene significanti, irriducibili tra loro ma non per questo escludentesi a vicenda. Ogni catena verrà affermata nella sua radicale positività, in quanto tale (la loro intensità sarà sempre positiva, mai di valore negativo: un costante ''di più'' rispetto al grado zero del corpo senza organi) e da ciascuna verranno effettuati nuovi tagli, questa volta tagli-prelievi di stock. Le catene sono infatti formate da elementi totalmente eterogenei tra loro, senza alcuna intenzione di coerenza: è il codice dell'inconscio scoperto da Lacan a parlare. Non si può più parlare di Una Catena Significante (mettiamo caso, quella edipica): ora lo spazio dei codici è affermazione di molteplicità. Inoltre, queste catene sono sì dette significanti, ma solo «perché sono fatte di segni»; «ma questi segni», proseguono gli autori, «non sono significanti di per se stessi. Ogni codice somiglia meno a un linguaggio che a un gergo, formazione aperta e polivoca (polyvoque). I segni vi appaiono di natura qualunque, indifferenti al loro supporto (o non è forse il loro supporto che è loro indifferente? il supporto è il corpo senza organi)» (p. 41). Ciò significa che la stessa catena si presenta eterogenea al proprio interno, negli elementi che la costituiscono, «sfilata di lettere d'alfabeti diversi, ove sorgono d'un tratto un ideogramma, un pittogramma, la figurina d'un elefante che passa o d'un sole che si leva» (p. 42). La superficie di registrazione è adesso interamente inframmezzata da punti di snodo, centri d'intersezione e di scambio tra le differenti catene, e tra l'interno e l'esterno: «ogni catena cattura frammenti d'altre catene da cui trae un plusvalore, come il codice dell'orchidea ''trae'' la figura di una vespa: fenomeno di plusvalore di codice. […] Le registrazioni e trasmissioni venute da codici interni, dall'ambiente esterno, da una regione all'altra dell'organismo, si incrociano secondo le vie perpetuamente ramificate della grande sintesi disgiuntiva. Se vi è qui scrittura, è una scrittura a fior del Reale, stranamente polivoca e mai bi-univocizzata, linearizzata, una scrittura transcorsiva, e mai discorsiva: tutto il campo dell'''inorganizzazione reale'' delle sintesi passive, ove si cercherebbe invano qualcosa che si può chiamare il Significante, e che non cessa di comporre e di scomporre le catene in segni che non hanno alcuna vocazione per essere significanti» (p. 42). Ora, è su queste catene che si opera il secondo tipo di taglio: il taglio-stacco. Frammenti di codici eterogenei (stock, mattoni volanti) vengono costantemente staccati dalle rispettive catene significanti, ed entrano in combinazione tra loro: il punto è cosa farsene, come utilizzare questi mattoni, tenendo anche presente che ogni taglio-prelievo presuppone un taglio-stacco. Infatti, come «ci potrebbe essere prelievo parziale su un flusso, senza stacco frammentario in un codice che informa il flusso?» (pp. 42-43). Così, ad esempio, il «Significante dispotico», il socius territoriale, utilizza gli stock staccati al fine repressivo di un controllo del desiderio, per una codifica e iscrizione dei flussi in un codice sociale formale: «si serve dei mattoni come altrettanti elementi immobili per una muraglia di Cina imperiale» (p. 43). Ma vi è un'altra possibilità, quella dell'esperienza in intensità (nell'Anti-Edipo simbolizzata dall'esperienza del processo – e non dello stato: «non farne lo scopo» – schizofrenico), in cui gli stock di codice vengono riportati in ogni direzione, espansi verso nuove possibili combinazioni, per nuovi divenire nell'informale: ancora una volta, dunque, il campo della molteplicità. «Solo la categoria di molteplicità, adoperata come sostantivo e al di là del molteplice non meno che dell'Uno, la relazione predicativa dell'Uno e del molteplice, è in grado di render conto della produzione desiderante: la produzione desiderante è pura molteplicità, cioè affermazione irriducibile all'unità» (p. 45). E questo grazie al ruolo giocato dal corpo senza organi, il quale – anticipando un po' – può rappresentare «a momento of suspensio in which new patterns, actualizing previously implicit tendencies, con unfold»8.

Lasciamo per il momento questa sintesi in sospeso, come possibilità aperta e non ancora indagata totalmente: sarà possibile farlo, come vedremo, solo introducendo la terza sintesi e il rispettivo «ritorno del rimosso». Ci si accontenti di dire, per adesso, che la rottura delle precedenti connessioni di produzione apre all'esperienza in intensità, alla creazione di nuove sintesi – questa volta disgiuntive e non escludenti, al «sia...sia», mentre il taglio-stacco lavora sugli stock dei codici distribuiti sulla superficie di registrazione. Resta ancora da capire che ruolo gioca il soggetto in tutto questo, e dove potrà essere rintracciato.

  

La sintesi di consumo, la macchina celibe, il taglio-consumo

Si è visto come la produzione di registrazione fosse generata nella e dalla produzione di produzione. Allo stesso modo «la produzione di consumo è prodotta nella e dalla produzione di registrazione» (p. 18). La parte di energia che dalla registrazione è commutata in energia di consumo è detta Voluptas: a essa corrisponderà «la terza sintesi dell'incoscio, la sintesi congiuntiva dell'''è dunque...'' o produzione di consumo» (p. 19). Il fatto è, spiegano Deleuze e Guattari, che tra «attrazione e repulsione l'opposizione persiste» (p. 19): ossia non è sufficiente la macchina miracolante, che ripiega su di sé e attira sulla superficie del corpo senza organi le macchine desideranti, per riconciliare l'opposizione dei due poli (per l'appunto, macchine desideranti e corpo senza organi), e far tacere la macchina paranoica. Serve una nuova macchina, dunque, la quale deve adesso rendere conto e funzionare «come ''ritorno del rimosso''» (p. 19): entra in gioco la macchina celibe, «questa macchina che succede alla macchina paranoica e alla macchina miracolante, e stringe una nuova alleanza tra le macchie desideranti e il corpo senza organi per la nascita di un'umanità nuova o di un organismo glorioso» (p. 19). La macchina celibe reca in sé traccia delle due macchine precedenti: così, ad esempio, «porta testimonianza d'una vecchia macchina paranoica, coi suoi supplizi, le sue ombre, la sua vecchia Legge» e al contempo «cela […] le più alte iscrizioni» (p. 20) proprio come una macchina miracolante. Ma come intendere «il rimosso»? Ci pare chiaro che in questo caso Deleuze e Guattari considerano il termine nella sua accezione psicoanalitica più classica, freudiana. Eppure vorremmo suggerire qualcosa di più, sempre sulle fila di una lettura corporea di queste pagine: siamo tentati di leggere il ritorno del rimosso come il ritorno dello stesso Numen. Ossia il ripresentarsi della superficie di registrazione, il corpo senza organi che ritorna dopo l'istinto di morte (il colpo a vuoto, la rottura), la contro-produzione azzerante ogni connessione formalizzata e rappresentazionale, già organizzata teleologicamente («non farne uno scopo» ripetono spesso Deleuze e Guattari) e più o meno fissa. E in senso propriamente freudiano il rimosso, una volta tornato, si ripiega sul processo di produzione (il desiderio), lo registra, lo codifica (ovvero lo linearizza e registra, lo bi-univocizza appiattendolo e semplificandolo) nei termini già dati di un codice fisso (il trauma, la nevrosi, Edipo). A partire da questo momento ogni cosa sembrerà sorgere dal rimosso tornato, dal trauma riemerso, da Edipo scoperchiato: e poco importa che il flusso di produzione presenti una molteplicità difficilmente riducibile a questa catena semplice. Come miracolata, appunto, la superficie di registrazione apparirà come quasi-causa universale: ogni evento dovrà trovare qui la sua genesi feticcia. Prima si avevano solo produzione, flussi, tagli e innesti: Connet – I – Cut. Ma il desiderio tutto produce, tutto vuole: anche la morte; il che significa, a livello corporeo che il desiderio tutto vuole, tutto desidera: anche l'informale, il non ancora organizzato e la distruzione di ogni struttura, la liberazione dall'organismo per la piena espressione di ogni macchina-organo libera, per sperimentare differenti nodi, passaggi, intensità, divenire. E così Edward W. Holland può scrivere che «This is the role of Deleuze and Guattari's version of the death instinct: to bring productive desire to a halt, to suspend or freeze the connections it has made, in order that new and different connections may become possible; they therefore prefer the term "anti-production" to "death instinct"»9.

È dunque questa la contro-produzione: l'emergere dell'indifferenziato, il terzo oggetto informe, il corpo senza organi del colpo a vuoto, della rottura fulminea ma pur sempre momentanea della macchina desiderante. E poi? E poi c'è la sintesi di consumo, la macchina riprende a funzionare e sulla superficie di registrazione prima miracolata (macchina d'attrazione dopo la macchina di repulsione) sono ancora distribuiti i termini della sintesi disgiuntiva, come gli alfabeti, i segni dei codici di registrazione. E attorno alle macchine desideranti, questi punti formano ora circoli di produzione e sperimentazione in intensità, esperiscono totalmente la possibilità di creazione delle macchine. Il residuo del consumo di queste soglie sarà il soggetto, alla chiusura del circolo intensivo («ero dunque io»). È per questo che Deleuze e Guattari possono scrivere che è «solo in rapporto al corpo senza organi (occhi chiusi, naso stretto, orecchie tappate) che qualcosa è prodotto, controprodotto, che devia o esaspera tutta la produzione di cui fa tuttavia parte. Ma la macchina resta desiderio, posizione di desiderio che prosegue la sua storia attraverso la rimozione originaria e il ritorno del rimosso, nella successione delle macchine paranoiche, delle macchine miracolanti e delle macchine celibi» (p. 40).

In ogni caso, sostengono Deleuze e Guattari, quel che davvero importa adesso è chiedersi «cosa produce la macchina-celibe, cosa si produce grazie ad essa» (p. 20). La risposta di Deleuze e Guattari è: quantità intensive. Di questo concetto kantiano10 non viene fornita alcuna definizione nell'Anti-Edipo, ma si può prendere a riferimento quanto scritto da Deleuze in Differenza e ripetizione: la quantità intensiva è una grandezza che può essere esperita solo come unità, in quanto « si divide, ma non si divide senza cambiare natura. In un certo senso, essa è dunque indivisibile, ma perché non c'è parte che preesista alla divisione e conservi la stessa natura dividendosi»11. La quantità intensiva, come suggerisce il nome, è dunque la grandezza di riferimento di un'esperienza in intensità. Ora, tali quantità più che di un Io penso kantiano necessitano e/o presuppongono un Io sento. Siamo tornati, insomma, all'idea del corpo senza organi come piano d'immanenza, mentre le intensità, i gradienti e i divenire-altro sono fatti derivare dalle «due forze precedenti, repulsione e attrazione» (p. 21) e dalla loro opposizione. Il corpo senza organi, con il suo gradiente di intensità neutro = 0 agisce come superficie d'iscrizione per queste intensità. Le soglie, i flussi vi scorrono sopra, mentre le macchine desideranti sono chiuse a cerchio («cerchi di convergenza») dai punti di disgiunzione ancora presenti sulla superficie: «il corpo senza organi è un uovo: è attraversato da assi e soglie, da latitudini, da longitudini, da geodetiche, è attraversato da gradienti che segnano i divenire e i passaggi, le destinazioni di colui che vi si sviluppa. Nulla qui è rappresentato, ma tutto è vita e vissuto» (p. 21). Nulla è rappresentato proprio perché ci troviamo a livello dell'informale, prima di ogni categorizzazione conclusa di soggetto e oggetto, come abbiamo detto. La macchina celibe in azione, il soggetto si trova come prodotto residuo, proprio al suo fianco – al fianco della macchina, ma anche a fianco dello stati di intensità: e ad uno ad uno attraverserà tutti i cerchi (i cerchi di convergenza di poco fa), le soglie, concludendole; o meglio essendo lui stesso, il soggetto, «concluso dagli stati attraverso cui passa» (p. 22). Un soggetto, insomma, «ai limiti, senza identità fissa, sempre decentrato» (p. 22): risultato di una sintesi di consumo effettuata attorno alle soglie di intensità formatesi attorno alle macchine desideranti, dai punti di disgiunzione della seconda sintesi, la produzione di registrazione: residuo finale delle intere tre sintesi – e delle rispettive macchine. Esso è il frutto dell'ultimo tipo di taglio, il taglio-resto o residuo, corrispondente alle azioni della macchina celibe.

La macchina opera sui prelievi di flussi e stacchi di catena: a questi corrispondono stati, porzioni di intensità su cui il soggetto passa e consuma, «e nasce da questi stati sempre concluso da questi stati come una parte fatta di parti, di cui ciascuna riempie in un momento il corpo senza organi» (p. 43). In questo senso Deleuze e Guattari possono sostenere che «attraverso la macchina paranoica e la macchina miracolante, le proporzioni di attrazione e di repulsione su corpo senza organi producono nella macchina celibe una serie di stati a partire da zero: e il soggetto nasce da ogni stato della serie, rinasce sempre dallo stato seguente che lo determina in un punto, consumando tutti questi stati che lo fanno nascere e rinascere (lo stato vissuto è primario rispetto al soggetto che lo vive)» (pp. 22-23). Come giustamente sottolineano Cutler e MacKeinze, «the 'I' in question is itself the result of bodily acquired habits […T]he acquisition of new bodily habits that we call learning also marks a change in one's intenal sense of oneself». Infatti, «human bodies are able to intensify affects and thereby intensify the system of relations that constitute our body. This process of intensification is not a subjective one in that it does not presuppose a subject that intend to intensify a bodily affects; rather […] our capacity for intenstifation as living bodies is that we are able to ''procees by differentiation''»12.



Conclusione – e il corpo?

 
Tre sintesi, tre tagli, tre macchine (più una, la macchina desiderante): il risultato è la produzione residuale di un soggetto sempre decentrato («ero dunque io...») e di un'esperienza trascendentale (Io sento) piuttosto che una rappresentazionale (Io penso) sulla superficie di registrazione del corpo senza organi. Quest'ultimo si può definire come lo spazio dell'informale puro, «corpo intensivo»13 liscio, né molare né molecolare di per sé. Il corpo senza organi sarebbe una «grossa massa inorganizzata, improduttiva e sterile, pura materia intensiva che guasta le macchine, disorganizza gli organi»14. Ma le macchine, le quali agiscono sopra di esso, non possono fare a meno di produrre, sempre immerse nel flusso del processo. Nell'articolo siamo passati dalle macchine desideranti al soggetto, ma non abbiamo ancora toccato propriamente il tema del corpo. Questo perché nell'Anti-Edipo la nozione stessa di corpo è al contempo presupposta e costantemente superata: certo è corpo ogni istanza iniziale e molare nell'analisi storico-antropologica (corpo della terra, del despota, del capitale). Ma il concetto stesso di corpo non è indagato; non troveremo in questione tanto “che cosa è un corpo” quanto piuttosto “che cosa può un corpo”. E questo perché, come detto, a Deleuze e Guattari non interessa uno studio in profondità, teoretico, ma mostrare invece come – e se – le cose funzionino, lo sviluppo di una filosofia pratica. Intuitivamente possiamo considerare il (nostro) corpo come quell'insieme di macchine in azione, aggrappate e saltanti sul corpo senza organi di ognuno, a loro volta legate alla produzione, ai flussi, agli stock delle altre macchine, in un'unica, lunga e ininterrotta catena dell'Essere (macchinico). Ma come considerare il nostro – di ognuno – corpo organico, biologico? Qui si apre un problema dell'Anti-Edipo, teso com'è tra l'indifferenziato iniziale del corpo senza organi, la produzione incessante e micrologica delle macchine e il rifiuto del già molare organismo. Per comprendere la specificità propria del corpo biologico (distinto tanto dal corpo senza organi quanto dall'organismo) dobbiamo rivolgerci ad alcune pagine di Differenza e ripetizione, nelle quali Deleuze parla dell'embrione e delle sue capacità di sopportare movimenti e modificazioni alle quali nessun essere già formato potrebbe resistere. È da qui, peraltro, che trova origine l'immagine dell'uovo presente anche nell'Anti-Edipo: «ci sono “cose” che solo l'embrione può fare, movimenti che egli solo può intraprendere o anzi sopportare […] movimenti forzati che spezzerebbero qualunque scheletro o ne romperebbero i legamenti»15. Ora, il fatto è che per il Deleuze di Differenza e ripetizione era ancora necessario presupporre un centro di sviluppo, un nucleo principale da cui poter cominciare il processo di differenziazione: «niente nell'organismo, nessun organo, sarebbe differenziato senza un centro interiore provvisto di un'efficacia generale o di un potere integrante di regolazione»16. Vi sono da rispettare degli «imperativi» per «l'organismo da costituire»17. Nell'Anti-Edipo, è vero, non vi è alcun organismo da costituire ma anzi l'impegno costante è quello di rifuggire dalla sua organizzazione formale, verticale, di smontarlo, scomporre le sue figure molari in una micrologia di macchine molecolari legate sempre a una eterogenea molteplicità. Quel che ci si deve costruire è appunto un corpo senza organi (e questo tema diverrà anche un piano-capitolo di Mille piani); difatti, se è vero che il corpo senza organi è l'improduttivo per eccellenza, resta che esso «è prodotto a suo tempo e luogo nella sintesi connettiva» (p. 10, corsivo nostro). Ma se è necessario costruirsi un corpo senza organi (e ciascuno ne ha uno), ciò significa che esso non può essere considerato a pieno titolo come l'elemento iniziale, il primordio indifferenziato in quanto originario e da cui poter iniziare a comporsi, macchinalmente. Ecco, quindi, la nostra proposta euristica: suggeriamo di considerare il corpo biologico di ciascuno, anche all'interno dell'Anti-Edipo come l'elemento intermedio e grigio, teso tra corpo senza organi e organismo18. È su di esso, e in esso, che si giocherà la partita sul proprio divenire. Un corpo organico già differenziato – in quanto costellato dalle diverse macchine-organo – e al contempo campo indifferenziato, in grado di permettere un suo sviluppo intensivo e micrologico o invece la costituzione dell'organismo, struttura molare. Il punto, dunque, sarebbe scegliere se ricondurre il nostro corpo nella formalità composta di un organismo o invece mantenerlo aperto nelle differenze e molteplicità delle macchine-organi e delle loro produzioni. Per questo, forse, Deleuze e Guattari non si curano di spiegare che cos'è un corpo, ma come agisce, che cosa può. Foucault considerava l'Anti-Edipo come un libro di etica, «il primo libro di etica che sia stato scritto da molto tempo in Francia»19. E in un certo senso ha ragione; l'Anti-Edipo ci spinge a mondarci da ogni fascismo: «essere Antiedipo è diventato uno stile di vita, un modo di pensare e di vivere […] Come sbarazzare del fascismo il nostro discorso, i nostri atti, i nostri cuori e i nostri piaceri?»20. Essere Antiedipo non significa altro che piegare il nostro corpo stesso a una condotta di micrologia macchinica. La scelta, insomma, è tra condurre il corpo sotto il giogo di un'organizzazione molare, farlo divenire organismo, assoggettarsi all'imperativo dell'Io penso; o invece scomporlo in un flusso micrologico e molteplice, differenziarlo e specificarlo nella molecolarità delle macchine-organo, farlo saltare sull'indifferenziato = 0 del nostro corpo senza organi, fabbricandolo: produrre, così facendo, un soggetto sempre decentrato (“ero dunque io..”). La partita vera e il punto d'inizio, insomma, si giocano – anche – sulla struttura biologica di ognuno. Quel che ne va è ciò che saremo; a partire dal nostro corpo.

  

 

Bibliografia

  • I. Buchanan, Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus, Continuum, New York, 2008.

     A. Cutler, I. MacKenzie, Bodies of learning, in L. Guillaume and J. Hughes (edited by), Deleuze and the Body, Edinburh University Press, Edinburgh, 2011.

  • G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano, 1997.

  • G. Deleuze, F. Guattari, L'Anti-Edipo, Einaudi, Torino, 2018. 

  • M. Foucault, Prefazione (1977), in Archivio Foucault II. Il filosofo militante, Feltrinelli, Milano, 2017 

  • M. Fregni, Al di là dell'Edipo. La critica di Deleuze e Guattari all'organizzazione strutturale dell'inconscio, Istituto di Ricerca di Psicanalisi Applicata, I anno. 

  • P. Godani, Deleuze, Carocci, Roma, 2009. 

  • E. W. Holland, Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus, Routledge, London and New York, 1999. 

  • D. Lapoujade, Deleuze,les mouvements aberrants, Les Éditions de Minuit, Paris, 2017. 

  • T. Lorraine, Deleuze and Guattari's Immanent Ethics, SUNY Press, New York, 2011. 

  • R. Ronchi, Gilles Deleuze, Feltrinelli, Milano, 2015. 

 

Note con rimando automatico al testo

1Avendo scelto di adottare un approccio più metodologico, teorico piuttosto che pratico, nel seguente articolo non saranno analizzati i paragrafi del terzo capitolo (Selvaggi, barbari, civilizzati) dell'Anti-Edipo dedicati al socius iscrittore della macchina territoriale selvaggia, e alla sua rappresentazione territoriale. È vero che è proprio questo uno dei passaggi ove il corpo risulta essere protagonista, agendo esattamente come superficie di iscrizione (in accordo con il Nietzsche della Genealogia della morale). Ma, come detto, queste sezioni ci paiono essere una messa in prova ''pratica'' – per quanto sempre necessariamente teoretica – di quanto messo in luce nel primo capitolo dell'opera e che viene qui analizzato. Di seguito, i riferimenti delle citazioni dall'Anti-Edipo saranno direttamente riportate nel testo, senza nota. L'edizione seguita è G. Deleuze, F. Guattari, L'Anti-Edipo, Einaudi, Torino, 2018.

2R. Ronchi, Gilles Deleuze, Feltrinelli, Milano, 2015, p. 18.

3Bisogna però bisogna fare attenzione al senso temporale informale: il gesto è lo stesso che si trova in apertura di Logica del senso, quando l'Alice di Lewis Caroll viene intesa accrescersi e diminuire di dimensione nello stesso movimento di tempo, secondo la concezione stoica; e difatti: «Ma che vuol dire ''dopo''? Le due [ma anche tre, quattro, macchine] coesistono» (p.13).

4Per una loro rilettura in chiave marxista, cfr. l'interessante libro di I. Buchanan, Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus, Continuum, New York, 2008, in particolare pp. 58-64.

5Apparentemente, poiché poco dopo la differenza sarà reintrodotta: la fabbrica preleva dalla natura e re-inietta rifiuti in essa, ad esempio; ed il lavoro umano, i processi e rapporti di produzione nella società umana resteranno (radicalmente) differenti da ogni altro tipo di produzione ''naturale'', in continuità con l'interpretazione marxiana.

6Su questo, rinvio agli ottimi libri di P. Godani, Deleuze, Carocci, Roma, 2011 e R. Ronchi, Gilles Deleuze, cit.

7La coppia molare-molecolare resta problematica nell'Anti-Edipo, e non sufficientemente chiarificata. Lo stesso Foucault espresse perplessità in proposito. Potremmo, comunque sia, considerare la molarità come l'immagine di una struttura organizzata, verticale, la quale risponde alle leggi statistiche, e si rinserra in una forma precisa e definita, quale per esempio l'organismo. La molecolarità invece risponderebbe a un'immagine in divenire, fatta di «connessioni fluide, concatenamenti, suscettibili di continui mutamenti. […] [L]a molecolarità è senza centro e si sviluppa in orizzontale, la sua caratteristica è la connettività, i confini non rigidi, la dinamicità. La molarità è costituita da grandi insiemi, megamacchine tecnologiche, organiche, istituzionali, che rispondono alle leggi dei grandi numeri e alla statistica, la molecolarità è un‟organizzazione fluida, che risponde alle leggi del caos dove sono presenti variabili stocastiche e l‟aleatorietà del sistema aperto; il desiderio produce flussi molecolari nell‟essere vivente», M. Fregni, Al di là dell'Edipo. La critica di Deleuze e Guattari all'organizzazione strutturale dell'inconscio, Istituto di Ricerca di Psicanalisi Applicata, I anno, p. 20. Per i nostri interessi, e sulla scia del Deleuze di Differenza e ripetizione, consideriamo il corpo inteso come organismo in quanto struttura molare; il corpo in quanto insieme di macchine-organo in connessione e divenire, agenti sul corpo senza organi, come struttura molecolare. Cfr. anche quanto scrive A. Fontana nell'Introduzione all'Anti-Edipo, p. XVI: «la molarità non è altro che il ripiegamento della macchina sul piano della struttura […]. Di fronte al molare, dunque, il molecolare; di fronte alla struttura, la macchina: in una parola si potrebbe dire che la struttura è dell'ordine della rappresentazione, e la macchina dell'ordine della produzione».

8T. Lorraine, Deleuze and Guattari's Immanent Ethics, SUNY Press, New York, 2011, p. 84.

9E. W. Holland, Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus. An introduction to schizoanalysis, Routledge, London and New York, 1999, p. 28.

10Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura (A168-B210) etc.

11G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano, 1997, p. 307.

12A. Cutler, I. MacKenzie, Bodies of learning, in L. Guillaume and J. Hughes (edited by), Deleuze and the Body, Edinburh University Press, Edinburgh, 2011, p. 57.

13D. Lapoujade, Deleuze,les mouvements aberrants, Les Éditions de Minuit, Paris, 2017, pp. 122-23 (traduzione nostra).

14Ivi, p. 136 (traduzione nostra).

15G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., pp. 277-278.

16Ivi, p. 273.

17Ibidem.

18Lo proponiamo a titolo di prova, come tentativo, consapevoli del fatto che questa ipotesi richiederebbe ben altro spazio argomentativo e di indagine. Riteniamo sarebbe interessante tentare di analizzare lo sviluppo di un corpo molare e di uno molecolare all'interno della filosofia deleuziana, in connessione con le tematiche dell'identità e del limite presenti, per esempio, in Differenza e ripetizione.

19M. Foucault, Prefazione (1977), in Archivio Foucault II. Il filosofo militante, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 243. La prefazione è all'edizione inglese dell'Anti-Edipo. A quanto pare, comunque sia, Foucault non amava quest'opera.

20Ibidem.