Azioni Parallele

Mediterranei

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Il Mediterraneo o i mediterranei sono mari fra le terre, mari che le dividono e le collegano nello stesso tempo. Nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia Hegel ha espresso con sagacia questa ovvietà, evidenziando già nella scelta della traduzione letterale: «das Mittelländische Meer» quel paradosso che nella lingua latina àncora il mare alla terra e paragonando inoltre quel mare, in maniera sorprendente, al foro di Roma o di Atene, «dove tutti convenivano».1 Il mare nostrum è un pluriverso di popoli e di lingue, un mare su cui si affacciano tre continenti e tre religioni monoteistiche, oltre a tutto quello che resta delle più antiche credenze politeiste e a tutto quello che si è aggiunto con le postmoderne adesioni ai culti più disparati, miscredenza diffusa compresa, opzione peraltro già sempre presente in tutti i contesti. Oggi questo mare è teatro drammatico di vicende che scuotono la coscienza del mondo civile e allo stesso tempo dividono l'opinione pubblica europea, mentre in passato il discorso soffriva per la sua stessa verbosità: il sole e il mare, il vento e le onde, le mete turistiche e i viaggi hanno condensato a lungo una vera retorica del Mediterraneo, forse anche per camuffarne la marginalità ormai conclamata. Ora piuttosto si innalzano muri e barriere che tracciano nevroticamente i rassicuranti confini europei a fronte della crescente pressione delle migrazioni e dei conflitti disseminati nel Medio Oriente, fino a minacciare la presunta integrità dell'Unione Europea.

Riflettendo intorno al concetto di Mediterraneo si scopre che oggi esso si presenta soprattutto come luogo di conflitti, dove la cultura – lingua di molte voci – è chiamata a ripensare se stessa, a riconoscere e svelare nei conflitti interessi e ragioni. Nel corso degli ultimi decenni i paesi membri dell'Unione, in particolare Francia, Italia, Spagna e Regno Unito, hanno trascurato la loro tradizionale influenza politica nel Mediterraneo, che è un'area strategica per le sorti del vecchio continente e del mondo. Quest'area, infatti, si profila come una polveriera esplosiva che rischia di destabilizzare ed oscurare l'orizzonte mondiale – si pensi alla questione palestinese, alla questione siriana, alle rivolte in genere illusorie e fallimentari della Primavera araba, ai preoccupanti sviluppi politici della Turchia, ai respingimenti, alla militarizzazione delle coste, al terrorismo dell'Isis che si sta posizionando in Libia minacciosamente di fronte alle nostre coste – il che lascia tramortiti i governi europei, in parte corresponsabili dei disastri recenti. Fenomeni come la globalizzazione, la concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani dei paesi occidentali, in particolare degli Stati Uniti, il fondamentalismo, il terrorismo, il neo-colonialismo, il cosiddetto scontro fra le civiltà, le guerre americane in Iraq condotte in nome dell'universalismo umanitario fanno da contesto alla ininterrotta ed inedita spirale di violenza e di guerra che ha sepolto non solo ogni idea di jus publicum Europaeum, per dirla con Carl Schmitt ma, con questo, anche l’illusione di una possibile delimitazione dei conflitti. In un punto non periferico di questo scenario c'è il problema dell'identità culturale e dell'unificazione politica – non solo monetaria e bancaria – dell'Europa e, in stretta connessione, quello del destino dell'area mediterranea, ove stenta ad aprirsi un vero confronto che dovrebbe coinvolgere in particolare la cultura arabo-mediterranea e quella europeo-mediterranea, oltre e dopo crociate, piraterie o mafie.

Si registra poi in maniera sempre più preoccupante, al di là delle infinite analisi politologiche, la mancanza di un vero dibattito filosofico nello sforzo di capire e risolvere problemi e conflitti. Che senso può avere, nello scenario di un Mediterraneo così turbolento e allarmante, proporsi di avviare al suo interno un dialogo interculturale e politico insieme? È solo una suggestione letteraria – impastata di terra, di mare e di sole – che sprigiona dall'opera di Albert Camus? Non è forse vero che il Mediterraneo è ormai un piccolo mare emarginato dalle dimensioni 'oceaniche' del mondo tecnologico-informatico o sovrastato da altri mediterranei del pianeta? Non è forse il Mediterraneo una periferia tormentata dell'Occidente o una piaga della tarda modernità, senza prospettive se non quelle del piccolo cabotaggio turistico-commerciale? E non è stato anche il mare delle guerre di religione, il teatro di alcuni dei drammi più acuti e feroci del nostro tempo, di cui conserva nelle viscere relitti e naufragi? Come ha scritto lucidamente Caterina Resta:

«a quale mare pensa di appartenere l’Europa, a quel Mediterraneo che, non senza una certa inflazionata retorica, continuiamo a chiamare culla dell’intera civiltà occidentale, o a quell’Oceano che trascinò Colombo oltre ogni limite sino ad allora conosciuto, alla scoperta di un Nuovo Mondo? Quella “scoperta” rivelò una volta per sempre le due anime che lacerano l’Europa, il suo perenne essere in krísis tra esse, la necessità, ormai improrogabile, di una de-cisione tra due sponde, tra due mondi, tra due mari. Siamo Atlantici? Siamo Mediterranei?»2

In altri termini, può l'esercizio filosofico provare a rielaborare quelle tradizioni mediterranee che possono costituire la base di un pensiero, di un linguaggio, di una identità mediterranea non appiattita sull'attualità senza volto della modernizzazione globale e omologante? L'idea di dedicare un numero di Azioni Parallele ai Mediterranei può rimettere sui giusti binari una riflessione filosofico-politica che finora è stata marginale, ad eccezione degli splendidi lavori di Fernand Braudel, di Predrag Matvejević, di Franco Cassano, di Davide Camarrone, di Mario Alcaro, di Caterina Resta e di Franco Farinelli.


Note

1Nel latino classico mediterraneus è contrapposto a maritimus e caratterizza piuttosto regioni lontane dalla costa. Così per esempio quando Cesare scrive di «mediterraneis regionibus» (B.G., V, 12, 5) o Cicerone descrive una città della Sicilia interna come «mediterranea» (Verr., 3, 192) di certo non si intendono spiagge né porti, e quando Tito Livio rimanda alla «mediterranea Galliae» (XXI, 31, 2) si riferisce a quanto un francese dei nostri giorni caratterizzerebbe come “la France profonde”. Cfr. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, in Werke, vol. IX, a cura di E. Gans, Berlin, Duncker und Humblot, 18402, p. 108; cfr. la traduzione italiana, che però si riferisce all’edizione di G. Lasson, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di G. Calogero e C. Fatta, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1941, p. 235.

2Cfr. C. Resta, Atlantici o mediterranei?, in “Mesogea”, 1 (2002), n. 0, pp. 53-63.