Azioni Parallele

Simone Weil, Filosofia della resistenza

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Simone Weil

Filosofia della resistenza.

Antigone, Elettra e Filottete

 

a cura di F. R. Recchia Luciani

 

 

il melangolo, Genova 2020

122 pag.

ISBN 978-8869832352, € 10

 

 

 

 

Non succede spesso che il testo che ci troviamo a leggere sia altrettanto interessante del saggio che lo precede, come succede nel caso di questa nuova edizione di tre piccoli scritti di Simone Weil, su Antigone, Elettra e Filottete. L’introduzione della curatrice, Francesca R. Recchia Luciani, infatti, ci accompagna alla riscoperta di questi scritti permettendoci di cogliere la ricchezza e la pluralità dei temi implicati, oltre alle problematiche che appartengono al percorso della filosofa francese, ma che in realtà costituiscono anche un potente stimolo per la nostra contemporaneità.

L’edizione del melangolo risulta particolarmente preziosa propri per la possibilità che offre di essere introdotti a uno dei vari aspetti della filosofa francese in modo sapiente, con uno scritto che inquadra con molta esattezza il valore di quello che stiamo per leggere, non solo all’interno del percorso del pensiero weiliano, ma anche all’interno del nostro percorso, richiamandoci in fondo alla necessità di farsi attraversare dalle parole di Simone Weil, che esige sempre da noi un impegno “in atto e in pratica”.

Vorrei brevemente porre l’accento su alcuni dei meriti evidenti del saggio introduttivo, il primo è quello di pulire il campo da alcuni luoghi comuni e di leggere in continuità il pensiero della Weil, rivelando così un’attenzione particolare alla modalità tipica di questa autrice, ossia il suo caratteristico “corpo a corpo” con il mondo. Chi ha letto Simone Weil lo sa, chi non l’ha letta così tanto lo intuisce, magari anche con fastidio: pensare per lei significa fare esperienza, farsi passare attraverso. Nutrirsi del mondo.

Come scrive Recchia Luciani: “Immergersi nel concreto, prediligere la prassi come via di conoscenza; segno distintivo del pensiero weiliano è l’amore appassionato per la realtà, per la consistenza spessa e corposa del reale che la spinge inesorabilmente a mettersi continuamente alla prova” (13). É proprio l’unione di queste caratteristiche, il voler salvare i fenomeni, come dice Weil in altri luoghi (in questo sempre profondamente legata al suo maestro Platone), e l’esercitare il pensiero per mettersi a disposizione di chi soffre, che la portano a offrire quello che lei sa essere vitale, ecco la “portatrice d’acqua”, che cerca di nutrire gli operai con il meglio del mondo greco: la tragedia e la poesia. In definitiva, con la bellezza.

Nulla è più necessario della bellezza dei versi di Sofocle per mostrare agli operai la verità della propria condizione, ma anche la possibilità di farsi liberi attraverso pensiero e azione. Da questa convinzione nasce la volontà di “tradurre” i testi antichi e di proporli a degli operai così lontani dagli studiosi che solitamente vengono ad interessarsi di questi testi, ma che, in effetti, agli occhi di Simone Weil sono molto più capaci di comprenderne con esattezza la sofferenza. Proprio perché hanno sofferto con il proprio corpo, sentito nella carne il malheur. Scrive la filosofa nel testo dedicato ad Antigone: “ Sono passati circa duemilacinquecento anni da quando in Grecia si scrivevano bellissimi poemi. Ormai, a leggerli, sono quasi soltanto coloro che si specializzano in questo studio, ed è un peccato. Perché questi antichi poemi sono talmente umani da essere ancora molto vicini a noi e possono interessare tutti. Sarebbero persino molto più commoventi per quanti sanno cosa significhi lottare, piuttosto che per coloro che hanno trascorso la loro vita tra le quattro mura di una biblioteca” (79)

Capiamo chiaramente, come sottolinea anche Recchia Luciani quanto importanti siano questi piccoli testi facendone, si tratta di uno strumento di pensiero che può portare gli operai ad una vera rivoluzione, quella in cui il lavoro diventa mezzo per cambiare le condizioni materiali della propria esistenza, senza però mai perdere di vista ciò che va oltre. Quella che potremmo chiamare la sfera del valore.

Un altro elemento che vale la pena sottolineare, è che per Weil sia indispensabile “ri-tradurre” i testi che propone, non si limita ad una lettura o ad un commentario, ma così come farà sempre con le fonti che risultano fondamentali per il suo percorso, quelle greche certo, ma anche quelle indiane per cui lei studia il sanscrito, quelle dei mistici inglesi, dei canti americani, e così via… Il lavoro della traduzione è un’altra declinazione di quella filosofia in pratica che la caratterizza, e allo stesso tempo, risponde anche alla necessità di rendere chiara l’essenza della verità che “da sempre” è, secondo lei, presente nei grandi testi dell’umanità.

La filosofa stessa riesce a definire perfettamente il senso di queste vicende e la loro contemporaneità, quando - a proposito di Elettra - scrive: “Certo, questa storia è molto antica. Ma la miseria, l’umiliazione, l’ingiustizia, e il sentimento che prova un essere tutto solo, consegnato alla sventura, abbandonato da Dio e dagli uomini, queste cose non sono antiche. Sono di tutti i tempi. Sono cose che la vita infligge tutti i giorni a coloro che non hanno fortuna” (91-92).

In questo senso, allora come adesso queste letture “sono soprattutto il nutrimento spirituale che ella pone a fondamento di un’istruzione operaia che considera necessaria per alimentare in loro quell’essenziale resistenza all’oppressione che fonda ogni possibile liberazione”(67-68), come sottolinea la curatrice, cosicché “risveglino nelle vittime dell’oppressione il senso della propria dignità, il rigore del proprio autonomo pensiero, la libertà d’azione e di scelta” (68).