AZIONI PARALLELE 
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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
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Mediterranei. Spunti per un immaginario geografico

 

Le molteplici valenze etiche, sociali e politiche del pensiero meridiano sono già state ampiamente sviluppate, più di quanto potrei aggiungere, da Franco Cassano, al cui testo non posso che fare riferimento.

Ma il Mediterraneo è anche, o forse innanzitutto, uno spazio geografico, e al suo interno, come substrato che lo sostiene, spazio dell’immaginario. In questo senso, seguendo l’ispirazione della Poetica dello spazio di Gaston Bachelard, il Mediterraneo diventa un oggetto simbolico di conoscenza e il territorio di un vissuto collettivo che viene attraversato prima delle categorie filosofiche o storico-politiche (un materiale dell’immaginario su cui forse queste trovano uno dei fondamenti). Il Mediterraneo è sempre stato rappresentato come uno spazio, prima della fissazione di vie commerciali o di confini statali, così come ce lo si è raffigurato. Provo così, sulla scia della Poetica, a suggerirne sperimentalmente alcuni spunti, nell’auspicio che altri allarghino o articolino più di me le mie fantasie. 

In questa prospettiva si giustifica il titolo. Se essere “mediterranei” è, originariamente, una condizione psichica ed emotiva, e una sua espressione nella produzione dell’immaginario, si va ben al di là della precisa determinazione geografica. Non conta più tanto, o soltanto, il “Mar Mediterraneo” coi suoi confini naturali o topografici, ma quella condizione di mediterraneità che emerge e si può esperire anche in tanti altri luoghi geografici. Ne esploro alcuni, in maniera alquanto impressionistica, ma ci sarebbe la potenzialità, per chi può, di ritrovarli, per dire, in Oceania o nelle pianure degli indigeni d’America...

 

1. Passaggi

 

Il Mediterraneo, più che la naturalità etimologica di un mare fra le terre, è un luogo di passaggio. Continuo, di persone, idee e stati d’animo. Proprio liquido, in questo senso. Altrimenti non si spiegherebbe la millenaria insistenza simbolica su Gibilterra. Che conta non tanto come limite, o strettoia del mare, ma come opportunità. Oceanica, rischiosa. Per un altrove. Lo sapevano ovviamente Ulisse, Dante, i navigatori del Rinascimento. Lo sappiamo tutti: non siamo chiusi in gabbia. Se la famosa deriva dei continenti si completasse, allora sì che non sarebbe più un mediterraneo, ma una palude.

Analoga immagine, anche se meno celebrata, può nascere dal Bosforo e dai Dardanelli. Sono due mari che comunicano, il Mar Nero e il Mediterraneo, che non restano chiusi, non sono il Mar Caspio. E sono due terre e due continenti: l’emozione che si prova, passando sul ponte da Istanbul a Scutari, dall’Europa all’Asia, due mondi in un ponte, è difficilmente imitabile.

O si pensi, in una prospettiva più regionale, a un mediterraneo come quello di Bordeaux. Porto fluviale di enorme importanza commerciale e strategica, centro di influenza filosofica e storica (Montaigne, Montesquieu, i Girondini) collega tramite la Garonna l’Atlantico alla Francia meridionale. E non basta: stretta su una fascia di terra fra il fiume e l’oceano, Bordeaux è una terra fra le acque. Forse il successo, anche d’immagine, dei suoi vini è dovuto proprio alla posizione. Non a caso, una zona vinicola del bordolese si chiama Entre-deux-mers. Se sia, etimologicamente, per le maree di due fiumi o per le due distese d’acqua, la risonanza anche emotiva è la stessa.

O per scendere su una prospettiva ancor più locale: Sestri Levante sorge su di un istmo ed una stretta penisola che separano due insenature, il golfo del Tigullio e la letteraria Baia del silenzio. Si passa da uno all’altra nello spazio e nel tempo di due carrugi. Non a caso, qui come in molteplici località analoghe che è superfluo elencare, un albergo si fregia del titolo, forse un po’ roboante, “Dei due mari”…

  

2. Venezia

 

Venezia è stata quasi un archetipo della mediterraneità. Non solo, come ovvio, per la sua posizione strategica e la sua storia. Ma per la sua struttura geografica, che raddoppia in piccolo un Mediterraneo più grande. Stretti lembi di terra emersi laboriosamente fra le acque. «Venezia è un pesce». Lo dice la letteratura, e lo dice la forma delle isole che la costituiscono. Ed è, soprattutto, acqua fra le terre: la laguna. La laguna è difesa militare, terreno di pesca, via di comunicazione. Ha dato cibo, ricchezza, sicurezza. Ci sono voluti secoli perché la nobiltà marinara decidesse di sbarcare sulla terraferma veneta. La laguna è talmente importante, che è stata difesa con tutti i mezzi, dalle guerre agli assedi, fino ad arrivare a deviare i suoi fiumi, il Brenta, il Sile, per conservarla aperta, integra e non insabbiata. Le vicende degli ultimi anni, dalle fabbriche di Marghera alle navi da crociera al Mose, prima ancora che un problema economico ed ambientale, sono purtroppo uno sfregio simbolico alla laguna: anche i mediterranei muoiono.

  

3. Milano

Una breve divagazione: a prima vista non si direbbe. Che cosa c’entra Milano? Ma Milano è medio-lanum, in mezzo alla pianura. Probabilmente la sua etimologia precede i latini, e risale alle tribù celtiche che l’avrebbero fondata: fin dall’inizio, un luogo centrale di passaggio, da difendere e conquistare. Circondata un tempo da foreste, poi da campagne coltivate, attraversate, come un mare, da tutte le rotte militari, commerciali, culturali. Terra al cuore delle terre? Ma ciò che purtroppo si dimentica, guardando la Milano industriale post-bellica, è che è stata per secoli una città d’acqua. La sua antica ricchezza era dovuta alla decina di fiumi e canali che vi confluivano, alla rete dei navigli, alla darsena che era il più importante porto fluviale italiano. E alle risaie, sommerse per mesi nelle marcite. Centro strategico “acquatico” fra le piatte distese della pianura padana: Milano non è stata solo “da bere”.

  

4. Napoli

 

I mediterranei sono anche, nel duplice significato del termine, “luoghi comuni”. Non mi soffermerò sul profluvio di stereotipi, positivi e negativi, che da sempre sommergono Napoli e il suo effettivo essere il centro del Mar Mediterraneo. Ma è più interessante notare, nella sua autobiografia, che il giovane Toni Negri, lavorando per mesi all’Istituto Croce, nel 1956 visse la città «come se attraversassi il Mediterraneo antico e moderno, un bailamme di civiltà – perché quella miseria proletaria napoletana era oltremodo civile». E i paesaggi mediterranei (Palestina, Anatolia…) come origine di un profetismo religioso dal basso, della moltitudine. Certo, dove finisce la storia e inizia il mito? «La percezione della bellezza di quella città eterna del proletariato mediterraneo»… viene da chiedersi, un po’ maliziosamente: Napoli è fisica o simbolica, reale o immaginaria, per il provinciale padano Negri?

  

5. Fughe

Il Mediterraneo come luogo di fuga. Dai limiti un po’ soffocanti della borghesia cattolica veneta, per il padovano Toni Negri. Dalla grettezza e aridità urbana, per i personaggi di Jean Giono, che superano, in questo caso, gli stereotipi sulla Provenza profumata per aderire alla natura aspra, solare e solitaria delle sue colline. E dalla guerra, come nel film di Salvatores. Castellorizo, piccolissima isola dimenticata persino dagli eserciti, è l’incarnazione favolistica, forse un po’ di maniera, ma corposa e sensibile, dell’essere fuori dal mondo, terra fra i mari lontana da navi da guerra, aerei, corruzione, avidità… «Dedicato a tutti coloro che fuggono» è il film.

  

6. Atlantide

Anche Atlantide è un sogno di fuga. Siamo all’interno della discussione sulle città ideali, e Platone nel Crizia la colloca persino al di là delle Colonne d’Ercole. Ma, per quanto utopos, non-luogo, ha le caratteristiche spaziali che già conosciamo: un’isola, nel mezzo della cui pianura centrale sorge un monte circondato da cinte concentriche, «due di terra e tre di mare». Che sia l’antica Cartagine, o una regione poi sommersa, o un luogo del tutto immaginario, l’isola Atlantide è la medietà, fra terre e fra acque. E non è un caso che Pierre Benoit, nel suo romanzo L’Atlantide, l’abbia poi spostata nel cuore del Sahara, luogo mitico di fuga dei viaggiatori ottocenteschi, sviluppando le tradizionali analogie fra mare e deserto, dromedari compresi.

  

7. Adriatico

 

Per tanti che sognano di fuggire, molti che desiderano arrivare. Non solo oggi. Da sempre. L’Adriatico, ad esempio, non è solo il mare che Venezia ha difeso con le unghie e coi denti: è sempre stato il sogno degli slavi, una specie di “mare promesso” per l’Europa orientale. Anche favoloso e terribile: si pensi ai feroci pirati uscocchi, che si annidavano fra isole e fiordi della Dalmazia e, si dice, strappavano il cuore ai loro nemici. O al mito di Lepanto (ma quanti sanno poi indicare esattamente dove è situato?). Per gli Asburgo, il cuore geografico del Mediterraneo è stato, per sette secoli, Trieste. Lo sbocco unico sul mare, su cui tutto, viaggi commerci e flotte, ruotava. Dopo il 1918, Trieste è finita ai margini della storia e della geografia. Ma ancora oggi l’ambizione di toccare l’Adriatico costituisce una ferita aperta per molti: se si segue la costa dalmata, il territorio croato è interrotto, a Neum, da un piccolo tratto di costa, circa 10 chilometri che appartengono alla Bosnia… Si passa due volte la frontiera, se si vuole andare a Dubrovnik. Ebbene, il desiderio di controllare quel piccolo porto è stato una delle cause che hanno spinto Serbia e Russia in guerra, nel 1914. E che hanno portato i serbi di Milosevic a fare tutto quello che hanno fatto, negli anni Novanta, pur di non perderlo.

 

8. Suez

 

A prima vista, Suez fa pensare più ad una chiusura che ad una apertura. Gli investimenti capitalistici anglo-francesi. Il colonialismo ottocentesco. La guerra del 1956. I grandi interessi delle compagnie petrolifere e navali. Di fronte a tutto ciò, il fatto che sia stato aperto un canale di comunicazione passa in secondo piano. Ma in realtà l’immagine si capovolge, se si tiene presente che, nell’antichità e nell’alto medioevo, si andava via mare dal Mediterraneo al Mar Rosso, sfruttando i rami del delta del Nilo. Già le navi romane, e poi quelle arabe, erano arrivate nell’Oceano Indiano. Per cui, anche ad Oriente, il Mediterraneo era già aperto. Al di là delle apparenze attuali, per secoli non c’è stata la necessità del Canale di Suez. I mari comunicavano, respiravano. Non c’era il soffocamento che poi ha dato vita alla corsa all’Atlantico.

  

9. Pellegrinaggi 

Ricordate la Via Lattea, il possente film di Luis Buñuel in cui il viaggio dei pellegrini diventa metafora di una secolare, contraddittoria storia religiosa e filosofica, che mette in discussione ogni presunzione di certezza? È anche una metafora spaziale, si va dalla Francia alla Galizia, dal nord all’ovest della Spagna. Ma tutti i pellegrinaggi, a prescindere dalle intenzioni devote, avevano questa cifra, dal nord al sud, dalle pianure centro-europee al mare. O a Tir-nan-og, la mitica terra della gioventù degli irlandesi, situata curiosamente su di un’isola nell’oceano ad occidente. Si spezzava la chiusura nordeuropea. I viaggi giacobiti, verso l’oceano di Santiago di Compostela. I pellegrinaggi romei e la via francigena, dalle terre germaniche e francesi verso l’Italia. Ed infine l’archetipo di tutti, quello gerosolimitano, attraverso il mare fino a Gerusalemme e alla Palestina. Sul cui significato simbolico sono già state scritte biblioteche… In ogni modo tutti questi viaggi dalle nebbie al sole sono itinerari iniziatici. Fino a quello di Nietzsche, verso il grande meriggio. Verso l’apertodi Hölderlin.

  

10. Mesopotamia

 

Proviamo ad allargare ancora il quadro spaziale. La vulgata etimologica si limita all’abituale riferimento terre-acque, fra i fiumi. Ma la Mesopotamia è stata ben di più, ponte fra oriente e occidente, centro delle vie globali di comunicazione e fonte originaria della civiltà mediterranea. «Equidistante tra le civiltà che si affacciavano rispettivamente sull’Atlantico e sul Pacifico», come sostiene Philip Jenkins, che nel suo libro sulla Storia perduta del cristianesimo rintraccia le radici asiatiche del cristianesimo, dimenticate, o rimosse in favore della successiva egemonia europea. Al di là dei limiti dell’Impero Romano, d’Occidente e d’Oriente, «una volta rimosso il vincolo simbolico dei confini», riappare una terra, una storia, una cultura che spaziava fra gli orli degli oceani.

  

11. Per finire: Algeria

 

Dall’Algeria alla Francia, e viceversa. Il duplice viaggio di andata e ritorno di due grandi scrittori francesi. Albert Camus nasce in Algeria, attraversa il mare per vivere in Francia, sempre guardato con diffidenza come estraneo, come straniero non incasellabile nelle categorie sociali, ideologiche e politiche dominanti. E ritorna idealmente in Algeria battendosi per la sua indipendenza, contro il disastro etico dello stato francese. Il suo Mito di Sisifo, questo rifare ogni volta con coraggio e senza false illusioni il proprio viaggio, per quanto si tratti di una montagna, lo vedo anche come il continuo attraversare e riattraversare il mare – anche oggi – dei popoli mediterranei.

Infine Jacques Derrida. Ebreo sefardita nato ad Algeri. Trasferitosi in Francia dopo la guerra e la fine delle persecuzioni razziali. Sempre attento al recupero, a un tempo, delle sue tradizioni culturali e del multiculturalismo, dell’incontro, non patetico, con l’Altro. Come ebreo della diaspora, incarna per me mirabilmente i viaggi fisici e mentali dei naviganti del Mediterraneo. E lo rende esplicito, ponendo per me il sigillo a queste mie suggestioni: il vero filosofo, le vere risposte non possono che venire dallo straniero. Lo Straniero di Elea, che giunge ad Atene.