Cacciari, Caracciolo, Galli della Loggia, Rasy, Senza la guerra
- Categoria principale: LA GUERRA AL TEMPO DELLA PACE
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- Pubblicato 17 Dicembre 2017
- di Georgia Schiavon
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Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo,
Ernesto Galli della Loggia, Elisabetta Rasy
Senza la guerra
Bologna, il Mulino, 2016
pp. 125, ISBN 978-88-15-26422-0, € 12.00
L’Occidente alla ricerca delle sue radici
Se la guerra è, come teorizzato da Eric Leed, un evento che rivela all’uomo la struttura della sua vita sociale, il mondo europeo contemporaneo sembra avere smarrito la propria identità. Esso ospita infatti una civiltà «Senza la guerra» – come titola il saggio recentemente edito da il Mulino, che, attraverso gli sguardi di Ernesto Galli della Loggia, Lucio Caracciolo, Elisabetta Rasy e Massimo Cacciari, affronta il tema da una prospettiva storica, geopolitica, letteraria e filosofica – non solo in quanto da oltre settant’anni non la sperimenta, ma anche in quanto vi è assente una riflessione sul suo concetto.
Secondo Galli della Loggia questa omissione può essere spiegata come l’effetto di una rimozione, avendo rappresentato le guerre del Novecento un’esperienza dolorosa, non tanto per le pur incommensurabili perdite di vite umane, dramma del resto comune ad ogni guerra, quanto per la sconfitta che ne è derivata per tutti, vincitori compresi. La democrazia europea, che ne è l’esito, abolisce la guerra sul piano morale, e di conseguenza teorico, proprio perché nel suo inconscio la associa all’impotenza che sta al suo fondamento. Ma l’oblio del passato, che tale rifiuto comporta, inficia la possibilità di comprensione del presente, considerando che gli attuali scenari di guerra, lo illustra in dettaglio Caracciolo, sono dei residui del crollo degli imperi austro-ungarico, tedesco, ottomano e russo a seguito del primo conflitto mondiale.
Questa assenza non ha tuttavia solo una valenza storica, contingente, ma soprattutto originaria, essenziale. Secondo una delle prime voci della filosofia occidentale, Eraclito di Efeso, infatti, la guerra è il principio di tutte le cose: è, cioè, da ultimo, la struttura dell’essere. E il suo pensiero è appunto rievocato da Cacciari, il cui intervento ne enuclea le aporie, approdando infine allo scacco di ogni teoria della guerra giusta, ovvero all’implosione di ogni tentativo di giustificazione della guerra, che si traduce in una risposta negativa alla questione, strettamente attuale, della plausibilità di un organismo internazionale detentore di un presunto ius belli.
All’istituzione della forma di governo democratica corrisponde in Occidente il consolidamento del nichilismo, che vanifica ogni ideale per cui combattere; paradossalmente, peraltro, proprio nell’epoca in cui l’esistenza ha perso ogni fondamento, il sacrificio della vita umana è percepito come intollerabile. Una posizione riflessa dalla letteratura del Novecento, che sottrae l’evento bellico dall’orizzonte dell’epica, nel quale una tradizione secolare l’aveva collocato, per enfatizzarne il volto annientante, con una parabola, descritta da Rasy, che sancisce l’uscita dalla scena degli eroi, elevando a protagoniste le vittime.
Il rischio, concludono gli autori, non è costituito tanto dal pacifismo in sé, quanto dalla mancanza di realismo, uno strumento che la sfera politica dovrebbe per contro trarre proprio dalla conoscenza della storia, che dimostra come l’ignoranza della dimensione della guerra sia appunto una distorsione di prospettiva. All’uomo, alla ricerca di un orientamento nel pur radicalmente mutato contesto internazionale, si ripropongono allora, nella loro universalità, le antiche domande della filosofia: chi è l’altro, il nemico; entro quali limiti la contesa è giusta; e quale armonia è possibile nella differenza?