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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Scendere e salire nell’oltremondo di Dante

 [nota biografica su János Kelemen]

 

I.

I luoghi dello spazio del “sotto” e del “sopra”, o le direzioni spaziali del movimento del scendere e del salire, hanno significati che esprimono ugualmente relazioni cosmologiche, morali e di potere.

Allo stesso tempo è indiscutiblie che, dopo aver superato gli inizi mitologici, il pensiero religioso e filosofico ha sempre avuto la funzione di costruire un complessivo quadro cosmologico in cui si possono spiegare e interpretare le esperienze umane. Tale funzione compete anche alla letteratura. Per esempio, la cosmologia che Dante costruisce in base agli elementi della tradizione mitologica e religiosa è una parte organica della Divina commedia e la storia che il poeta ivi ci racconta non sarebbe comprensibile senza tale quadro strutturale (usando l’aggettivo “strutturale” nel senso crociano). Le cosmologie tradizionali, basate su strutture mitologiche, come anche quella di Dante, implicano un universo a più livelli, in cui i singoli livelli rappresentano sfere dell’essere totalmente diverse.

Si possono ammettere in genere tre, o, se seguiamo Northrop Frye, quattro livelli1. Secondo lo schema più semplice al di sopra del mondo della natura e degli uomini vi è il regno dei cieli, la dimora degli dei, mentre di sotto troviamo gli inferi, l’impero dei morti. Questo determina un asse perpendicolare per mezzo del quale si distinguono una direzione di movimento in giù e una in su, e possono essere chiaramente individuati e contrapposti i luoghi “di sotto” e “di sopra”.

Sembra che il mondo che Platone descrive nel Timeo (l’unico suo scritto che Dante poteva conoscere) faccia eccezione. Per il fatto che il firmamento è sferico, argomenta Platone, il “sotto” e il “sopra” non possono esistere come due luoghi contrapposti che dividano l’universo in due (Tim. 62 c-e). Non si dimentichi però che il testo platonico, semplicemente, relativizza la distinzione del “sotto” e del “sopra” ad altre qualità dei corpi, come a quelle di essere più pesanti o più leggeri, e spiega tale distinzione con il minore o maggiore grado della forza necessaria per il loro spostamento. Quindi, dal fatto che nel Timeo il “sotto” e il “sopra” non siano luoghi o punti assoluti nello spazio, non consegue che la dimensione perpendicolare, che determina la direzione del movimento delle anime, non faccia necessariamente parte del cosmo platonico. Anzi, come si evince dal secondo discorso di Socrate nel Fedro, il mondo, per sua essenza, è verticalmente strutturato. La volta del cielo separa dal mondo degli uomini l’iperuranio (ὑπερουράνιος,), che è la zona al di sopra del cielo, dove si trova la realtà veramente esistente.Questo luogo è occupato da un’essenza incolore, non raffigurabile e impalpabile che è visibile solo all’intelletto, al pilota dell’anima (Phaedr. 247 c). Le anime che sono le più affini all’intelletto divino aspirano ad ascendere a questo punto.

È convincente la tesi di Bruno Nardi, secondo cui la visione fondamentale della Divina commedia nasce da questa descrizione platonica dell’ascesa delle anime all’iperuranio, indipendentemente dal problema di come, e per mezzo di quali mediazioni, Dante potesse avere accesso al mito raccontato nel Fedro2. Ci sembra infatti che quello che il poeta fa, consista fondamentalmente nel fornire dettagli e nel popolare con persone concrete il mondo al di là dei cieli, completandolo naturalmente con la costruzione del mondo sottostante dell’Inferno e quello del Purgatorio. L’universo in tal modo creato è ordinato verticalmente, e le direzioni dello spazio determinate da esso, cioè il “sotto” e il “sopra”, la “sinistra” e la “destra”, sono date in modo assoluto.

Le cosmologie che dividono il mondo in luoghi inferiori e superiori devono rispondere alla questione di come le sfere dell’essere, governate da leggi essenzialmente diverse, possano essere connesse e transitate. Nella tradizione mesopotamica e biblica tale problema fu risolto dall’utilizzo del concetto del monte, dell’albero e altri fenomeni naturali, oppure di quello degli artefatti e mezzi umani come la torre e la scala, che suggeriscono in modo evidente la necessità e la possibilità del movimento in giù e in su.

Dante ha tratto profitto da tutti questi motivi.

Consideriamo per primo il motivo del monte. È superfluo dire che l’idea del Purgatorio, che costituisce uno dei pilastri del mondo rappresentato nella Divina commedia,si connette strettamente con tale motivo, anzi ne è un’imponentissima elaborazione.

D’altronde, possiamo assumere che il monte del Purgatorio, pur senza essere nominato, appare già nelle prime terzine dell’Inferno,poiché la storia raccontata nella Commedia, cioè il viaggio di Dante, esordisce nel momento in cui Dante protagonista, dopo essersi smarrito, arriva al piè di un colle e, guardando in alto, prova ad ascendere ad esso: 

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,

là dove terminava quella valle

che m’avea di paura il cor compunto,

guardai in alto […]

[…]

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,

ripresi via per la piaggia diserta,

sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso.

(Inferno,I, 13-30)

A partire da questo punto (cioè dal verso 13 del primo canto dell’Inferno!)il movimento del viaggiatore può essere descritto nei termini della discesa e dell’ascesa. Nell’ordine morale del mondo, il monte del Purgatorio come il luogo della purificazione dai peccati, al quale Dante non è, e non sarà mai capace di salire da sé, perché le tre bestie gli traversano la strada, si trova tra l’Inferno dei dannati e il Paradiso delle anime salvate. Ma il monte nella cui cima, nel punto più vicino al cielo, è collocato il Paradiso terrestre, occupa anche nel mondo fisico un posto intermedio, compiendo la funzione di connettere il “sotto” e il “sopra” e rendendo possibile il loro trapasso.

Dante sfrutta il motivo della torre richiamandosi al mito di Babele. È pur vero che nella Commedia egli si occupa di Babele e di Nembrod («per lo cui mal coto / pur un linguaggio nel mondo non s’usa») solo in pochi luoghi e in forma di allusioni (Inferno,XXXI, 78; Purgatorio,XII, 34-36; Paradiso,XXVI, 124-126), tuttavia i lettori del poema avevano sempre capito il messaggio che, in contrasto con il monte del Purgatorio, la torre, costruita dagli uomini, non è atta a collegare il mondo inferiore a quello superiore e non rende possibile il passaggio dal primo al secondo. Altrove Dante scrive ampiamente su questo. In una pagina straordinaria del De vulgari eloquentia egli racconta dettagliatamente la storia di Babele, sottolineando che la torre fu destinata a servire l’ascesa degli uomini al cielo:

Ardí dunque in cuor suo lo incorreggibile uomo di vincere, come fosse un gigante, con la sua arte la natura, e il suo autore, che è Dio; e si pose a murare una torre in Sennaar che fu poi chiamata Babele [...] per la quale pensava attingere il Cielo (De Vulg. Eloq. I, VII, 3, trad. it. di G. L. Passerini).

Dante adopera il motivo della scala in modo altrettanto vistoso, come dimostra la stessa frequenza delle occorrenze del vocabolo “scala”. È un esempio suggestivo la terzina in cui si esprime l’esperienza amara dell’esilio:

Tu proverai sì come sa di sale

lo pane altrui, e com’è duro calle

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.

(Paradiso,XVII, 58-60)

In questo luogo famosissimo, dove la “scala” ha un largo senso metaforico, «lo scendere e ‘l salir» è evidentemente l’immagine delle relazioni di potere.

L’applicazione più elaborata del motivo si vede nell’episodio della scala di Giacobbe in cui, seguendo il paragrafo rispettivo del Libro della Genesi (Genesi,XXVIII, 12), Dante scrive: «vid’io uno scaleo eretto in suso / tanto, che nol seguiva la mia luce» (Paradiso,XXI, 29-30). Ma in contrasto con la scala che appare nel sogno di Giacobbe e si erige dalla terra al cielo, la scala vista da Dante parte dal cielo di Saturno per giungere, al di sopra delle sfere celesti, fino all’empireo. Ma tale differenza non implica un contrasto vero e proprio perché anche nel poema di Dante la scala collega due luoghi essenzialmente diversi e ci porta dal mondo sensibile a quello soprasensibile. Mentre le sfere celesti ruotano e posseggono una realtà fisica, l’empireo è immobile, non ha un asse di rotazione ed è fuori dallo spazio:

Perché non è in loco, e non s’impola;

e nostra scala infino ad essa varca,

onde così dal viso si s’invola.

Infin là su la vide il patriarca

Jacob porgere la superna parte,

quando li apparve d’angeli sì carca.

(Paradiso,XXII, 67-72)

Dal nostro punto di vista è importante che per la scala si possa scendere e salire. Proprio come nel sogno di Giacobbe, gli angeli di Dio scendono e salgono per essa, così, nel testo di Dante, gli spiriti contemplativi del cielo di Saturno, Pietro Damiano e San Benedetto, scendono verso il poeta, vengono giù per raggiungerlo. Dante stesso ovviamente non può muoversi in sù e in giù, poiché per la sua missione egli è spinto ad andare avanti senza tornare indietro, a salire continuamente e senza sosta finché non raggiunga il suo scopo. Questa volta gli si offre un mezzo per salire la scala di Giacobbe, su cui lo spinge Beatrice:

La dolce donna dietro a lor mi pinse

con un solo cenno per su quella scala

(Paradiso,XXII, 100-101)

 A tutto ciò va aggiunto che l’idea della scala di Giacobbe, come mezzo per transitare da un mondo ad un altro, appare anche altrove nella Commedia in una forma meno elaborata. Mi riferisco alla scala per cui i viaggiatori ascendono dall’Antipurgatorio alla porta del Purgatorio (Purgatorio,IX, 94-102).

Anche questa scala ci porta a un confine concettuale perché oltre alla porta si apre già il mondo della salvazione. Da lì le anime penitenti accedono prima o poi al Paradiso senza ricadere nel mondo dei peccati. Come l’angelo portinaio ammonisce i viaggiatori, da questo punto non è lecito guardare indietro:

[…] “Intrate; ma facciovi accorti

che di fuor torna chi ‘n dietro si guata”.

(Purgatorio,IX, 131-132)3

  

II.

Qui emerge una nuova questione perché dobbiamo chiaramente distinguere le due parti del soggetto che stiamo trattando.

Infatti, dal problema della relazine tra il “sotto” e il “sopra”, che riguarda l’ordine cosmologico del mondo, la separazione delle sfere dell’essere e la possibilità del passaggio straordinario tra di loro oltre che i mezzi di tale passaggio, va distinto il problema dell’esistenza nei quadri di questo ordine cosmologico, che eventualmente va pensato nella forma del viaggio. In altre parole, si deve esaminare il movimento del protagonista della Commedia.

Per quanto riguarda la dimensione cosmologica, si noti che, nonostante il poeta costruisca l’universo del poema con eccezionale originalità, con estrema precisione in ogni dettaglio e con grande rigore logico, l’immagine generale di tale universo deriva fondamentalmente da una tradizione antica.

Invece, il viaggio dell’eroe della Commedia attraverso questo universo e la via che egli vi percorre sono essenzialmente differenti dai viaggi che si raccontano nelle opere della letteratura classica (malgrado il fatto che la tradizione epica sia evidentemente una fonte principale del poema dantesco).

Gli eroi dei poemi epici, come Odisseo ed Enea, scendono pure loro negli inferi, quindi anche loro hanno da fare un tratto verticale nel corso del viaggio. Ma questo è solo una tappa episodica della loro storia, che peraltro si svolge su un piano orizzontale. E in fondo il piano orizzontale dell’esistenza terrestre è il luogo caratteristico di ogni avventura e narrazione.

Dante, al contrario, prosegue il suo itinerario in direzione del tutto verticale,lungo l’axis mundi.Già allo stesso inizio del viaggio egli si avvia camminando su un pendio, il quale, secondo numerosi commentatori, non è altro che il monte del Purgatorio. Dopo il fallimento di questo tentativo egli, per vie traverse, cioè attraverso l’Inferno, tornerà al piede del monte, che sormonterà per ascendere fino ai cieli. Il movimento esclusivamente verticale, come tra i primi ha dimostrato Jurij Lotman, è una caratteristica incomparabile della narrazione dantesca, cosa da cui non si può prescindere4. È ovvio che tale concezione dello spazio, e delle direzioni del movimento in esso, si connette strettamente con il contenuto ideologico del poema e con i principi poetici del poeta.

Naturalmente sarà vero anche dopo Dante che le storie si svolgono principalmente sul piano orizzontale. Questo si vede anche nei campi più ampi della cultura, fra l’altro in casi nei quali la scelta dell’ordinamento spaziale della rappresentazione dipende semplicemente dalla convenzione (e non è determinata per esempio dalle caratteristiche della percezione visuale). Si pensi al fatto che nella maggioranza delle culture la direzione spaziale della scrittura è orizzontale, oppure che nel campo del film il fotogramma, lo schermo o il taglio d’inquadratura delle scene sono rettangoli orizzontali. Dal punto di vista semiotico si deve proprio a questo il fatto che, nella storia del film, la rarissima scelta di articolare lo spazio verticalmente, cioè di adottare tagli d’inquadratura verticali, si è dimostrata un elemento costituente del significato. Si conoscono pochi esempi importanti di questo genere. Infatti, tra i registi cinematografici classici possiamo individuare soprattutto Ejzenštejn e Hitchcock come autori che nelle loro opere impiegano maggiormente e in modo decisivo il movimento verticale5. In ambedue i casi, come in quello di Dante, l’impiego delle composizioni spaziali verticali risulta da certi contenuti ideologici. Per esempio in Ottobre,il trattamento ejzenštejniano dello spazio si spiega soprattutto con l’approccio rivoluzionario, che si concentra sulla lotta di classe, e con l’intenzione di rappresentare nella forma più chiara le strutture di classe e quelle di potere6. Mentre la scena della scalinata di Odessa, ne La corazzata Potëmkin, può essere menzionata come uno degli usi più memorabili del motivo della scala nella storia della cultura.Quanto ai film di Hitchcock, la composizione spaziale verticale dipende invece dall’approccio psicologico del regista (come fra l’altro in Vertigo e Psycho).

Come abbiamo visto sopra, Dante, descrivendo l’inizio del viaggio, ricorda che egli riprese la via «sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso» (Inferno,I, 30).

Non è facile interpretare questo verso da sempre controverso. Il viaggio, visto per intero, è l’ascesa dell’anima a Dio, itinerarium mentis in Deum. Perciò, esso è di natura spirituale ed ha un senso allegorico. Ma allo stesso tempo, in senso letterale, esso significa anche movimento fisico, dispendio di forze, ed è un aspetto di quella realtà sensibile i dettagli della quale il poeta rappresenta nell’Inferno e nel Purgatorio con un realismo ineguagliabile. Probabilmente anche il verso in questione può essere letto in tale luce. Accettando la lettura di John Freccero7, sostenuta da un apparato filologico considerevole, possiamo identificare il «piè fermo» con il piede sinistro del viaggiatore, il quale, con il suo intelletto (cioè con la parte migliore della sua anima e con il piede destro) mira alto, mentre il volere (cioè la parte più debole della sua anima e il suo piede sinistro) tira indietro. Sul piano fisico vediamo un camminatore che ad ogni passo mette avanti il piede destro e si appoggia al piede sinistro.

Dopo che il tentativo del viaggiatore fallisce e Virgilio gli si offre da guida, bisogna prendere, invece della via in su, un’altra via in giù, che porta all’inferno. La discesa nell’inferno equivale d’altronde alla discesa dall’emisfero del Nord, che è coperto dalla terraferma, verso l’emisfero del Sud. Dante e Virgilio scendono (girando dalla sinistra alla destra) lungo una via a spirale, fino al centro della terra, dove si pente Lucifero. Satana, cadendo dal cielo, si è conficcato in terra nell’emisfero del Sud, in modo che dal punto di vista di quelli che scendono, sta con la testa in su e con il piede in giù. Il torso e la testa si collocano nell’emisfero del Nord, i piedi penzolano nell’emisfero del Sud, e le anche occupano il centro della terra. Così, in conseguenza della concezione geocentrica, egli si trova nel centro dell’universo stesso, il che non è affatto privo d’importanza.

I due viaggiatori non possono lasciare l’inferno che scendendo lungo il torso di Lucifero e attraversando il centro della terra. A questo punto s’inverte la relazione del “sotto” e del “sopra”, e le direzioni di giù e di su cambiano senso:

Quando noi fummo là dove la coscia

si volge appunto in sul grosso dell’anche,

lo duca con fatica e con angoscia

volse la testa ov’egli avea le zanche,

ed aggrappossi al pel come uom che sale,

sì che in ‘nferno io credea tornar anche.

[…]

Io levai gli occhi, e credetti vedere

Lucifero com’io l’avea lasciato;

e vidigli le gambe in su tenere.

(Inferno,XXXIV, 76-90)

Avendo trapassato questo punto, i due viaggiatori continuano a fare la stessa strada nella stessa direzione. Come interpretare tale situazione? Prima di rispondere, accenno al fatto che Dante, anche nella descrizione di questo episodio, utilizza il motivo della scala. I peli di Lucifero costituiscono una scaletta per cui i viaggiatori possono lasciare l’inferno per entrare in un’altra sfera dell’universo:

Attienti ben, chè per cotali scale […]

conviensi dipartir di tanto male.

(Inferno,XXXIV, 82-84)8

La questione è la seguente. Se Dante e Virgilio continuano la stessa strada, allora la situazione in cui si trovano dopo aver varcato il centro della terra può senza riserve essere descritta così che in seguito alla discesa essi s’incamminino in su?

Esiste una risposta dialettica che allo stesso tempo è positiva e negativa. Nel dire di ,e altrettanto di no,possiamo riferirci al fatto che il “sotto” e il “sopra” hanno un significato perfettamente diverso a seconda che li consideriamo nella prospettiva terrestre oppure in quella cosmica. Nella prospettiva terrestre il discendere all’inferno equivale di fatto all’andare in giù, mentre nella prospettiva cosmica ciò non è altro che un andare in su. Nella prospettiva terrestre il “sotto” e il “sopra” sono relativi, intercambiabili, mentre nella prospettiva cosmica, secondo le leggi della struttura cosmologica dantesca, essi sono assoluti e costituiscono un singolo asse fisso. Questo asse determina le coordinate di tutti i luoghi dello spazio e di tutte le cose, di tutte le proprietà morali e di tutti i movimenti, compreso il movimento di Dante e Virgilio. Il poeta e la sua guida si muovono lungo questo asse, e salgono senza interruzione, prima di raggiungere il centro della terra, così come dopo che l’hanno lasciato dietro di loro9.

Naturalmente i tratti lungo l’asse del “sotto” e del “sopra” assoluti sono anche diversi. Nell’Inferno e nel Purgatorio i viaggiatori, rappresentati nella loro realtà fisica, si muovono in tempo e spazio reali. Si ricordi per esempio l’accuratezza con cui Dante descrive i luoghi, l’andatura e i gesti dei viaggiatori e con che premura egli precisa gli intervalli e i termini temporali. Nel Paradiso tutto cambia. Lo spazio perde la sua qualità fisica e s’investe di un carattere immediatamente simbolico (per il fatto, fra l’altro, che le anime appaiono non nel loro luogo effettivo, ma in quella sfera celeste che corrisponde alla virtù che le caratterizza).

La stessa cosa vale per il tempo. Vediamo per esempio la descrizione della salita al cielo del sole:

Lo ministro maggior della natura,

che del valor del ciel il mondo imprenta,

e col suo lume il tempo ne misura,

con quella parte che su si rammenta

congiunto, si girava per le spire

in che più tosto ognora s’appresenta;

e io era con lui; ma del salire

non m’accors’io, se non com’uom s’accorge

anzi ‘l primo pensier, del suo venire.

È Beatrice quella che sì scorge

di bene in meglio, sì subitamente,

che l’atto suo per tempo non si sporge.

(Paradiso,X, 28-39)

Come Dante ricorda in numerosi luoghi, la sua salita da un cielo all’altro si compì con una velocità straordinaria, in un solo momento, senza che egli se ne fosse accorto. Ma questo fa vedere che in realtà la corretta descrizione di quello che succede non è che per la salita ci voglia pochissimo tempo, ma che non ci vuole tempo affatto. Essa si compie al di fuori del tempo10. In questo terzo tratto del viaggio la salita ha un senso puramente morale, e non si può concepirla in termini spaziali e temporali.

Ciò non cambia il fatto che il viaggio di Dante sia un’ascesa continua, senza deviazione, lungo l’asse che penetra la terra e l’intero universo. Gerusalemme, Lucifero che si pente nel centro della terra, il paradiso terrestre e, infine, l’empireo dove si compie la visione di Dio, sono connessi da un’unica linea retta.

 

 

Note con rimando automatico al testo

1 N. Frye, Words with Power,New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1990.

2 B. Nardi, Dante e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca, Bari, Laterza, 1942, p. IX.

3 Si noti qui la possibile allusione ad Orfeo.

4 J. M. Lotman, Put’es’estvie Ulissa v ’Boz’estvennoj komedii’ Dante,in Id., Izbrannye stat’i v trech tomach, vol. I: Stat’i po semiotike i tipologii kultury, Tallinn, Aleksandra, 1992, pp. 448-463.

5 G. Báron, Alászállás az alvilágba. Psycho, analízis (Discesa agli inferi. Psycho, analisi), Budapest, Új Mandátum Könyvkiadó, 2007, p. 14.

6 J. Bárdos, Ironie und Geschichte in Eisensteins “Oktober”, in «Internet-Zeitschrift für Kulturwissenschaften», n. 16, August 2006, accessibile in rete all’indirizzo http://www.inst.at/trans/16Nr/01_2/bardos16.htm.

7 J. Freccero, Il piè fermo in un viaggio senza guida, in Id., Dante. La poetica della conversione, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 53-91.

8 Merita attenzione che dopo qualche verso Dante torni a questo motivo: «E questi, che ne fe’ scala col pelo, / fitto è ancora sî, come prim’era» (Inferno, XXXIV, 119-120).

9 Questo è analizzato da Lotman dal punto di vista semiotico, cfr. J. M. Lotman, Put’es’estvie Ulissa v ’Boz’estvennoj komedii’ Dante,cit., p. 449. Freccero interpreta il capovolgersi dei viaggiatori nel centro della terra come l’immagine della conversione cristiana, in concordanza con la sua teoria secondo cui la poetica di Dante è la poetica della conversione, cfr. J. Freccero, Inversione infernale e conversione: Inferno XXXIV, in Id., Dante. La poetica della conversione, cit., pp. 245-251.

10 L’aspetto temporale della salita nelle sfere celesti è analizzato in dettaglio da A. Cornish, Il viaggio attraverso le sfere, in P. Boyle, V. Russo (a cura di), Dante e la scienza,Ravenna, Longo, 1995, pp. 233-242.