Pensare radicalmente il reale

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La strategia del “pensiero radicale” in Jean Baudrillard
tra (effetto)-realtà, simbolico e simulazione

 

Jean BaudrillardLa presente riflessione nasce dall’intento di delucidare ed esplorare gli aspetti filosoficamente significativi del “pensiero radicale” di Jean Baudrillard, così come esso è stato elaborato e posto dall’autore al centro della propria speculazione. Il nostro approccio, in questo senso, prova a distanziarsi nettamente da quello con cui è solitamente interpretata la variegata e molteplice produzione dell’intellettuale francese, allo scopo di fornire un’interpretazione dell’autore che ‒ piuttosto che affidarsi a categorie socio-antropologiche con le quali, i più diversi interpreti, hanno finito per etichettare Baudrillard come profeta (pessimista e nostalgico) del postmoderno ‒ tenta invece di tenere fede all’esplicito rigetto dell’intellettuale francese di questa e simili “definizioni”. In particolare, il nostro intervento tenterà di rintracciare i caratteri e l’evoluzione delle nozioni, centrali nel contributo filosofico di Baudrillard, di (iper-)realtà e simbolico.

Durante tutto l’arco del suo impegno d’intellettuale a “tutto tondo”, Baudrillard ha infatti ripetutamente dichiarato che il vero interesse e il principio guida al cuore del proprio lavoro di ricerca, non consiste nell’elaborazione di un’analisi critica, di una teorizzazione socio-antropologica di quei “sistemi di iper-realizzazione” della realtà che possa diventare metro di giudizio e valutazione con cui interpretare i fenomeni che caratterizzano l’“era della simulazione”. E, neppure, egli si rivela interessato a rintracciare l’attendibilità delle proprie congetture nel confronto con una realtà empirica che precederebbe la teoria che la pensa.

Piuttosto, Baudrillard intende sviluppare un’interrogazione ed esplorazione teorica di quello che potremmo definire come lo statuto paradossale della realtà: ovvero lo statuto che essa assume nel momento in cui egli la definisce primariamente come effetto di simulazione. Tenendo dunque in considerazione le analisi della variegata produzione straniera, in particolare d’origine anglosassone, e gli obiettivi teorici del pensatore francese, l’approccio all’opera dell’autore in questo breve, ma non esaustivo, contributo vorrebbe far fede alle parole stesse di Baudrillard e adottare primariamente un punto di vista “interno” con cui affrontarne gli snodi concettualmente significativi.

Il cuore speculativo della riflessione baudrillardiana potrà così emergere ripercorrendo ciò che in essa è complessivamente in gioco, in una inevitabile e coerente evoluzione delle forme con cui pensare una realtà ‒ dato che, per Baudrillard, essa continuamente si rinnova tramite un processo di inesausta rappresentazione e dissoluzione del suo significato nel movimento del pensiero che, specificatamente e solamente, la costituisce come effetto-realtà. Effetto-realtà o simulazione con cui, cioè, il soggetto umano fa immediatamente esistere come dotati di senso gli enti e costruisce dei sistemi valoriali.

In particolare, in questa sede, il prendere le mosse dal peculiare concetto baudrillardiano di realtà come simulazione assume allora lo specifico obiettivo di sostanziare un’interpretazione dell’intellettuale francese che ‒ appunto, coerentemente a quanto afferma Baudrillard stesso (soprattutto nelle interviste degli anni ’90 e nelle ultime opere) ‒, lo vede impegnato in una vera e propria costruzione di una “strategia narrativa”. Ovvero, nell’elaborazione di una sorta theory-fiction, concepita dall’autore come l’unico tentativo di ri-pensare una realtà violentemente confrontata dallo sterminio della referenza e della rappresentazione ‒ ossia, alla luce dello statuto di simulacrale, e più radicalmente segnico, che assume la realtà una volta trasposta nella peculiare spazio-temporalità della simulazione.

 

1. Baudrillard e l’opera di decostruzione della presenza

Per metter a segno gli intenti dichiarati dal presente lavoro, si rivela fondamentale prendere le mosse da una definizione de Lo scambio simbolico e la morte come l’esito e il frutto maturo (in pieno spirito “sessantottino”) di tutta una critica dell’economia politica e alla società dei consumi che intende andare polemicamente oltre l’eredità marxiana e quella corrente del pensiero francese che rimane ancorata a una lettura del consumo in termini di desiderio e relativo soddisfacimento dei bisogni. Brevemente, l’interpretazione di Baudrillard della società consumistica degli anni ‘60 e ‘70 si riassume e trova la sua chiave di volta nella teorizzazione di un “terzo stadio” o “stadio strutturale” del valore. In base ad esso, sostiene l’autore, la merce entrerebbe cioè nei circuiti dello scambio economico e sarebbe «immediatamente prodotta come segno, come valore/segno, e i segni (la cultura) come merce».1 Si tratta in altri termini di una produzione industriale regolata dalla profusione di codici e modelli di consumo e di cultura, che più verosimilmente, assume le sembianze di un mero scambio di segni andando dunque a rispondere e ad alimentare, secondo Baudrillard, a una logica di tipo simulatorio. Questa situazione si traduce anzi immediatamente, per l’autore,2 nello sterminio di ogni referenza reale a pieno vantaggio di una vera e propria istituzione di un “principio di simulazione” a governo di una realtà che appare, appunto, vanificata dai segni.3

Tale concetto e principio di simulazione, assodato dalla critica come il nucleo costante, ‒ motore ispiratore, di guida e le cui implicazioni sono sviluppate e addirittura sostanziano l’intera costruzione del lavoro intellettuale di Baudrillard ‒ giungerà addirittura così, negli esiti più recenti della sua opera, a decretare l’impossibilità di un qualsiasi scambio tra il mondo e il suo senso.

Visto da questa prospettiva, allora, quello di Baudrillard può esser definito come un vero e proprio il tentativo di ri-pensare la realtà alla luce dello sterminio della referenzialità e della rappresentazione a opera dei segni.4 Anzi, come ha anche sottolineato P. Bellasi, più precisamente per Baudrillard

il problema non è quello [...] di creare dei raccordi fittizi tra l’universo della simulazione […] e una “realtà” residuale. […] Il problema è piuttosto di svelare la simulazione a se stessa, di spingerla oltre, fino alle conseguenze più estreme, fino ad intaccare profondamente la soggettività, mostrando che questa non è se non simulazione del soggetto.5

E questo in quanto, ancor più radicalmente, in altri termini, per il pensatore francese la realtà non è mai esistita ‒ anche prima che il simulacro, come copia della copia, annullasse ogni riferimento all’originale. Perciò, benché nella prima fase del suo pensiero, fino alla cosiddetta svolta post-fenomenologica, Baudrillard opponga alla simulazione la nozione di scambio simbolico, quel che intendiamo sostenere è che ‒ piuttosto e più precisamente ‒ fin dagli inizi del suo percorso intellettuale l’autore è comunque convinto della fine del reale. Ovvero, dello sterminio di ogni referenza reale e anzi: il suo progetto intellettuale si inscrive e si costruisce a partire dall’esigenza di una decostruzione della nozione di presenza.6

L’effetto di realtà non è quindi ovunque che l’effetto strutturale di disgiunzione tra due termini. Anche nel caso dello scambio simbolico ciò che Baudrillard mette in questione (verrebbe da dire uccide) è il reale.7

La simulazione è quindi, un “dispositivo” che fabbrica di sana pianta il senso, un dispositivo di calcolo, di efficienza, il simulacro effettuale del mondo che ne occulta il carattere illusorio, il fatto che essa non esiste se non come costruzione arbitraria, con il fine di restaurare un fittizio significato, simulacri di referenze reali per gli scambi sempre più sfuggenti tra codice e modelli che guidano le nostre azioni nella realtà. Semplicemente, con l’avvento del“virtuale”, questa cultura del senso si approfondisce e amplifica tanto da, precogniza Baudrillard, subire un crollo per un eccesso di senso, per un’“inflazione” di realtà: si esaspera, diventando insensata. L’iperrealtà perciò, paradossalmente, è potenzialmente in grado, in un rovescio della medaglia, di mettere il soggetto radicalmente a contatto con l’assurdità dell’attribuzione del senso alla realtà, la quale per l’intellettuale francese, può solo essere umana simulazione arbitraria.

 

2. L’ironia della tecnica nella dissoluzione del soggetto per una “catastrofe felice”

I testi baudrillardiani più recenti trovano così un comune denominatore nell’assumere quella decostruzione della presenza ‒ già individuata, appunto, ne Lo scambio simbolico e la morte ‒ alla luce di un approdo ulteriore del sistema di simulazione che,8 approfondendosi per eccesso e diluzione sterminata di sé, comincia a seguire un vero e proprio “principio metastatico”, leucemico di funzionamento,9 decretando così nel contempo il fallimento del “simbolico” come forza antagonistica d’opposizione a questa situazione radicalizzata.10

Essenziale è dunque evidenziare come, nel momento in cui Baudrillard giunge a teorizzare uno “scambio impossibile” tra il reale e il suo significato, sarebbe anche costretto ad abbandonare una concezione del simbolico come irruzione esterna al sistema, avvento rivoluzionario che lo sfiderebbe con una logica totalmente diversa e altra rispetto a quella della simulazione. La definizione di simbolico che fornisce F. Carmagnola, restituisce completamente la forza d’ambiguità che lo caratterizza e, quindi, l’irrinunciabile centralità con cui esso è tematizzato e messo all’opera nella costruzione delle ipotesi simulatorie baudrillardiane.

Il simbolico […] come una sorta di “sterminazione” che ha le caratteristiche di una dualità o specularità non dialettica. […] è una situazione che sdefinisce il primato del codice e del simulacro raddoppiandone le sembianze […] estremizzazione della forma, del significante vuoto come ripetizione anagrammatica che si oppone o svela la falsità della ricerca di senso. Il simbolico insomma si oppone ad ogni tipo di valorizzazione: delle relazioni, degli oggetti, e del linguaggio. Ad esse oppone se stesso, la scambiabilità duale, la reversibilità della vita e della morte, l’atto di scambio che dissolve la presunta opposizione di reale e immaginario.11

L’unico modo, perciò, per cui Baudrillard può coerentemente continuare a sostenere la validità e l’efficienza della sfida simbolica all’interno dell’iperrealtà esacerbata allo stadio frattale, consiste nel declinarlo come arma omeopatica e interna al sistema stesso, ovvero ciò che Bellasi individua nella teorizzazione baudrillardiana del “concetto” o meglio, meccanismo o processo dell’implosione

L’implosione quindi […] non è “reazione contro” l’iperrealtà della simulazione e tanto meno “irruzione” dell’ambivalenza simbolica (in qualche modo “dall’esterno”) nell’atmosfera rarefatta dei modelli (il disordine simbolico che irrompe negli spazi modulari); la simulazione ha già fatto fuori ogni residuo di realtà (ovvero la realtà ha disvelato la sua essenza di simulazione), cammina sul manque [...].

L’iperrealtà, allora, definisce una condizione in cui il soggetto verrebbe radicalmente a patti con la sparizione di una direzione e di un significato da attribuire agli eventi, e dunque, con una radicale disillusione circa il mondo e il suo senso. Secondo Baudrillard, infatti, che le cose e gli eventi della realtà abbiano una finalità e uno scopo è una nostra invenzione. Anzi: è l’invenzione principe con cui siamo stati in grado, nei secoli, di far funzionare e quindi implicitamente “ipostatizzare”, porre in essere la realtà stessa, eliminando da essa e delegando in un contro-mondo tutto ciò che al soggetto sembra incomprensibile, irrazionale ma che, al contempo, costituisce anche il riflesso, il polo disgiunto, la riserva dell’immaginario e di sogno da cui, attingendovi, la realtà può continuare a funzionare. In due parole: «Perché funzioni questa illusione, occorre che da qualche parte ci sia un referente, un equivalente; ciò significa una possibilità di scambio in termini di valore».12

Di conseguenza, se a un primo sguardo, l’estremizzazione degli espedienti messi in atto dal sistema iperreale, sembra essere descritta in Baudrillard come irrimediabile eliminazione di ogni controparte negativa – invero, l’autore stesso continuamente ripete che “il delitto” nei confronti della realtà, “non è perfetto”. Ci pare, dunque, che sia possibile sostenere, senza contraddizione e con sguardo più attento, che per Baudrillard la realtà ‒ anche ridotta, trasposta in una narrazione-simulazione, a un piano di omogenea astrazione in una sorta indifferenza cifrata ‒, può iniziare a funzionare, essere pensata ed esistere solamente dall’ipostatizzazione di una, benché in questo caso minima, sfasaturao opposto disgiunto. Solo questa possibilità inalienabile perciò permette al reale di essere performato e performativo, di funzionare come narrazione significante, ovvero di ammantarsi (certo, illusoriamente) di valore.

La strategia fatale di Baudrillard, anzitutto per il tramite della forma, della scrittura, fa precisamente affidamento su questa paradossale potenzialità immanente di alternativa,13 di attribuzione di un significato al simulacro-segno ‒ e, più precisamente, essa intende continuamente rinnovare e prodursi come questa stessa forza di scarto e illusione. A tale scopo, la strategia è concepita e, in effetti, si costituisce come continuo e inesausto processo di destabilizzazione di ogni cristallizzazione del senso, dei limiti ai nostri orizzonti significanti (e quindi, a essere precisi, anche del suo stesso sistema, delle teorie che Baudrillard individua parlando di questo essere “al di là della fine”).

Anzi, per essere ancora più precisi, gli ultimi scritti di Baudrillard cercano addirittura di approfondire tale sterminazione del senso mettendo in atto gli espedienti stessi della “iper-realizzazione”. Le opere tarde di Baudrillard agiscono e prendono forma come “simulazione felice”, in un vero e proprio tentativo di fomentarne, accelerare la cosiddetta “catastrofe” del senso.

In altri termini, potremmo dire, la scrittura teorica dell’autore tenterebbe di rimanere “fedele” al mondo nel suo essere costruzione arbitraria, indefettibile effetto-realtà e, perciò stesso, anche sottoposta alla forza dell’ambiguità o simbolico. Quest’ultima non può infatti essere eliminata da un pensiero del reale che esclude ogni altro standard esterno a cui fare riferimento, perché per Baudrillard la realtà è sempre e comunque costruita, pensata su un vuoto e quindi foriera di una differenza tra se e l’effettivo ente che intende rappresentare. Differenza e scarto da cui quindi è possibile impostare una sfida simbolica di reversione, ovvero fomentare l’implosione che i significanti indefettibilmente subiscono.

In base a questo preciso processo, anzi, lo scopo del pensiero di Baudrillard consiste nel cercare di “rendere”, nella e con la scrittura, la perfetta istantaneità e attualità di ogni elemento della realtà. Alla luce, cioè, di una teoria che si vuole trascrizione inesorabile del mondo nel suo essere assoluta (in-)differenza nei confronti di ogni prospettiva che tenti di rappresentarlo in maniera esaustiva. Come scrive Butler: «Gli ultimi scritti di Baudrillard […] sono sviluppati come una riflessione sull’indifferenza del mondo che però attivamente lotta, combatte per attuarla».14

 

3. Il paradosso di una sfida immanente allo svolgimento delle cose stesse

Se il nostro mondo è dunque concepito da Baudrillard come irrimediabilmente sospeso in uno spazio-tempo liminare e senza referenza: «divisi fra l’immaginario del senso, l’esigenza di verità e l’ipotesi sempre più probabile che il mondo non abbia una verità finale, che sia un’illusione definitiva»15 esso richiederebbe quello che egli definisce un “Patto di lucidità”. Si tratta di quell’onestà intellettuale che l’autore auspica e che si rivela necessaria per un’indagine coinvolta e impegnata a pensare e costituire una realtà che s’installa, dunque, in uno “spazio paradossale”. 16

Tuttavia è da notare come nel combattere l’illusione di realtà, Baudrillard non intenda e non corra il pericoloso rischio di rinchiudersi in un relativismo dei valori. Di fatti, dichiaratamente, nella prospettiva baudrillardiana:

L’irruzione, in tutti i campi, dell’incertezza radicale, la fine dell’universo rassicurante della determinazione, non sono affatto una fatalità negativa, purché l’incertezza diventi essa stessa la regola del gioco. Cercando di non correggerla con l’iniezione di nuovi valori, di nuove certezze, ma facendola circolare come regola fondamentale. […] Solo la considerazione di una fine permette di concepire una continuità, e le nostre scienze ci hanno abituati a vedere tutto sotto la prospettiva di un’evoluzione continua, che non è mai che la nostra ‒ la forma teologica della nostra superiorità. La forma essenziale, però, è quella della discontinuità.17

Il concetto e l’azione della strategia fatale infatti, così come l’assunto nichilistico di Baudrillard, si oppone ma allo stesso tempo prende corpo a partire dallo statuto segnico della realtà e si materializza nella scrittura come simulazione virtuale.18

Anche la magistrale lettura baudrillardiana di G. Franck ci pare si costruisca in conformità a questa constatazione.19 Affermando cioè che «è nello spazio del segno che ormai tutto si gioca. […] quel sistema complessivo di segni […] struttura in cui essi rinviano gli uni agli altri all’interno di un mondo di pure astrazioni »20 Franck sembra sostenere una posizione simile alla nostra: l’iper-reale è una realtà pericolosamente ridotta a un’allucinante somiglianza con quella che dovrebbe fungere da sua contro-realtà immaginaria. Di conseguenza, la differenziazione che sta alla base e permette di ipostatizzare un senso per il mondo, non solo è diventata interna a una realtà-segno/simulacro,21 ma in quanto, appunto, si staglia al livello di mero sfasamento strutturale di quest’ultimo, è una differenza minima, pressoché cancellata. Ciò fa si che la forza dell’illusione (o dell’immaginario) emerga solidale con l’integralizzazione della realtà,22 e che le società moderne non abbiano altra alternativa che operare e attribuire significato ai fenomeni sulla base di uno scambio di equivalenti astratti i quali, per funzionare, hanno bisogno di essere valorizzati, investiti di prestigio alla luce di una mera “passione per il codice”, appunto.

In conformità a questa minima e residuale scissione interna del codice-segno ‒ alla luce di un codice binario del valore dal funzionamento combinatorio, secondo la logica (0-1) ‒ si rinnova cioè una sorta di sostrato metafisico ed epistemologico ove Baudrillard, come nota anche Carmagnola, intravede la possibilità d’instaurare uno spazio fertile per le “fantasmagorie”. Ovvero, gli escamotagesalvifici, le cosiddette” strategie banali” baudrillardiane, con cui il soggetto farebbe fronte alla crisi del senso e in base alle quali funziona l’apparato di orchestrazione dei messaggi ideologici. Infatti:

L’area del potere è infine caratterizzata dalla collusione tra realtà sociale ed economica dello scambio di equivalenti attraverso l’attività della produzione e dei processi di valorizzazione allargati fino a inglobare le immagini e i segni, e il ruolo servile dell’immaginario come rivestimento simulacrale del codice, che infine si è completamente sostituito al reale.23

Chiarito il funzionamento e dinamica per cui il simulacro assume dunque lo status di feticcio, più precisamente però, quello che intendiamo mostrare e sottolineare consiste nel fatto che è sempre, al contempo e paradossalmente, in virtù di questo sdoppiamento interno al segno ‒ che rinnova e crea uno “scarto di valore” trascendente-immanente in esso ‒,24 che risiede la possibilità per Baudrillard di una nichilistica “violenza simbolica al rialzo”.

Essa quindi, nella prospettiva dell’autore, va concepita come possibilità che è in grado di sorgere entro le condizioni stesse in cui egli decide di pensare e costruire la realtà, cioè dei sistemi di simulazione di senso ‒ compreso il suo, dunque. Ovvero, come una potenza simbolica valorizzata nelle vesti di un tentativo di schierarsi e adoperarsi per il ripristino e il potenziamento dell’illusione/forza dell’immaginario contro un’ostentata e definitoria valorizzazione della realtà ridotta a segni e immagini ‒ o, al contrario, in una mera accettazione pessimistica che decreti un’indifferente vacuità della realtà. Il lavoro del simbolico è dunque da definirsi come quello stesso lavoro di lucidità e presa di coscienza che prova a mettere in discussione la simulazione e dunque ad agire e orientarsi per simbolizzare,25 costruire, pensare una realtà che continuamente ‒ volendosi seducente, direbbe Baudrillard ‒ rinnova gli approdi e le ipostasi del significato. Infatti: «Si sfugge al significato rimpiazzandolo con un simulacro più radicale, un ordine ancor più convenzionale».26

L’unico modo per sfuggire alla “violenza simbolica” consiste nel prenderla alla lettera, affermando una violenza più eccessiva, alla quale il sistema stesso non possa rispondere. […] il contrasto non avviene in direzione contraria, ma nella stessa direzione: “bisogna spingere le cose al limite, dove del tutto naturalmente si rovesciano”. Come si vede questa violenza è omeopatica, non dialettica. È operata contro l’imperativo del significato nell’anagramma o nella densità del linguaggio poetico […].27

D’altronde, la continua insistenza di Baudrillard nel dichiarare che il “delitto” nei confronti della realtà “non è perfetto”, significa più semplicemente che sussiste una pressoché impercettibile non-coincidenza, scarto tra originale e copia, realtà e pensiero, che permette di concepire (e si costituisce come) un limite e una sfida alla loro completa sovrapposizione in un mero significante astratto.28 Ossia, una sorta di fonte di referenza interna alla simulazione, con la quale è dato modo al pensiero di non essere completamente realizzato dalla realtà e viceversa, alla realtà di non essere completamente realizzata nell’idea.

Tale fonte di referenza interna, con la radicalizzazione della simulazione, in questo stadio frattale del valore ridotto a segno, a una scansione binaria 0-1 del codice, è quindi la stessa su cui si instaura la passione del codice, ma può essere agita, o meglio esasperata e così mantenuta, secondo Baudrillard, come forza di illusione, distanza incolmabile:29 a ripristino della violenza del simbolico che andrebbe ad operare all’interno del simulacro, destabilizzandolo, e costringendolo a reversibilizzarsi, a partire dal vuoto su cui si costruisce, in una simulazione rinnovata, più radicale.

Di conseguenza, tenendo in considerazione quanto visto al primo e secondo punto della nostra trattazione, è possibile affermare che la forza del simbolico o seduzione rimane la costante al cuore del pensiero baudrillardiano; semplicemente in seguito meglio specificandosi e radicalizzandosi ‒ insieme con la simulazione ‒ come potenza di implosione interna, sprofondamento dell’illusione di realtà, del significante sul suo vuoto su cui si costituisce, che crea e che ammanta.

[…] il simbolico è un modo, ovvero un trattamento del reale che lo trasfigura, l’esercizio di una attività […] che mantiene una distanza, una sporgenza e un’opacità (indecifrabilità, rebus) […] è la necessaria sporgenza dell’immaginario rispetto al reale, che conserva il potenziale di un altro mondo possibile, anche attraverso la merce.30

 

4. Pensare radicalmente il reale: strategia della scrittura

Individuato nel soggetto il bisogno costitutivo di creare una “fantasmagoria” che vada a sostanziare la perdita di referenza di un reale schiacciato sul suo simulacro operazionale,31 la peculiarità dell’intuizione baudrillardiana, sta però dunque nell’aver colto e analizzato come, tuttavia, sia sempre e anche a questo stesso livello, ‒ a partire da questo stesso processo di de-realizzazione automatica delle apparenze-simulazioni ‒ che ci è concesso dichiarare che “i giochi non sono fatti”.32 Infatti, sostiene Baudrillard, quando una situazione, una cosa o un evento appare “troppo vero per essere vero” ‒ o meglio, quando il pensiero cerca di iper-produrre, realizzare un mondo, ossia di portare al limite estremo le ipotesi su di esso ‒ improvvisamente la differenza tra realtà e questa sua immagine eccessiva emerge prepotentemente e sarebbe data la possibilità di “sostare” in questa stessa differenza-scarto.33 Ossia, si dischiuderebbe la possibilità di sostanziare da e in quest’ultima una strategia fatale di pensiero e delle immagini seducenti.

Ora, tutte le apparenze sono reversibili … solo al livello delle apparenze i sistemi sono fragili e vulnerabili […]. La seduzione sfrutta, accelera i processi di simulazione, e poiché anche la simulazione è insolubile, essa mina le pretese della mascolinità (il simbolo del potere imperante e delle autorità estendendo questa metafora) di avere un qualsiasi controllo effettivo sul suo campo semantico.34

In altri termini, proprio in quanto: «gli eventi eccessivi sono l’equivalente dell’eccesso di significante per il linguaggio secondo Lévi-Strauss, cosa che lo fonda come funzione simbolica»,35 la forza simbolica di illusione sarebbe in grado di intervenire inaspettatamente in e come questa sovrabbondanza di significante insensato. E, grazie ad essa, appare e viene rifocillata una distanza o surplus tra immagine e realtà che rimette in discussione, in circolo la presunta equivalenza di queste ultime. Il simbolico si produce anzi come questo stesso scarto-spazio tra loro e quindi eccedente all’ordine simulacro costituitoe il pensiero dunque, più precisamente, si fa atto simbolico nel momento in cui interviene a sdoppiare il simulacro che ha creato per il mondo.36

L’atto è il condensato di una sfida simbolica che interrompe la continuità del fake, tra immaginario e reale. È una sfida che viola l’ordine dei simulacri e proprio per questo produce un evento assoluto. Assoluto vuol dire esorbitante, incomprensibile nell’ordine dei significati, non assoggettato alla nostra “dia-logica”. Sciolto.[…] l’idea del simbolo come significante straniante, estremizzato. […] il simbolo è un voler dire che non significa nulla perché si rifiuta di parlare (ordine del significato) ma mostra […]. E può essere tale proprio perché ha la capacità di interrompere il senso comune usando le stesse immagini di una cultura che vuole cancellare, prendendo in parola la stessa coappartenenza di reale e immaginario: se il reale e le immagini sono la stessa cosa, proviamo a realizzarlo alll’estremo. L’acting out è allora insieme la prova di un’immensa follia […] e di una terribile verità.37

Perciò, possiamo coerentemente concludere, la sfida e la posta in gioco della strategia come scrittura di Baudrillard risiede, per prima cosa, nell’intuire tale fatalità di reversione simbolica che riguarda costitutivamente ogni effetto-realtà e nell’assumerla allo scopo di (ri-) produrla e accentuarla.38 E, secondariamente, nell’evitare di voler istituire le intuizioni e ipotesi estreme, in cui tale narrazione si costituisce, a orizzonte senso “forte” ‒ ove l’ideologia ha solitamente modo di crescere in maniera subdola, rinforzandosi proprio come collusione estrema di Reale e Immaginario.39

 

5. Eredità e contributo filosofico di Jean Baudrillard

Più semplicemente, vorremmo dunque valorizzare l’opera baudrillardiana evidenziando come l’intellettuale francese sia stato in grado di mettere a tema e sviluppare una riflessione estremamente attuale, che parla e riproduce quella stessa “dissoluzione della presenza” che mette alle strette il pensiero critico:

Un tempo le cose erano più semplici: si potevano criticare le forme ideologiche come “feticismo”, “illusioni”, “mistificazioni” proprio facendo appello al senso di realtà. Oggi, invece, occorre procedere al contrario: da quando la “realtà” che ci circonda ha assunto le fattezze postmoderne dell’informatizzazione digitale, e si è “virtualizzata”, occorre ritornare a criticarla partendo dal suo supplemento illusorio: dal lato dell’Immaginario. Uno dei compiti della filosofia oggi sarebbe dunque quello di criticare lo statuto dell’immaginario e del suo rapporto con la realtà. Ma Baudrillard, […] indica che la distinzione stessa tra realtà e fantasia, tra reale e immaginario, è una falsa distinzione ed è irreale e immaginaria essa stessa.

Tuttavia, abbiamo visto, è proprio quando il pensiero si distacca dalle pretese del pensiero critico e viene a configurarsi come strategia astratta, soluzione immaginaria, che essa ritrova la sua relazione e il suo ruolo nei confronti della realtà.40 Solo così e solo in questa peculiare intuizione e insieme operazione di teoria-scrittura risiede la singolare portata del pensiero radicale di Baudrillard: proprio e solo spingendo all’assurdo, proprio giocando dei “feticci” ancor più radicali, sarà ancora dato al soggetto la possibilità di porre la domanda sull’essere.41

In altri termini, il valore del lavoro intellettuale di Baudrillard risiede nell’elaborazione di un tipo di pensiero che prova a darsi, sempre e continuamente, contemporaneo alla realtà che crea con una scrittura ‒ un uso formale e stilistico, un tipo di rappresentazione paradossale ‒42 che accelera e fomenta la continua decostruzione che, una realtà simulata, di irradiazione virale e in continuo divenire, richiede. Si tratta della costruzione da parte dell’autore di una “narrativa teorica” e di una “scrittura” che pone il problema del Reale,43 che cioè cerca di rendere e configurarsi come l’atto e l’esperienza con cui il nostro senso del mondo, in quanto illusione e artificio, prende forma.

[…] la lingua e la scrittura […] illudono sempre ‒ esse sono l’illusione vivente del senso, la risoluzione dell’infelicità del senso mediante la felicità della lingua. Questo è davvero l’atto politico, o transpolitico, che possa fare colui che scrive.44

Il compito e i meriti ‒ nella nostra prospettiva, troppo spesso declassati ‒ della scrittura radicale di Baudrillard consistono perciò nel pensare una realtà che acceleraraddoppiandola nella narrazione la quale, in tal modo, ottiene di portare la realtà retroattivamente a piena coscienza. E ciò alla luce della speranza di mostrare, in maniera trasfigurante, il divenire di una realtà andata in crisi: come non mai oggi la realtà è da ripensare.45

Se quindi, in sostanza, gli spunti che abbiamo tracciato vanno a sostanziare un’analisi teoretica giocata principalmente sulle opere stesse di Baudrillard, essa è bensì consapevole di non poter darsi come esaustiva e definitiva. L’auspicio è quello, piuttosto, che il nostro breve contributo sappia suggerire anche del materiale su cui sostanziare un’interrogazione ulteriore: al rialzo, direbbe Baudrillard ‒ degna di una realtà messa in crisi dalle immagini che non deve cessare di essere, proprio tramite la sua elaborazione teorica, pensata e sperimentata.

[…] A questo livello, il confronto con le apparenze, con la fenomenologia della “società delle immagini” contemporanea, non è nemmeno più riconducibile entro le coordinate del tipico lavoro filosofico (testi, saggi libri), ma deve fare un passo “fuori”, nel mondo “out there”, deve scendere sul terreno stesso di quelle immagini, di quelle apparenze, riflettere su esse dal loro “dentro”.46

  

 

BIBLIOGRAFIA citata e di riferimento

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Note con rimando automatico al testo 

1 J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, trad. it di M. Spinella, Mazzotta, Milano, 1974, p. 156.

2 Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, trad. it. di G. Mancuso, Feltrinelli, Milano, 1979,pp. 17- 18: «Simulazione, nel senso che tutti i segni si scambiano ormai tra di loro senza scambiarsi più con qualcosa di reale.» Essa sarebbe l’approdo, come l’autore ha precisato poche righe prima, a una “rivoluzione strutturale del valore”: «[...] del valore stesso che, al di là della sua forma mercantile, lo porta alla sua forma radicale. Queste rivoluzione consiste nel fatto che i due aspetti del valore […] sono disarticolati, il valore referenziale è annullato a vantaggio del solo gioco strutturale del valore. La dimensione strutturale si autonomizza a esclusione della dimensione referenziale, si istituisce sulla morte di quest’ultima. […] Il reale è morto sotto il colpo di questa autonomizzazione fantastica del valore».

3 Cfr. G. Piana, Baudrillard e il partito preso dell’illusione, postfazione a J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, a cura di G. Piana, Raffaello Cortina, Milano, 1996, p. 159.

4 Cfr. R. Butler, Jean Baudrillard. The Defence of the Real, SAGE Publications, London, 1999, pp. 7-9.

5 P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, in J. Baudrillard, Dimenticare Foucault, a cura di P. Bellasi, Cappelli, Bologna, 1977, pp. 47-48.

6 Cfr. J. Baudrillard, Parole chiave, trad. it. di G. Biolghini, Armando, Roma, 2002, pp. 58-59: «[…] la parola sterminare significa letteralmente privare qualche cosa della sua fine, privarla del suo termine. […] Lo sterminio sarà d’ora in poi il nostro nuovo modo di sparire, quello che si sostituirà alla morte. Questa è la storia del delitto perfetto […]. Il mondo coincide con se stesso, conforme a se stesso, grazie all’esclusione di ogni principio di alterità».

7G. Piana, Baudrillard e il partito preso dell’illusione, cit., pp. 160-161.

8 In opere quali L’illusione della fine o lo sciopero degli eventi, Al di là della fine, Le strategie fatali o, ancora, La trasparenza del Male e Lo scambio impossibile vediamo all’opera le modalità con cui Baudrillard intrattiene un confronto decisivo con la scomparsa di qualsiasi tipo di “istanza trascendente” ‒ ovvero lo svanire della possibilità stessa di produzione e attribuzione di senso al reale ‒ a causa del mutamento dell’esperienza del tempo propria del cosiddetto “stadio frattale” del valore. Di estremo interesse in merito segnaliamo la raccolta di interviste di Mike Gane (J. Baudrillard, Baudrillard live: selected interviews, a cura di M. Gane, Routledge, London, 1993) o quelle pubblicate come Paroxism (J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm: Interviews with Phillipe Petit, a cura di C. Turner, Verso, London, 1998).

9 Cfr. P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, cit., pp. 34-35: «È lo 0/1, la scansione binaria che si afferma come la forma metastabile, od omeostatica, dei sistemi attuali. È il nocciolo dei processi di simulazione che ci dominano. Essa può organizzarsi in un giuoco di variazioni instabili, dalla polivalenza alla tautologia, senza che venga messa in causa la forma strategica del dipolo: è la forma divina della simulazione. […] Tutto si miniaturizza, si diffonde come un’ameba per strobilazione; in un processo di diluizione all’infinito [...]».

10 Cfr. ivi, pp. 38-41: «L’implosione quindi […] non è “reazione contro” l’iperrealtà della simulazione e tanto meno “irruzione” dell’ambivalenza simbolica (in qualche modo “dall’esterno”) nell’atmosfera rarefatta dei modelli (il disordine simbolico che irrompe negli spazi modulari); la simulazione ha già fatto fuori ogni residuo di realtà (ovvero la realtà ha disvelato la sua essenza di simulazione), cammina sul manque [...]».

11 F. Carmagnola, Baudrillard e il simbolico,E. de Conciliis, (a cura di), Jean Baudrillard, o la dissimulazione del reale, Mimesis, Milano, 2009, pp. 100-101.

12 J. Baudrillard, Parole Chiave, cit., p. 66.

13 Posto appunto il fatto che: «Non esiste una trascendenza con la quale misurarsi. Non esiste una finalità ultima. […] Il mondo non è scambiabile, giacché non c’è nulla di esterno con cui possa misurarsi, paragonarsi; nulla attraverso il quale attribuirsi valore» J. Baudrillard, Parole chiave, cit., p. 66.

14 R. Butler, Jean Baudrillard. The Defence of the Real, cit., p. 9.

15J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, , trad. it. L. Saraval, a cura di E. Baj, Asterios, Trieste, 2000,p. 124.

16 Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., pp. 86-87: «[…] non più in uno spazio critico, quello di una presenza rispettiva del soggetto e dell’oggetto […] in uno spazio paradossale, quello di una scomparsa rispettiva del soggetto e dell’oggetto. Un po’ come nelle scienze attuali, in cui la posizione del soggetto e quella dell’oggetto scompaiono simultaneamente, poiché l’unica realtà dell’oggetto è quella delle sue tracce su uno schermo di calcolo. Tale nuovo spazio scientifico è esso stesso uno spazio paradossale. Non c’è un universo reale dietro gli schermi che descrivono la traiettoria delle particelle […] ‒ che cos’è una scienza paradossale? Ma questo stadio paradossale è il nostro, ed è irreversibile».

17 J. Baudrillard, Lo scambio impossibile, cit., pp. 19-20, corsivi nostri.

18 J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm, cit., pp. 34-35: «Ciò che faccio […] non significa che è ‘nichilistico’ nel senso che implica che non ci sia più alcun valore, alcuna realtà, ma solo segni: le accuse di nichilismo e inganno ricadono sempre su questo punto. Ma se invece si assume il nichilismo nel senso forte, nel senso di un pensiero basato sul nulla, un pensiero che potrebbe avviarsi dall’assioma ‘perché c’è il nulla piuttosto che l’essere?’ ‒ capovolgendo la questione filosofica fondamentale ‒ allora non mi spiace esser chiamato nichilista.”».

19 Circa la scomparsa del reale ad opera e a vantaggio del mero “gioco strutturale del valore” e la sua conseguente sopravvivenza nelle vesti di insieme di tracce, meri segni, simulacri e feticci, le osservazioni di G. Franck ci sembrano altamente significative (cfr. G. Franck, Il feticcio e la rovina. Società dello spettacolo e destino dell’arte, Mimesis, Milano, 2010, pp. 114-118). Cfr. anche P. Bellasi, Dimenticare il 1968 ovvero giocare Baudrillard contro Baudrillard, cit., pp. 26-38.

20 G. Franck, Il feticcio e la rovina, cit., p. 116.

21 Cfr. ivi, pp. 115-116: «Ciò che si impone sul reale sino ad eclissarlo ‒ sino a decretarne la fine‒ è insomma un gioco combinatorio senza finalità, totalmente indeterminato ed arbitrario, che rende strutturalmente commutabili i termini con cui opera. Sparizione della realtà. […] Sostituzione e circolazione di meri segni (ossia di segni senza “contenuto”). […] Segni commutabili gli uni negli altri. E proprio perché commutabili ‒ e privi di ancoraggio nel reale ‒ segni che istituiscono opposizioni illusorie introducendo alternative che si neutralizzano in un perpetuo gioco di rovesciamenti».

22 «È la dimensione virtuale che monopolizza tutti gli altri mondi oggi, che totalizza il reale evacuando ogni alternativa immaginaria. È da quando non ha più un immaginario che continui a produrlo, e da quando è collassato nel virtuale, che il reale è morto veramente» (J. Baudrillard, P. Petit, Paroxysm, cit., p. 50).

23 F. Carmagnola, La triste scienza, Il simbolico, l’immaginario e la crisi del reale, Meltemi, Roma, 2002, p. 64.

24 Cfr. G. Franck, Il feticcio e la rovina, cit., p. 116: «Tuttavia il reale, dissolto all’orizzonte, è destinato a comparire di nuovo nello spazio definito dal simulacro. Benché sia copia senza originale ‒ infatti ‒ esso è anche quel segno che ingloba al suo interno quel referente che è stato annullato e che però viene riconosciuto mediante i processi di simulazione. Grazie ad essi il referente continua ad esistere, ma unicamente come mero segno: negazione di sé direttamente inscritta all’interno della propria affermazione».

25 Cfr. A. Bertoli, Introduzione a J. Baudrillard, Patafisica e arte del vedere, a cura di A. Bertoli, Giunti, Milano, 2006, p. 7: «[…] un’altra simbolizzazione che tocchi le forme, che giochi con esse all’interno di un gioco relativamente arbitrario che risponda solo a se stesso e non allo statuto segnico della realtà. Questa “nuova rappresentazione” è estremamente difficile da praticare ma è l’unica strada possibile […]».

26S. Sim, “The Text Must Scoff at Meaning”: Baudrillard and the Politics of Simulation and Hyperreality, in M. Gane (a cura di), Jean Baudrillard, 4 voll., SAGE Publications, London, 2000, vol. I, cit., p. 87.

27 F. Carmagnola, La triste scienza, cit., pp. 62-63.

28 Tale sovrapposizione sarebbe ciò che dissolverebbe l’arbitrarietà del segno, che è invece necessaria per la violenza simbolica di rovesciamento della simulazione. Cfr. J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, trad. it. di A. Serra, Cortina, Milano, 2006, p. 58: «[…] cosa diventa l’arbitrarietà del segno, quando il referente cessa di essere referente? Ora, senza l’arbitrarietà del segno niente funzione differenziale, né linguaggio, né dimensione simbolica. Il segno, cessando di essere segno, diventa cosa tra le cose. Cioè di una necessità totale e di una contingenza assoluta. Senza intestazione del senso da parte del segno, non resta che il fanatismo della lingua ‒ “un’infiammazione assolutista del significante”».

29 Cfr. J. Baudrillard, The revenge of the crystal,Intervista con G. Bellavance in «Parachute»,in Baudrillard live: selected interviews,cit., p. 60: «La radicalità non è necessariamente la sovversione di un sistema tramite la negazione; essa risiede, precisamente, nell’illusione. La radicalità deve essere trovata nella sovranità dell’illusione, della distanza».

30 F. Carmagnola, La triste scienza, cit., p. 126.

31 Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., p. 106: «Oggi è il simulacro a garantire la continuità del reale, è esso che nasconde ormai non la verità, ma il fatto che non ce ne sia, ossia la continuità del niente».

32 Cfr. F. Carmagnola, La triste scienza, cit., p. 145: «[…] la cultura mediale come terreno di scontro e possibilità di emancipazione. […] Uno spazio di gioco non interamente deciso che permette varie forme di strategia tricky».

33 Più precisamente, dunque, potremmo affermare con Žižek che il pensiero stesso è questa sfasatura, scarto, punto vuoto tra “realtà e immagine” cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., p. 102: «[…] il pensiero radicale è all’intersezione violenta del senso col non senso, della verità con la non verità, della continuità del mondo con la continuità del niente».

34S. Sim, “The Text Must Scoff at Meaning”: Baudrillard and the Politics of Simulation and Hyperreality, cit., p. 90, corsivi nostri.

35 J. Baudrillard, Il Patto di lucidità o l’intelligenza del Male, cit., p. 114.

36 Cfr. F. Carmagnola, La triste scienza, cit., pp. 130-132: «[…] il modo simbolico di Baudrillard: spingere le cose al loro eccesso, fino al rovesciamento. […] Una modalità residua di pratica simbolica all’interno dell’economia politica del consumo e dei segni. […] L’atto di consumo porta in sé un residuo potenziale simbolico che non può essere interamente assorbito […] l’intuizione di una sporgenza del simbolico rispetto all’economico, nel cuore stesso dell’economia generale».

37Ivi, pp. 67-68.

38 Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., p. 103: «La predizione radicale è sempre quella della non realtà dei fatti, dell’illusione dello stato di fatto. Essa comincia con il presentimento di tale illusione, e non si confonde mai con lo stato oggettivo delle cose».

39 «Il processo ideologico stesso è la riduzione dell’ordine simbolico (tramite una positivizzazione totale ed eliminazione delle ambivalenze) a un sistema semiologico (e non come in Marx il processo di una mistificazione dell’espropriazione). […] Così per Baudrillard un ordine feticistico implica una “totalizzazione astratta” che permette al segno di funzionare ideologicamente, e cioè, di stabilire e perpetuare discriminazioni reali e l’ordine stabilito dal potere» (M. Gane, Baudrillard’s radicalizaton of fetishism, in «Deleuze Studies», vol. VII, 3, 2011, p. 374).

40 Cfr. P. Sutton, Jean Baudrillard: Transintellectual?, cit., p. 126: «Per questo, Baudrillard afferma: “Non sono più nella condizione di “riflettere” qualcosa. Posso solo spingere le ipotesi ai loro limiti, strapparle dalla loro zona di referenza critica, portare oltre un punto di non ritorno. Assumo anche la teoria nello spazio di iper-simulazione ‒ in cui essa perde tutta la sua validità oggettiva, ma forse ottiene coerenza, ovvero, in un’affinità reale con il sistema che ci circonda”».

41 Cfr. J. Baudrillard, Telemorfosi, in J. Baudrillard, Patafisica e arte del vedere, cit., p. 50: come del resto ci ricorda lo stesso autore prendendo ad esempio una delle sfere di senso, quella sessuale, che si sarebbe trasmutata in un “sesso iperrealizzato e iperealizzzante”: «L’interessante è che, spingendo il sesso fino all’assurdo, fino alla serialità in cui si definisce solo tramite il proprio automatismo (come i cadaveri “velocipedi” di Jarry che pedalano ancora meglio quando sono morti), sottraendo il sesso al principio stesso del piacere, essa lo sottrae anche al suo principio di realtà e costringe a porre la domanda: che ne è dell’essere sessuale? La sessualità è forse, contrariamente all’evidenza naturale, una mera ipotesi? Verificata fino allo sfinimento, com’è in questo caso, essa lascia oggettivamente da pensare. Verificata al di là della sua fine, essa semplicemente non sa più quello che è … È tutto da rivedere».

42 Cfr. R. Butler, Jean Baudrillard. The defence of the real, cit., p. 10 e 19: «Baudrillard negli ultimi suoi scritti ottiene una scrittura che “provenendo dal nulla”, produce la sua stessa realtà. […] Il miracolo dello scrivere è che se è anche completamente di questo mondo, un riflesso di esso, finisce per determinarlo-destinarlo, fa del mondo un riflesso della sua scrittura. […] I concetti, così come i sistemi che Baudrillard analizza, non sono descrizioni empiriche del mondo che possono essere valutate oggettivamente, ma una specie di duplicazione, raddoppiamento indimostrabile ma necessario di come le cose stanno. Ovvero, il reale di cui parlano e che vogliono rivelare non può essere direttamente indicato, ma solamente alluso metaforicamente tramite il suo proprio fallimento di realizzazione».

43 Cfr. J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., p. 70: «Non serva a nulla rifugiarsi nella difesa dei valori, anche critici: ciò è politicamente corretto, ma intellettualmente anacronistico. Occorre invece pensare questa realizzazione incondizionata del mondo, la quale ne è al tempo stesso il simulacro incondizionato. Ciò di cui manchiamo maggiormente è un pensiero della compiutezza della realtà».

44 J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit., p. 108.

45 «La contesa verte sul senso di ciò che viviamo, perché un reale ambiguo sollecita continuamente la domanda circa il significato da associare al visibile […] Che senso ha ciò che vedo, lo spettacolo al quale partecipo? […] qual è il suo statuto ontologico? Il dubbio infatti si spinge fino a pensare che forse è lo schermo che ha creato l’evento, e che la narrazione (mediale) è il paradigma al quale l’evento stesso si ispira. In questo caso l’evento sarebbe appunto la riproduzione di una rappresentazione» (F. Carmagnola, La triste scienza, cit., pp. 80-81).

46M. Senaldi, Slavoj Žižek e l’immaginario, in «International Journal of Žižek Studies», I, 4, 2007, p. 4.