Max Beck, Günther Anders’ Gelegenheitsphilosophie

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Max Beck

Günther Anders’ Gelegenheitsphilosophie
Exilerfahrung – Begriff – Form

Vorwort von Konrad Paul Liessmann

 

132 S., € 18
ISBN 978-3-903110-22-9

 

 

La storia filosofica di Günther Anders, nato Stern, inizia in maniera tradizionale: allievo di Husserl e poi di Heidegger, impostazione fenomenologica, si era laureato con una dissertazione dal titolo Über die Situationskategorie bei den “Logischen Sätzen” e, successivamente, molto legato a Max Scheler, si era impegnato nel progetto di costruzione di una vera e propria antropologia filosofica, un’antropologia filosofica sistematica. È però proprio questo aggettivo, sistematico, che viene messo in crisi dagli avvenimenti degli anni ’30 che Anders, ebreo in Germania, vive in maniera drammatica. La fuga in Francia e poi negli Stati Uniti non comporta soltanto l’abbandono dei grandi centri della filosofia tedesca, ma anche della mentalità che ad essi è legata.

«All'inizio ero straordinariamente “impegnato sistematicamente” […] Ma poi venne Hitler, o meglio, il periodo pre-hitleriano: e le esigenze quotidiane divennero “esigenze di anni”, mi assorbirono da mattina a sera. […] Diventai così un filosofo “morale”. Al posto dell'ampiezza della tematica filosofica subentrò quella dei generi letterari; con questo voglio dire che non scrissi più, o quasi più, prosa filosofico-discorsiva ma, a seconda dei casi, mi servii dei generi letterari più diversi: della favola, dell'utopia alla Swift, della poesia»1.

Di questa breve citazione, risposta di Anders ad una domanda di Mathias Greffrath sulla sua a-sistematicità, vale sottolineare più elementi: innanzitutto l’abbandono della filosofia sistematica ha un preciso riferimento temporale e viene identificato e motivato con le trasformazioni politiche e socio-culturali che culmineranno nella presa del potere da parte di Hitler; in secondo luogo troviamo l’accenno a quelle esigenzequotidiane che, come vedremo, identificano le occasioni (Gelegenheiten); in ultimo il riferimento alla varietà dei generi letterari che sostituiscono la prosa filosofico-discorsiva. Potremmo affermare insomma che questi tre elementi da soli bastino a sintetizzare la Gelegenheitsphilosophie andersiana: il primo ne costituisce l’origine, il secondo l’oggetto, il terzo la forma. Nell’analisi di questo nuovo modo di fare filosofia si nota come i tre aspetti siano implicati l’uno nell’altro e nessuno di questi, senza l’ausilio degli altri, potrebbe rimandare pienamente l’originalità della proposta andersiana.

Fino a poco tempo fa, gli studi sulla Gelegenheitsphilosophie andersiana si limitavano a raccogliere e commentare le indicazioni che lo stesso autore ci dà sparse nei suoi testi maggiori: i due volumi di L’uomo è antiquato e Ketzereien, volume ancora inedito in italiano, in cui sono raccolti gli appunti che sarebbero serviti alla stesura del terzo volume de L’uomo è antiquato. In questi accenni, l’Introduzione del primo volume e le Riflessioni metodologiche conclusive del secondo, Anders definisce il suo metodo come

«qualche cosa che a primo sguardo deve apparire mostruoso, un ibrido incrocio di metafisica e giornalismo: cioè un filosofeggiare che ha per oggetto la situazione odierna […] ma non solo per oggetto, poiché è proprio il carattere opaco e inquietante di questi squarci che dà l’avvio al nostro filosofeggiare. L’ibrido carattere dell’assunto dà luogo a un insolito stile espositivo»2.

La sensazione che ne verrà fuori per il lettore, spiegherà Anders nel prosieguo, cosciente della sua originalità, è quella di un continuo mutare di prospettiva:

«dall’investigazione di fenomeni attualissimi (cioè dalle “occasioni”) egli viene sbalzato continuamente nel modo più inaspettato, nella discussione di problemi, i quali (poiché sono appunto problemi filosofici fondamentali) sembrano non avere alcun rapporto immediato con i temi occasionali»3.

I due poli della nuova dialettica che Anders ha instaurato, le occasioni e i problemi filosofici fondamentali, vengono qui relegati nelle parentesi. Continuando la lettura del passo però ci troviamo immersi in un dialogo fittizio, esso stesso esempio di Gelegenheitsphilosophie, che Anders, rappresentante della filosofia d’occasione, ingaggia con un ‘rigorista’ che difende invece la posizione della filosofia tradizionale. Questi sostiene che limitandosi al fatto singolo, come fa il filosofo d’occasione, si rinneghi il fondamento e si occulti la totalità, giocandosi in tal modo la pretesa di fare filosofia. Anders risponde che la “totalità” e il “fondamento” sono da considerarsi come le dimensioni della risposta in cui tutte le domande si acquietano e che «chi nega senz’altro che il fenomeno singolo possa essere oggetto dell’attività filosofica, perché è soltanto contingente ed empirico, sabota la propria attività filosofica».4

Nella conclusione al secondo volume, un contributo del 1979, Anders scriveva «Il sistema come genere filosofico sta morendo o è già morto. […] In questa morte della sistematica io non vedo, come già detto, nulla di deplorevole»5. Ciò che va sottolineato è che la scelta del rigorista o del filosofo d’occasione, non è una scelta stilistica, la predilezione per una forma di rappresentazione letteraria rispetto ad un’altra; è riflesso di una posizione filosofica ben precisa: la sistematica è una affermazione metafisica a priori, «l’affermazione che lo stesso oggetto “mondo” che il sistema pretende di rappresentare è a sua volta un sistema»6. Questi riferimenti alla Gelegenheitsphilosophie risultano delle conclusioni a cui Anders giunge in una fase matura del suo percorso filosofico: in questi testi non viene messa in dubbio la legittimità di una tale filosofia e non si dibatte della possibilità e dell’efficacia di un nuovo linguaggio filosofico.

Di recente però, un nuovo contributo alla ricerca è stato fornito da Max Beck con Günther Anders’ Gelegenheitsphilosophie, uscito per l’editore viennese Klever. Beck, studioso che in passato si è occupato di Adorno e di critica letteraria, sceglie di affrontare il tema della filosofia d’occasione e per farlo utilizza un testo ancora inedito, conservato all’Archivio Anders di Vienna. Questo saggio andersiano, dal titolo Gelegenheitsphilosophie, risale agli anni dell’esilio americano tra il 1942 e il 1950 e rappresenta proprio la nascita del concetto, la sua messa in discussione e l’analisi dei dubbi sul principio di fondo della filosofia d’occasione. Come si dirà nella conclusione, il nuovo modo andersiano di filosofare può essere considerato da tre punti di vista: quello biografico, quello concettuale e quello formale e in base a queste tre prospettive possibili, Beck divide il libro intre parti: la prima che indaga proprio a livello biografico il periodo in cui Anders elabora la filosofia d’occasione, la seconda che indaga il senso della Gelegenheitsphilosophie cercando di sintetizzarne i caratteri e di segnarne l’originalità rispetto al metodo sistematico-tradizionale di fare filosofia, l’ultima, in cui la filosofia lascia il posto alla critica letteraria, che si articola invece nell’analisi delle varie “piccole” forme di letteratura in cui si esprime la filosofia d’occasione andersiana, quindi diari, essay, aforismi e dialoghi.

Procedendo con ordine, il primo momento di interesse di questo lavoro di Beck è proprio che la scelta del tema della Gelegenheitsphilosophie implica anche la scelta di un periodo di produzione della vita intellettuale di Anders di cui non si sa molto, cioè gli anni dell’esilio a Los Angeles. Già la periodizzazione risulta complicata e i critici non concordano né sulle date né sul tipo di vita che Anders svolse quegli anni in California. Certo è che, come è tipico del carattere e della produzione andersiana, l’autore nemmeno in questo caso era riuscito ad inserirsi pienamente in quel milieu culturale che era definito la Weimar tra le palme: i contatti di Anders con gli altri importanti esiliati, come i fondatori dell’Istituto per la ricerca sociale, erano sporadici e pare che all’interno dell’Istituto stesso egli fosse solo “tollerato”. Proprio per questo motivo Peter Gay lo aveva definito un doppio outsider. In quegli anni Anders non aveva prodotto molto e non era noto nemmeno in patria perciò gli era riuscito praticamente impossibile integrarsi all’interno della società americana e costruire la sua carriera e fortuna in un ambiente culturale che era ritenuto oltretutto incredibilmente povero e superficiale. Anche per questo aveva allora abbandonato il metodo filosofico sistematico e si era mosso verso la stesura di forme letterarie minori che nascessero dalla realtà situazionale. È così compiuto nel testo di Beck il primo passo che lega la nascita di questo nuovo metodo di scrittura andersiano alla situazione biografica dell’autore in esilio, che non solo sarà la molla per iniziare delle riflessioni asistematiche ma sarà spesso la condizione testimoniata dalle nuove forme di letteratura.

È infatti proprio questo il senso della Gelegenheitsphilosophie: il ruolo della situazione non è, come si vedrà, solo quello di essere oggetto dell’elaborazione filosofica; la Gelegenheit (l’occasio latina) è anche l’Anlass cioè l’occasione nel senso del motivo, della ragione che dà avvio al filosofare. Beck riesce bene a chiarire come questa doppia interpretazione sia il senso più profondo della riflessione andersiana che è anche ciò che può esporla alle maggiori critiche e farne vacillare la validità. Lo stesso Anders pone in dubbio la consistenza di questo metodo: non potrebbe essere tacciato di essere una raccolta disordinata di frasi che fondate sul particolare non sarebbero legittime come “trampolino nell’universale” (Sprungbretter ins Allgemeine)? Ogni occasione è adatta al filosofare? Come passare al concetto? Queste sono le questioni in discussione nella parte centrale e più densa del testo di Beck, che grazie alle molte citazioni dell’inedito andersiano, testimonia quanto la riflessione metodologica sia intrecciata in maniera fondamentale alla visione del mondo che Anders continuerà a proporre anche nelle elaborazioni mature: l’unità, l’omogeneità, la sistematicità del mondo non è mai presupposta, ciò non sfocia però in un relativismo o in un semplice pluralismo; nessuna singola tesi o osservazione è subordinata ad uno schema, o letta con pregiudizio, ma a posteriori l’una si riallaccia all’altra nella costruzione di una sistematica après coup.

Altro elemento cardine della Gelegenheitsphilosophie è il suo essere indissociabile dalla forma letteraria che assume. Perciò nella terza e ultima parte del suo testo, Beck chiarisce questo legame in cui non giocano un ruolo soltanto le occasioni e l’elaborazione stilistica che il filosofo sceglie, ma anche la facilità con cui certe forme letterarie, lontane dalle dissertazioni accademiche, possono raggiungere un pubblico più vasto ed essere quindi maggiormente efficaci. Tale modo di fare filosofia diventa l’unico possibile nel momento in cui la realtà non consentiva più al filosofo che avesse voluto dirsi tale di rimanere all’interno delle mura dell’accademia, «come se un fornaio facesse dei panini solo per fornai»7. È per questo che dall’inizio degli anni ’30 i temi diventano quelli del nazionalsocialismo e della guerra e il linguaggio si trasforma, nel tentativo di raggiungere il maggior numero di persone.

Come già accennato le forme analizzate sono il diario, l’essay, l’aforisma e il dialogo. Di ognuna di queste Beck fornisce una breve genealogia e una piccola storia della loro fortuna. Qui forse Beck perde il suo focus su Anders e non sempre risulta chiaro in cosa consista la specificità dello stile andersiano pur nell’utilizzo di forme note. Il riferimento all’influenza che grandi autori del passato hanno avuto su Anders e sulla sua scelta di un particolare genere letterario rischia di rimanere fine a se stesso se non sottolinea una rielaborazione feconda dell’autore. Le digressioni di Beck in molti casi non risultano funzionali ad una successiva analisi dei testi esemplari andersiani che non sono quasi nemmeno citati. Questo capitolo finale, quindi, è quello che lascia più spazio ad essere approfondito in altri studi, con analisi più dettagliate delle opere andersiane che qui risultano particolarmente limitate e accogliendo magari l’invito alla problematizzazione di una questione che Beck lascia aperta, se sia cioè corretto inserire le fiabe e i racconti nella classificazione dei generi propri della Gelegenheitsphilosophie.

In conclusione, in ogni caso, il lavoro di Beck prova e riesce a sciogliere la difficoltà dell’intreccio tra occasione, elaborazione concettuale e stile, tipico della Gelegenheitsphilosophie andersiana, analizzandoli, se pur separatamente, in modo da non perdere lo sguardo d’insieme. Senza dimenticare inoltre che questo contributo può fornire ad altri studiosi elementi nuovi per la ricerca, grazie alla scoperta di un inedito che speriamo possa anche essere tradotto e pubblicato in Italia.

 

 

Note

1 G. Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza a cura di Luisa Pizzighella, Mimesis, Milano, 2008, pp.60-61.

2 G. Anders, L’uomo è antiquato. I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 17.

3 Ivi.

4 Ibidem, p.20.

5 G. Anders, L’uomo è antiquato. II. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale (1980), tr. it. di Maria Adelaide Mori, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 383-384.

6 Ibidem, p. 385.

7 G. Anders, Il mondo dopo l’uomo, p. 61.