Un transfrontaliero al valico

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Introduzione ad Abdelwahab Meddeb, Primavera a Tunisi. La metamorfosi della Storia

 

 (cfr. alcuni brani del libro tradotti in italiano)  

 

Ritratto di A. Meddeb

A Parigi non c’è solo la rive gauche degli intellettuali, degli artisti e bohémiens, e la rive droite con i suoi centri degli affari, del lusso e della politica, c’è anche una implicita rive sud che non è più riferita alla Senna, ma al Mediterraneo, e che a rigore non è neanche francese, o magari lo è altrimenti, alla maniera in cui i confini e gli sconfinamenti spesso risultano elettivamente più identificativi e identificanti che non qualsiasi altro supposto centro. Abdelwahab Meddeb può essere a buon diritto definito un parigino della rive sud, come Albert Camus o Jacques Derrida: nato a Tunisi nel 1946, figlio di una famiglia di intellettuali e teologi, si era installato a Parigi fin dal 1967 per studiare Lettere e storia dell’arte alla Sorbona. Una morte prematura, avvenuta nel novembre del 2014 dopo una breve malattia, ha interrotto la sua vicenda di scrittore, poeta e filosofo, ma anche di produttore radiofonico, per essere stato l’animatore, dal 1997, di una fortunata e stimata serie radiofonica su France Culture dedicata alle “Cultures d’islam”, in onda ogni venerdì, e infine, last not least, di docente universitario di Letteratura comparata all’Università di Paris X-Nanterre, dove ha insegnato dal 1995 per quasi vent’anni, dopo essersi addottorato all’Università di Aix-Marseille nel 1991 con una tesi su Écriture et double généalogie sotto la guida di Anne Roche.

Fedele/infedele alla sua origine, spesso sulle tracce delle avanguardie del pensiero francese contemporaneo, ha sempre lavorato sull’intervallo interstiziale della doppia appartenenza alla cultura araba e alla cultura francese, nel punto della scissione e dell’incontro tra nord e sud, est e ovest, arcaismo e contemporaneità, attitudine cosmopolita e radicamento intellettuale1. Molte delle sue pubblicazioni sono state tradotte nelle maggiori lingue ed hanno ottenuto premi prestigiosi. Tra le sue opere letterarie citerò qui soltanto il suo esordio negli anni Settanta con il romanzo Talismano e la sua ultima pubblicazione, del 2014, Portrait du poète en soufi, oltre a due opere tradotte anche in italiano, il romanzo Fantasia e il poemetto in prosa Sulla tomba d’Ibn Arabi, dove risalta soprattutto il riferimento alla tradizione mistica, patrimonio insieme culturale, artistico e civile2.

Tra le opere espressamente dedicate a un confronto con le sfide imposte dal ritorno ideologizzato del mondo musulmano a un retaggio culturale saccheggiato e manipolato,La maladie de l’Islam è quella che lo rende presto noto anche presso il grande pubblico, diventando un bestseller che gli fa ottenere il Prix François Mauriac nel 20023. Altre sue fortunate pubblicazioni sono state dedicate alla questione dell’integralismo, da lui considerato come un falso ritorno alle origini (che in realtà nasconde invece una effettiva e concreta esperienza di deculturalizzazione), come un arcaismo spesso alleato di un’occidentalizzazione americanizzata e centrata sul consumismo, dove regressione e accelerazione tecnica paradossalmente convivono nel risentimento generalizzato. Si vedano per esempio Contre-Prêches (Prix Benjamin Fondane 2007) e Sortir de la malédiction: L’Islam entre civilisation et barbarie, opere che lo faranno presto diventare bersaglio di attacchi ripetuti da parte degli islamisti4.

Il saggio Printemps de Tunis. La métamorphose de l’Histoire, dal quale abbiamo tradotto qualche stralcio grazie alla generosa mediazione della signora Amina Maya Meddeb e grazie al permesso ufficialmente accordato da Jean Mouttapa delle edizioni Albin Michel di Parigi, è nato dall’entusiasmo per quelle che erano state subito chiamate le “primavere arabe”, partite da una Tunisia che, a suo parere, aveva ritrovato la dignità di ribellarsi alla dittatura in un gesto di catarsi collettiva, mantenendo la grazia della nonviolenza e dando vita a un movimento risoluto e compatto, ma tranquillo, pacifico, responsabile, maturo5. È suo il battesimo della rivolta tunisina come la “rivoluzione dei gelsomini” in un articolo comparso su «Le Monde» il 18 gennaio 2011, a immediato ridosso degli eventi, ed è significativo che fin da quelle prime reazioni Meddeb sottolinei il carattere inaugurale e periodizzante della sollevazione popolare, avvenuta nella periferia più decentrata, ma posta in maniera cruciale al centro della scena dalla deterritorializzazone dei nuovi media che l’avevano resa possibile6.

Ricapitolo brevemente gli eventi: il 17 dicembre del 2010 Mohamed Buazizi, un giovane informatico disoccupato che vendeva abusivamente verdura su una bancarella di Sidi Bouzid, cittadina di provincia a 260 chilometri da Tunisi, dopo l’ennesimo affronto della polizia locale, che aveva brutalmente rovesciato il suo unico mezzo di sostentamento accusandolo di non avere le licenze previste, decide di esprimere la sua disperazione dandosi fuoco in piazza. Morirà qualche settimana dopo, il 4 gennaio 2011, dopo inutili tentativi di curare le gravissime ustioni. Il suo gesto susciterà grande commozione e farà montare l’indignazione popolare, già catalizzatasi in occasione dei suoi funerali e poi esplosa in una grande manifestazione pubblica il 14 gennaio 2011, data che segnerà la fine della satrapia decennale di Ben Ali, dando a sua volta inizio a una serie di analoghe rivolte popolari che avranno luogo anche nell’Egitto di Mubarak e nella Libia di Gheddafi. Per Meddeb, Mohamed Buazizi è un figura cristica di redentore che si inscrive nell’immaginario collettivo a fianco di Jan Palach, immolatosi a Praga quarant’anni prima per la delusione di un’altra primavera mancata, ma è anche la fenice della tradizione mistica, capace di bruciare e di rivivere dalle ceneri esprimendo l’immortalità della sua energia e la capacità di alimentare altre rinascite. Questo sacrificio umano diventerà l’icona che ispirerà la rivolta del 14 gennaio 2011, considerata da Meddeb come una data cardine, una cesura e una cerniera della storia, affiancata al 9 novembre 1989, giorno della caduta del muro di Berlino, e al 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia. In tutti questi casi la rivolta contro l’oppressione – dell’ancien régime, della guerra fredda, della dittatura liberticida – accelera il movimento della storia, dimostrando che questa non si arresta mai, nonostante tutte le attestazioni di una sua presunta fine nel trionfo della ragione e nella glorificazione della libertà condivisa7.

Nell’ora del protagonismo libertario e dell’iniziativa emancipatrice dei popoli arabi, madrina è per Meddeb la tradizione illuminista, considerata come un patrimonio comune che non è affatto la prerogativa esclusiva ed escludente della cultura europea. Molto visibile è l’impronta “francese” della sua lettura storico-politica degli eventi, non solo per il rimando al mitico quatorze juillet; ma altrettanto presente è la fiera consapevolezza di una pari levatura della cultura islamica, riletta come esperienza di tolleranza e di convivenza, soprattutto nelle espressioni artistiche e poetiche che si sono coagulate nella tradizione sufi8. Costante è anche la vigilanza contro il rischio dell’involuzione islamista, da lui subito individuata commentando il rientro in patria del personaggio politico al centro del movimento Ennahda, che nell’ottobre del 2011 vincerà le elezioni per la formazione dell’Assemblea costituente e che successivamente userà il suo ascendente per occupare in maniera strisciante i gangli del potere9. Interessante è a questo proposito come Meddeb sottolinei l’opposizione della società civile tunisina ai progetti politici integralisti, opposizione interpretata soprattutto dalle donne, protagoniste di un movimento che fa volentieri a meno di quelle parole d’ordine; ma altrettanto significativa è l’accusa di favoreggiamento lanciata agli intellettuali occidentali, ai politologi, sociologi ed esperti di islam che colpevolmente non vogliono vedere il pericolo implicito nel doppio gioco dell’islamismo cosiddetto “moderato” e magari sostengono indirettamente i movimenti più radicali10.

L’antidoto alla regressione è per Meddeb il ritorno a un islam vernacolare, che contro le ossessioni puristiche accetti, per esempio, il culto dei santi, si confronti con le altre tradizioni culturali e religiose non temendo l’ibridazione e sapendo anzi recuperare quel fondo preislamico, tragico e dionisiaco, che vive ancora nel Mediterraneo – berbero, ebraico, latino, africano – di cui la Tunisia resta un’icona e per cui la tradizione sufi, con il suo culto della polifonia interpretativa, rimane un importante riferimento filosofico e teologico, oltre che poetico11.

Le sue riflessioni confermano, come se non l’avessimo ancora capito, quanto ci ricordava ancora all’inizio del secolo uno spirito a lui affratellato dalla stima e dall’amicizia reciproca, un altro parigino della rive sud, Jacques Derrida, quando ci ammoniva a pensare la democrazia a venire senza dimenticare l’islam:

ecco, forse, in fondo, la grandissima, se non l’unica questione politica dell’avvenire, la questione più urgente di ciò che resta a venire per ciò che ancora viene chiamato il politico. Il politico, vale a dire – nell’apertura, nel libero gioco e nell’estensione stessa, nell’indeterminazione determinata del suo senso – il democratico12.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Si veda la raccolta in sua memoria con contributi di numerosi autori di diversa provenienza: A.M. Meddeb (a cura di), Abdelwahab Meddeb, le proche et le lointain, Neuilly-sur-Seine, Al Manar, 2016. Un omaggio all’artista e all’intellettuale è stato recentemente organizzato a Parigi presso la Maison de la Poésie, cfr. “Errance de ville en ville – sur le pas de Meddeb”, 5 novembre 2016, accessibile in rete all’indirizzo: https://vimeo.com/193062273 (ultima consultazione: 1 dicembre 2016; ringrazio la signora Amina Maya Meddeb, che mi ha voluto rendere partecipe di questa iniziativa).

2 A. Meddeb, Talismano, Paris, Christian Bourgois, 1979. Id., Phantasia, Paris, Éditions Sindbad, 1986; trad. it. a cura di F. Gambaro, Fantasia, Roma, Edizioni Lavoro, 1992. Id., Tombeau d’Ibn Arabi, Paris, Noël Blandin, 1987; trad. it. di A. Zoppellari, Poema di un sufi senza Dio. Sulla tomba d’Ibn Arabi, Aprilia, Ortica editrice, 2012 (con una Postfazione di Jean-Luc Nancy). Id., Portrait du poète en soufi, Paris, Belin, 2014. Con la raccolta Id., Matière des oiseaux, Paris, Fata morgana, 2001 ha vinto nel 2002 il premio di poesia Max Jacob.

3 A. Meddeb, La maladie de l’islam, Paris, Seuil, 2002; trad. it. di E. Volterrani, La malattia dell’Islām, seguito da Che cosa ci si può attendere da una guerra?, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

4 A. Meddeb, Contre-Prêches, Paris, Éditions du Seuil, 2006; trad. it. di E. Volterrani, Contro-prediche tra Europa e Islam: Cronache, marzo 2003-gennaio 2006, Siena, Cantagalli, 2009. Id., Sortir de la malédiction. L’Islam entre civilisation et barbarie, Paris, Éditions du Seuil, 2008; trad. it. di E. Volterrani, Uscire dalla maledizione: L’Islam tra civiltà e barbarie, Siena, Cantagalli, 2011. Ad esempio del confronto con posizioni islamiste si potrà vedere la discussione con Tariq Ramadan nella trasmissione televisiva “Ce soir ou jamais”, trasmessa il 30 gennaio 2008 e accessibile in rete all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=1LaaiCgUIGE (ultima consultazione: 1 dicembre 2016). Cfr. anche Id., Pari de civilisation, Paris, Seuil, 2009; così come la raccolta, curata con B. Stora, Histoire des relations entre juifs et musulmans. Des origines a nos jours, Paris, Albin Michel, 2013.

5 A. Meddeb, Printemps de Tunis. La métamorphose de l’Histoire, Paris, Albin Michel, 2011.

6 Cfr. A. Meddeb, La “révolution du jasmin” signe de la métamorphose de l’histoire, in «Le Monde», 18 gennaio 2011, p. 25, accessibile in rete all’indirizzo: http://www.lemonde.fr/idees/article/2011/01/17/la-revolution-du-jasmin-signe-de-la-metamorphose-de-l-histoire_1466684_3232.html (ultima consultazione: 1 dicembre 2016). La caratterizzazione della rivolta tunisina come “rivoluzione dei gelsomini” era stata presto anche criticata da chi vi aveva visto il rischio di riprodurre le immagini stereotipate e volgari del turismo e della pubblicità. A queste accuse Meddeb contrappone il rimando al significato del profumo nella tradizione mistica sufi, cfr. Id., Printemps de Tunis, cit., pp. 151-155.

7 L’obiettivo polemico di Meddeb è in prima battuta la tesi hegeliana sull’obiettivo del processo storico come percorso di libertà, ma soprattutto la controversa tesi di Francis Fukuyama sulla fine della storia nel trionfo del modello democratico, cfr. F. Fukuyama, The end of history and the last man, New York, Free Press, 1992; trad. it. di D. Ceni, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1996.

8 Si veda per esempio il seguente passo: «Agli epigoni dell’11 settembre diciamo con Voltaire: “Non si fa mai del bene a Dio facendo del male agli uomini”. E ai protagonisti del 14 gennaio ricorderemo questo consiglio di Ibn Arabi: “Che il tuo cuore sia capace di accogliere tutte le forme di cui si veste la fede”. Così rimandiamo gli uni alla barbarie del loro fanatismo e celebriamo negli altri la virtualità di quanto è relativo, l’apertura sull’alterità e la capacità di accogliere ogni idea giudicata fausta, quale che ne sia l’origine». A. Meddeb, Printemps de Tunis, cit., p. 100.

9 Si veda anche il successivo contributo: La Tunisie en péril, trasmissione radiofonica del 28 giugno 2013, accessibile in rete all’indirizzo: http://www.franceculture.fr/emissions/cultures-dislam/la-tunisie-en-peril (ultima consultazione: 1 dicembre 2016).

10 Nel testo che presentiamo il riferimento è in particolare al sociologo francese Bruno Étienne e alla sua scuola. Dopo le più recenti involuzioni della situazione politica turca, naturalmente le considerazioni ancora positive a proposito del «modello turco» – e in particolare del preteso rispetto da parte di Recep Tayyip Erdoğan per le tradizioni laiche della Turchia novecentesca – non possono che rendere ancora più credibili le messe in guardia di Meddeb contro il progetto politico totalitario dell’islamismo di orientamento salafita e wahhabita, che ripetutamente e in paesi diversi continua a gettare la sua maschera.

11 Cfr. A. Meddeb, Sortir l’islam de l’islamisme, in «Le Monde», 16-17 dicembre 2012, p. 18, accessibile in rete all’indirizzo: http://www.lemonde.fr/idees/article/2012/12/16/sortir-l-islam-de-l-islamisme_1806978_3232.html (ultima consultazione: 1 dicembre 2016).

12 J. Derrida, Voyous. Deux essais sur la raison, Paris, Galilée, 2003, p. 52; trad. it. di L. Odello, Stati canaglia. Due saggi sulla ragione, Milano, Raffaello Cortina, 2003, p. 54.