Gemme di primavera, foglie d’autunno.

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 Alexandru Dragomir

Introduzione ad:
Alexandru Dragomir, Sull’oceano dell’oblio


 (vedi il testo tradotto in italiano)

 

Non si può certo sostenere che Alexandru Dragomir sia un filosofo dimenticato, giacché questo presupporrebbe che egli sia stato precedentemente riconosciuto o che si sia affermato in qualche modo. Invece la sua vicenda è quella di chi è stato sommerso dai tempi bui nei quali è vissuto e ai quali si è voluto opporre nell’unica postura onesta della sottrazione assumibile dall’intellettuale che non voglia essere un ciarlatano; ma la sua storia è stata anche quella di chi poi però è stato salvato dal naufragio definitivo nell’oblio grazie alla generazione successiva dei più giovani filosofi romeni, che nel suo destino hanno voluto riconoscere il compito del riscatto loro affidato.

Allievo di Heidegger e da lui altamente apprezzato per la lucida intelligenza nel partecipare alle discussioni del celebre Oberseminar, come testimonia Walter Biemel, suo compagno di studi a Freiburg, nell’ottobre del 1943 Dragomir è costretto a lasciare gli studi perché reclutato in guerra.1 Dopo il ’45, impossibilitato a proseguire le ricerche dottorali, che comunque risultavano ormai sospette per la nuova realtà politica romena, si guadagnerà la vita con disparati lavori subordinati e modesti, mai abbandonando peraltro gli interessi filosofici e le letture poliglotte, clandestinamente perseguite. Solo nell’ultimo scorcio degli anni Ottanta e negli anni Novanta del secolo scorso si presterà a tenere seminari privati che lo faranno presto diventare una specie di segreto e leggendario campione della filosofia romena, rimasta ardente anche sotto la cenere delle devastazioni novecentesche.

Più o meno della stessa generazione dei vari Eliade, Ionesco, Noica, Cioran o Celan, nasce a Zalău, in Transilvania, nel 1916 da una famiglia di intellettuali. Dopo studi di lettere e legge presso l’Università di Bucarest e dopo ripetute interruzioni per il servizio militare, dal settembre del ’41 è dottorando in filosofia a Friburgo grazie a una borsa di studio della Fondazione “Alexander von Humboldt”.2 Di Heidegger segue le celebri lezioni sugli Inni di Hölderlin, su Parmenide ed Eraclito, oltre che seminari sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel e sulla Metafisica di Aristotele.3 Spirito socratico, in vita non volle pubblicare nulla, ma alla sua morte, nel minuscolo appartamento in cui abitava sono stati ritrovati centinaia di quaderni con commenti, appunti, microanalisi fenomenologicamente condotte su temi spesso tratti dalla banalità della vita quotidiana (quali lo specchio – breve saggio che aveva preparato per la “scuola del sapere” di Constantin Noica –, l’errore, il risveglio, l’usura), ma anche analisi sulle grandi questioni filosofiche del Novecento (per esempio sul tempo, l’unicità, l’attenzione).4 In uno dei suoi frammenti, datato al 28 dicembre 1988, così scrive:

I pensieri sono come alberi che gemmano in primavera, promesse di frutti, carichi di futuro; gli scritti sono come foglie d’autunno, estremamente colorate, ma presto disseccate, piene di nostalgia. Come le foglie d’autunno, scrivere ha la morte nel cuore.5

 

Lasciamo al lettore la scelta di decidere se la breve riflessione sull’oblio che presentiamo rechi in sé piuttosto gemme foriere di maturazioni future o non sia invece un’altra fascinosa foglia d’autunno che aggiungiamo alla raccolta di analisi sul tempo che il Novecento filosofico, scientifico e artistico ha prodotto in grande quantità. Certamente vi si ritroverà l’eco delle celebri riflessioni fenomenologiche a proposito di ritenzioni e protensioni che Husserl aveva affidato alle sue analisi sulla coscienza interna del tempo, notoriamente edite da Heidegger negli anni Venti.6 Si potranno poi anche leggere le riflessioni di Dragomir nella sequela delle prospettive agostiniane e parallelamente alle coeve indagini ricœuriane su La memoria, la storia, l’oblio.7 Indubbiamente alcuni tratti dovranno essere considerati nella loro originalità, suggestione e profonda dirittura intellettuale: per esempio la stessa immagine dell’oceano dell’oblio – il cui solo orizzonte certo è nel soccombere – e del lago del ricordo che garantisce riparo e salvataggio, quasi a sottolineare la consustanzialità liquida di memoria e oblio, riformulando al tempo stesso la celebre metafora kantiana dell’oceano tempestoso della parvenza che circonderebbe l’isola dell’intelletto.8 Interessante risulta anche la messa in guardia contro gli errori e le distorsioni della memoria, così come lo scetticismo sull’onestà selettiva del “canone” culturale, spesso ispirato dalla moda del momento. Ma soprattutto colpisce il tratto socratico dell’accentuazione di un non sapere/dimenticare al quale siamo inevitabilmente consegnati e poi commuove, perché ha il tono amaro della testimonianza, la consapevolezza dolorosa del fatto che anche le civiltà muoiono, che la regola è il naufragio, rispetto al quale assai poco riesce a salvarsi e a sopravvivere. La riflessione di Alexandru Dragomir sull’oceano dell’oblio diventa allora un appello ad essere consapevoli dell’immane lavoro di cernita affidato ad ogni tradizione e insieme un invito a ricordare tutti quei cadaveri abbandonati sul fondo, nell’auspicio che, con Shakespeare/Benjamin/Arendt, i loro occhi possano diventare perle e coralli le loro ossa, invulnerabili alla decomposizione indotta dagli elementi e ormai solo in attesa di un palombaro.9

 

Note all'introduzione

1 W. Biemel, Erinnerungen an Dragomir, in «Studia Phænomenologica. Romanian Journal for Phenomenology», IV, 2004, n. 3-4: The Ocean of Forgetting. Alexandru Dragomir. A Romanian Phenomenologist 1916-2002, pp. 13-15. Le informazioni su Alexandru Dragomir sono in gran parte riprese dai saggi pubblicati nel numero a lui dedicato dalla citata rivista fenomenologica romena, cfr. in part. G. Liiceanu, The Notebooks from Underground, in ivi, pp. 17-64.

2 Il progetto di tesi sul concetto hegeliano di spirito, inizialmente concertata con Martin Heidegger, successivamente evolverà in un proposito di dissertazione, peraltro mai presentata, su intuizione e dialettica in Platone, come scriverà dalla Romania in una lettera a Heidegger del 1947, fino all’autoironica considerazione, riportata in una nota dell’8 gennaio del 1993, in cui Dragomir, ormai quasi ottantenne, riconosce di star preparando una tesi di dottorato sotto la supervisione del buon Dio.

3 Di Heidegger tradurrà in romeno con Walter Biemel, nella prima metà degli anni Quaranta, Was ist Metaphysik?, pubblicazione però rifiutata in Romania giacché l’autore era considerato persona non gradita agli occupanti tedeschi del tempo; la traduzione sarà successivamente pubblicata in Francia nel 1956 a cura di Virgil Ierunca in una rivista della diaspora intellettuale romena: «Caiete de Dor».

4 A partire dal 2004 la casa editrice Humanitas di Bucarest ha pubblicato diverse raccolte di suoi testi (Crase banalităţi metafizice, Cinci plecări din prezent. Exerciţii fenomenologice, Caietele timpului, Seminţe, Meditaţii despre epoca modernă) in parte accessibili anche in altre lingue, cfr. Banalités métaphysiques, éd. par G. Liiceanu et C. Partenie, Paris, Vrin, 2008; Id., Les Cahiers du temps, tr. par R. Otal, Paris, Vrin, 2010; Chronos. Notizbücher über Zeit, hrsg. von B. Mincă, C. Partenie, Würzburg, Königshausen & Neumann, in corso di stampa, annunciato in uscita per l’ottobre 2014. Su Dragomir si veda anche C. Ciocan, Philosophy without Freedom: Constantin Noica and Alexandru Dragomir, in I. Copoeru, H.R. Sepp (ed. by), Phenomenology 2005, vol. III: Selected Essay from Euro-Mediterranean Area, Bucharest, Zeta Books, 2007, pp. 63-79, in part. pp. 74-78 (accessibile anche in rete all’indirizzo: 
http://www.academia.edu/176069/Philosophy_without_Freedom_Constantin_Noica_and_Alexandru_Dragomir).
Si veda anche il sito dello “Alexandru Dragomir – Institute for Philosophy”, fondato nel 2009 sotto gli auspici della Società romena di Fenomenologia e diretto da Cristian Ciocan: http://institute.phenomenology.ro

5 Cit. in C. Partenie, Archive Relief. Dragomir’s Perspective, in «Studia Phænomenologica», IV, 2004, n. 3-4, cit. alla nota 1, p. 96.

6 E. Husserl, Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, hrsg. von M. Heidegger, Halle, Niemeyer, 1928 («Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», Bd. 3); cfr. anche Id., Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins (1893-1917), hrsg. von R. Boehm, Husserliana. Gesammelte Werke, Bd. 10, Den Haag, Nijhoff, 1966; tr. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Milano, Franco Angeli, 1981.

7 P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Paris, Seuil, 2000; tr. it. di D. Iannotta, La memoria, la storia, l’oblio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003.

8 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 235/B 294-295; tr. it. di P. Chiodi, Critica della ragion pura, Torino, UTET, 1967, p. 264. Per Paul Ricœur i ricordi si distribuiscono in arcipelaghi separati da abissi, cfr. P. Ricœur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, cit., p. 116; tr. it. cit., p. 137.

9 Cfr. H. Arendt, Walter Benjamin, in “Merkur”, XII, 1968, pp. 305-315; tr. it. a cura di L. Ritter Santini, Walter Benjamin: l’omino gobbo e il pescatore di perle, in Il futuro alle spalle, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 86-103 (il riferimento è a W. Shakespeare, The tempest, 1,2: “Full fathom five thy father lies; / Of his bones are coral made: / Those are pearls that were his eyes” – A cinque tese tuo padre è sepolto; / coralli gli si son fatte le ossa; / son perle gli occhi nel suo volto).