Donne e gabbie sociali nel cinema di Marco Bellocchio e di Carl Theodor Dreyer

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DreyerBellocchio

 

Piccola introduzione

Analizzare e mettere a confronto le opere di due cineasti così apparentemente diversi fra loro è impresa tanto ardua quanto affascinante.

Quando ho iniziato ad approfondire la presenza della figura femminile nel cinema di Marco Bellocchio1, ho fin da subito manifestato il desiderio e l’intenzione di sviluppare il tema integrando un discorso che riguardasse un parallelismo con l’opera cinematografica del compianto regista danese Carl Theodor Dreyer2.

La domanda, più che legittima, che mi viene da farsi è «Perché proprio Dreyer?».

Premettendo che i film sono opere d’arte costruite con l’uso di immagini in movimento (se si eccettuano alcuni sperimentalismi, come per esempio nel caso di Blue3 di Derek Jarman4), è altresì vero che di questa arte spesso non ci rimangono che sensazioni ben sedimentate nell’animo, capaci poi di (ri)chiamarsi tra loro e “svegliare” collegamenti altrimenti impossibili.

Un primo dato che accomuna i due registi è puramente cronologico e, invero, investe un ruolo del tutto romantico nella vicenda. Correva l’anno 1965: Marco Bellocchio esordiva con I pugni in tasca5 e Carl Th. Dreyer compiva la sua opera con il discusso capolavoro Gertrud6. I due film sono agli antipodi per tematiche, stile, intenti, sviluppo, forma e contenuto. Ma segnano un ideale passaggio di testimone tra due registi che, come si vedrà, si somigliano molto più di quanto possa apparire a un primo sguardo. Scandagliando meglio e andando oltre al fattore cronologico, mi sono reso conto che già da una prima analisi emergono numerosi altri punti di contatto.

Se si va a ritroso nel tempo, scavando nel lavoro di Dreyer e andando a indagare anche la filmografia meno nota e precedente La Passione di Giovanna d’Arco7, troviamo fin dagli esordi un chiaro intento artistico e politico, volto allo sviluppo di alcune tematiche che si ripeteranno nel cinema di entrambi i registi.

L’attacco alle istituzioni che emerge fin da Præsidenten8, film d’esordio del 1919, si accompagnerà ad altri temi cari a Dreyer: la visione critica della famiglia si inserisce accanto a una forte condanna di tutte le limitazioni sociali e morali che il potere costituito (quasi sempre religioso) ha imposto alla libertà personale degli individui.

Queste imposizioni si perpetuano fino a condizionare i protagonisti dei film di Dreyer, tanto da estraniarli dalla realtà in cui vivono, scindendoli da essa e ponendoli in posizione solitaria negli schemi sociali guidati dai dettami etico-sociali che guidano il presente e il passato del regista.

Queste sono tematiche che ritroviamo quasi sempre anche nell’opera di Bellocchio, oltre a ciò che ha provocato la scintilla iniziale: l’ampio uso della figura femminile, spesso protagonista, nel lavoro di entrambi i registi.

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Note 

1 Marco Bellocchio (Bobbio, 9/XI/1939).

2 Carl Theodor Dreyer (Copenhagen, Danimarca, 3/II/1889 - Copenhagen, 20/III/1968).

3 Gran Bretagna, 1993. Regia: Derek Jarman.

4 Michael Derek Elworthy Jarman (Northwood, Gran Bretagna, 31/I/1942 - Dungeness, 19/II/1994).

5 Italia, 1965. Regia: Marco Bellocchio. Con: Lou Castel, Paola Pitagora, Marino Masè, Liliana Gerace, Pier Luigi Troglio, Jeannie McNeil, Gianni Schicchi. Montaggio: Silvano Agosti. Fotografia: Alberto Marrama, Giuseppe Lanci. Musiche: Ennio Morricone.

6 Danimarca, 1964. Regia: Carl Theodor Dreyer. Con: Nina Pens Rode, Bendt Rhote, Ebbe Rode, Baard Owe, Axel Ströbe, Anna Malberg.

7 Francia, 1928. Titolo originale: La Passion de Jeanne d’Arc. Regia: Carl Theodor Dreyer. Con: Renée Falconetti, Eugène Silvain, André Berley, Maurice Schutz, Antonin Artaud, Michel Simon.

8 Danimarca, 1919. Regia: Carl Theodor Dreyer. Con: Halvard Hoff, Elith Pio, Carl Meyer, Olga Raphael-Linden, Betty Kirkeby, Richard Christensen, Peter Nielsen.