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Nicola Lisi, Diario di un parroco di campagna

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Nicola Lisi

Diario di un parroco di campagna

 

Siena, Cantagalli, 2009

pp. 184, ISBN 978-88-8272-460-3, € 12

 

 

 

 

Nicola Lisi è uno scrittore che si colloca, per lo più, tra gli scrittori cattolici tradizionalisti toscani, amico di Piero Bargellini e del pittore Ottone Rosai, nella sequela di Federigo Tozzi e Domenico Giuliotti. Ma la materia e la forma della sua produzione eccedono questo recinto. La scrittura di Lisi è di essenza metafisica, non descrittiva. E il suo stile, che vuole introdurci al magico dell'esistenza, rinnova il simbolismo medioevale. L'indeterminazione delle sue figure, dovute al rallentamento della loro velocità, è un suo punto di partenza. Nell'estrema precisione di un Diario non ci sono contorni che limitino la sua andatura e la sua presa degli eventi. Il pudore, il candore e l'umiltà apparente della prosa poetica di Lisi segnano delle aperture profonde, invitano a visitare il sottosuolo dell'umana condizione, al di là di osservanze e discipline. Il preziosismo della ricerca lessicale e sintattica, sempre ordinata da impronte arcaiche, non è mai di maniera, perché è intessuto di illuminazioni e scarti improvvisi. La poesia del Diario di un parroco di campagna non è didascalica, religiosa o moralistica, ma visiva, olfattiva, tattile, sensoriale. Lisi ha tentato di risolvere il problema della spiritualità traducendolo in quello di una nuova sensorialità, che offra la via per trovare lo "spirito" nell'estrema concretezza delle cose, della terra e dei suoi abitanti.

Così si incrociano i termini del vernacolo e dell'italiano antico, sullo sfondo di narrazioni appese ad un filo, che trema ed è sempre sul punto di rompersi, seguendo il ritmo delle vicende interiori, massima amplificazione dell'oggettualità e dell'affettività dell'essere. Il tessuto tenue della "fabula" trova una perfetta corrispondenza nelle attese, nelle aspettative spirituali, nel cosmo affettivo degli eventi naturali e umani, anche i più "insignificanti".

Nel Diario la purezza dell'esistenza si ottiene non attraverso la semplificazione, perché le cose sono ontologicamente semplici nel mondo di Lisi, ma attraverso un processo di distillazione, frutto di contemplazione e di disciplina. Lisi, che parla attraverso il suo "io narrante", si muove con misura e delicatezza sulla scena del mondo, tocca umilissimi oggetti, consuetudini modeste, segni di fedeltà ad un orizzonte di illuminazione, di sacrificio, di rigore, che si esercita persino sulla pressione dei sentimenti.

E' un mondo i cui elementi ruotano in continuazione, come gli atti e le stagioni. In effetti il gioco della prosa poetica di Lisi è la ripetizione. Il Diario di un parroco di campagna ne rappresenta il trionfo, la scrittura del ritornello quotidiano. Ma anziché produrre una banalità stonata esso vede nelle stagioni, nei gesti, nelle liturgie che le interpretano, combinandosi e costruendosi su di esse e con esse, il teatro quotidiano della manifestazione di un chiarore intermittente, la cui luce è insieme palese e nascosta. Così, indifferente alle trame, Lisi descrive gli eventi per sottrazione, perché purificarsi vale alleggerirsi, e si nutre dello stupore per le piccole cose, i "minimi" di una simbolica, che assume a modello il genere della leggenda medioevale e la purezza della prosa trecentesca toscana. Gli stessi servizi religiosi, le benedizioni, le orazioni, i breviari, i canti, le letture, le ufficiature, le laudi, le riflessioni teologiche del parroco di campagna, si interfacciano con eventi climatici, mini-cronache quotidiane, passaggi interiori, ripiegamenti completamente liberi da narcisismo. Questo mondo, narrato da Lisi, composto di oggetti e di animali, si fa carico delle tensioni affettive di una spiritualità insieme umana e trans-umana.

Prima edizione del libro: Nicola Lisi, Diario di un parroco di campagna, Firenze, Vallecchi, 1943