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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Salvatore Natoli, Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio

 

 

 

 Salvatore Natoli

 

 Il buon uso del mondo.
Agire nell’età del rischio

 

Milano, Mondadori, 2010, pp. 288,
ISBN 9788804596967, € 18,50

 

 

 

 

La cura del senso di sé e del mondo.
Riflessioni su Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio, di Salvatore Natoli.

C’è già il gusto di un velato ottimismo, nel titolo del libro di Natoli ‘Il buon uso del mondo’. Del mondo si può fare cattivo e buon uso, e Natoli ci offre un elegante e filosofico vademecum per propendere dalla parte di un “utilizzo” positivo.

Ma il mondo si può “usare”? È fatto per essere utilizzato? È un utensile come tanti altri, come una posata o un qualsiasi oggetto domestico destinato ad uno scopo pratico? Qui Natoli attribuisce alla parola “uso” una accezione ampia, che sconfina con un concetto ben più preciso e profondo: quello di cura, cura del mondo,

Avere cura del mondo non vuol dire avere cura di qualcosa che è lì davanti a noi come un oggetto, ma che è attorno a noi, è in noi e in sostanza ci permea. Il mondo è ciò di cui noi stessi siamo fatti: avere cura di lui vuol dire non solo avere cura di qualcosa come la nostra “casa”, ma avere cura di noi che ne siamo gli abitanti e anche dell’aria che vi respiriamo.

È implicito che la “cura” di sé è altrettanto importante quanto la cura del mondo, del cosmo come ordine di cui siamo circondati e intrisi, della natura stessa come delle cose attorno a noi. Fra cura del mondo e del sé c’è poi un passaggio fondamentale, un ponte ineludibile: la cura dell’altro. Il venire al mondo è già un farvi parte, un far parte di un contesto relazionale, che concerne la natura, la storia, e gli altri. Non è naturale trovarsi senza mondo, come senza relazione: viviamo e cresciamo inevitabilmente in un contesto relazionale, dove ne va di noi come del nostro mondo e degli altri con noi.

Il buon uso del mondo – che non è mai un abuso – e degli altri, ci chiama così a un impegno, a una pratica di comportamenti, a un agire. Qui Natoli, sulle tracce di Aristotele, distingue brillantemente tra il semplice fare/techne (compiere, fabbricare, portare a compimento) e agire/praxis, che è un fare dotato di senso, a prescindere dal produrre, dal compiere: è il fare morale e cosciente della direzione, del valore dove è orientato. Oggi spesso il fare viene concepito come pura motilità, il fare per il fare, il fare come perfezionamento di qualcosa o peggio come fare per il fare, puro stordimento dell’agire privo di senso.

Già da queste prime note si può intuire la portata etica e morale, direi quasi pragmatica, del discorso di Natoli, che non è mai meramente speculativo, e va alla ricerca delle radici del fare e del nostro stare al mondo: una analisi del fare che guardi alla domanda “che fare?”, ‘dove il fare è un agire dotato di senso e non semplicemente un puro muoversi’.

Si ritiene spesso oggi che l’agire sia ad esempio un mero produrre: produrre per il consumo, la felicità, il denaro. La società sembra dividersi in chi produce e in chi consuma. Ora, anche se è vero che né il denaro, – neutro mezzo desostanzializzato di scambio, né la ricchezza vanno demonizzati (lo diceva anche Seneca), è vero anche che la felicità dell’uomo solo ingannevolmente può essere legata al desiderio smodato e al consumo senza limiti o fine a se stesso. La felicità ha invece più a che fare con il limite del desiderio e del consumo, come voleva un sano epicureismo. Il contenimento del desiderio, come le regole dell’appetitio, sono la premessa di una vita felice. La pena, il prezzo dell’incontinenza del desiderio e del consumo, è non solo l’insoddisfazione, ma soprattutto la fine dell’autonomia del volere, l’asservimento. E uno dei tanti rischi del soggetto moderno è il cedimento della sua indipendenza e autarchia – come governo del sé – a favore del ciclo produzione-consumo. Nel buon uso del mondo, ci insegna Natoli, una delle prime cose da salvaguardare è l’autonomia del desiderio e della volontà, ma non dal mondo, bensì dal suo asservimento che poi diviene asservimento di se stesso. Solo in una libera relazione col mondo e con gli altri, possiamo vivere infatti una libera relazione con noi stessi, dove noi rimaniamo soggetti non eteronomi.

L’età del rischio, quella in cui ci troviamo, ci impone di non farci trascinare dalla logica del progresso indifferenziato – favorito dai miracoli della tecnologia – ritrovando l’antico valore greco della mesotes, della misura. Sapere dove si sta andando è lo stesso che conoscere il limite del nostro andare: limite e senso sono affratellati nella prassi del buon uso del mondo. Anche la spasmodica ricerca scientifica dell’elisir di lunga vita o della stessa immortalità ci rendono infelici cacciatori di una meta che non è alla portata di un uomo libero: ossia un uomo cosciente di quanto può e quanto non può. Anche per questo il futuro oggi ci spaventa: perché corre troppo veloce e ci trascende, verso traguardi che ci vedono rincorrere il nuovo in maniera affannosa, trafelata, senza farci intravvedere nessuna linea di orizzonte fermo.

Certo, il rischio è un valore, come la ricerca del nuovo e dell’inaudito, ma perdere il senso e il limite di ciò che si fa e si può è una via per l’infelicità, l’ansia, l’asservimento della libertà.

Oggi la virtù (questa sconosciuta) è punto di resistenza di un individuo che, malgrado le grandi libertà acquisite nella modernità, viene trattato serialmente, nella catena di montaggio degli ingranaggi economici e politici. E dietro il mito della flessibilità e della mobilità sociale si cela l’altro grande rischio della perdita dell’Identità, del valore stesso dell’io, insomma della libertà dell’io.

Libertà per l’uomo, infatti, per Natoli è soprattutto quella di scegliere cosa fare a partire da una situazione data, che egli stesso si impegna a conoscere. Altrimenti dell’uomo utilizzato come mezzo e non come fine non ne è più niente, soprattutto rispetto ai labirinti del potere mediatico politico economico: l’uno rischia di valere l’altro, e anche il nome serve solo ad essere posto come segno di riconoscimento su un cartellino, come nei supermercati.

È per salvare questa libertà autarchica del soggetto che Natoli propone una nuova etica del raccoglimento, della meditazione, per un governo di sé dove la virtù diventa possibilità e potenza. Ciascuno è portato dunque a ri-flettere su se stesso, a se respicere, a con-vertere su se stesso per amministrare meglio il proprio io: essere insomma governatore di se stesso in un contesto di mondo e di altri rispettato. Il buon uso del mondo passa attraverso questa educazione di un cittadino libero di scegliere, di discernere, di discriminare – nel nome nell’aristotelica ‘phronesis’ –, di non farsi dominare, spersonalizzare, alienare, dalla società dei consumi o dalla microfisica silenziosa del potere economico e politico, e soprattutto oggi culturale e massmediatico.

E anche una democrazia non è tale oggi se non può contare su un cittadino libero di scegliere, di operare, di agire secondo logica, conoscenza e senso; un cittadino tra l’altro che sia competente di ciò che democrazia significa, per non farne alla fine il complice di una finta democrazia, fondata sulla menzogna massmediatica e sugli inganni delle élite economiche e politiche di turno, che magari si fossilizzano come in Italia senza ricambio.

Il valore sommo per un buon uso del mondo si scinde in due grandi inossidabili valori: la conoscenza del mondo e la libertà di scegliere la propria strada, all’interno di una comunità di valori che investe la relazione con il mondo e con gli altri.

Purtroppo la democrazia, oggi, soprattutto in un paese come l’Italia, rimane una scommessa: alla formazione di un cittadino competente del bene pubblico e degli interessi reali di uno Stato, subentra la manipolazione di un individuo soggiogato da un’informazione massmediatica e oggi anche informatica tambureggiante, che lo stordisce come consumatore di beni e di informazione, gli rende ardua la stessa libertà di scegliere con ragione e senso il destino di sé, degli altri e del mondo comune.