AZIONI PARALLELE 
non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile
la 
"libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".

Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
Sede della rivista Roma.

Nuova informativa sui cookie

AP on line e su carta

 

AP 6 - 2019
FALSIFICAZIONI
indice completo


 AP 5 - 2018
LA GUERRA AL TEMPO DELLA PACE
indice completo
(compra il libro
presso ARACNE) 


AP 4 - 2017
SCALE A SENSO UNICO
indice completo
(compra il libro
presso ARACNE
)


AP 3 - 2016
MEDITERRANEI
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]


AP 2 - 2015
LUOGHI non troppo COMUNI
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]


 AP 1 - 2014
DIMENTICARE
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]



 

 I NOSTRI 
AUTORI

Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
ed. Chirico

[compra presso l'editore Chirico]


Modern/Postmodern
ed. MANIFESTO LIBRI
 
[compra presso IBS]


Solitudine/Moltitudine
ed. MANIFESTO LIBRI

[compra presso IBS]


 Vie Traverse
di A. Meccariello e A. Infranca
ed. ASTERIOS

[compra presso IBS]


L'eone della violenza
di M. Piermarini
ed. ARACNE

[compra presso ARACNE]


La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS 

(compra presso ASTERIOS)

Predrag Matvejević. La Sicilia euro-mediterranea

 

Introduzione e intervista a cura di Rita Fulco

 

La Sicilia è l’emblema del Mediterraneo.
In essa si raccoglie tutto il bene,
ma anche tutto il male di questo mare.
P.Matvejević

 

Introduzione

 

Dalla Sicilia il Mediterraneo si coglie in tutta la sua complessità storica e teorica e lo si vive anche nella sua, altrettanto complessa, quotidianità; per questo essa costituisce un luogo geofilosofico privilegiato per chi abbia il desiderio di ripensare il Mare di mezzo1. Dalla Sicilia si scruta il mare e si scorgono le terre che lo con-tengono nei suoi confini, e dalle sue terre sembra di poter dire ancora qualcosa su di esso, nonostante si sappia che «tutto è stato detto su questo “mare primario” diventato uno stretto di mare, sulla sua unità e sulla sua divisione, la sua omogeneità e la sua disparità»2. In Sicilia si incrociano e, a volte, si incontrano gli uomini e le donne che attraversano il Mediterraneo per raggiungerla, restarci o solo attraversarla per dirigersi verso altre terre. Nessuno può restare per sempre in mare e se qualcuno vi resta per sempre, è solo perché esso diventa la sua tomba; il desiderio che sospinge ogni essere umano è quello di andare verso un luogo che sia casa, anche se non la casa d’origine, e questo i siciliani, abituati da secoli a migrare, lo sanno bene.

Dalla Sicilia si ripercorre anche il tempo, si seguono la trama e l’ordito di tutta la storia come inevitabile intreccio di mille storie di popoli, religioni e tradizioni, e ci si imbatte in questo presente in cui, invece, si cerca faticosamente di sciogliere quell’ovvio intreccio della storia, di separare le storie di ciascuno dei popoli, per definire le identità in modo univoco e chiaro, come se ciò fosse possibile. Così, mentre nel tra di terra e mare oggi si analizzano e si catalogano le presunte identità, dall’Oceano giungono le sirene dell’oltrepassamento dei confini terracquei, il miraggio del superamento, una volta per tutte, dell’abitare luoghi: dagli oceani, ai cieli, alle reti virtuali, la fallace promessa di luoghi ultrafisici da abitare, nella simmetria topologica e nella contemporaneità delle moltitudini, sembra ormai realizzarsi. Ma ogni isola, e la Sicilia in particolare, porta in sé, come recita Manlio Sgalambro, un segreto: «Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire»3.

La Sicilia, nel suo essere lacerata tra l’impellente connessione alle reti globali e l’ancoramento terrestre e temporale a se stessa, che è anche un ancorarsi all’abisso, costituisce una prospettiva privilegiata per comprendere a che punto della propria storia si trovi il Mediterraneo: cultura mediterranea e modelli culturali transoceanici si confrontano e, più spesso, si affrontano al cuore di quelli che potremmo identificare come nuovi ‘nazionalismi mediterranei’. Le isole del Mediterraneo, le sinuose linee di costa, si offrono, con la loro bellezza splendente e fragile, agli arrivi e alle partenze dei nuovi paria, gli intoccabili delle migrazioni, quasi una nuova e paradossale “razza multietnica”, su cui far ricadere i mali dell’Europa, generata, forse, dalle stesse istituzioni europee, ma anche mondiali4, incapaci di un pensiero realmente mediterraneo, mediatore tra le culture, mediatore tra le ricchezze, mediatore tra mari e terre, tra imperi mondiali e risorgenti chiusure di amministrazioni locali, tanto da aver ridotto il Mediterraneo a «un immenso archivio e un profondo sepolcro»5. Oggi più che mai, dunque, si ha bisogno di una nuova cultura per il Mediterraneo, che sfugga sia ai “nazionalismi mediterranei”, che all’eccessiva dispersione di energie verso quei modelli d’oltreoceano, ma diremmo anche ultraterrestri, che finiranno, forse, per cancellare definitivamente la cultura mediterranea6.

Sul rischio dell’oscura, ma ben presente, predominanza dei modelli oceanici si sono interrogati molti pensatori che hanno chiaramente sottolineato i caratteri di un’Europa che appare segnata sempre più dalla dimensione “atlantica” che da quella “mediterranea”7. Il Mediterraneo, infatti, non può in alcun caso essere identificato come mero dato geografico, essendo, piuttosto, un luogo geostorico e geosimbolico definito dall’incontrarsi e scontrarsi, se così si può dire, dei tre grandi continenti che esso bagna, cioè Africa, Asia, ed Europa, ma anche, e forse soprattutto, dei tre monoteismi: Cristianesimo, Ebraismo, Islam. Se, come afferma Derrida, «il proprio di una cultura è di non essere identica a se stessa»8, forse proprio il Mediterraneo, come «mare di differenze»9, potrebbe costituire un vero e proprio modello per comprendere cosa davvero sia ciò che chiamiamo “cultura”. L’espressione e la coesistenza delle differenze non comporta affatto – come temuto da molti – una rinuncia all’identità, ma potrebbe, anzi, sollecitare una consapevolezza sempre più profonda che non sia possibile accedere all’identità del proprio se non a partire dall’alterità dell’altro. Il Mediterraneo, dunque, può offrire un modello che vada al di là di ogni asfittica “monocultura”: attraversato da una pluralità di differenze che, pur fra mille difficoltà, navigano nell’unico mare, potrebbe aprire rotte non interrotte dalla paura dell’altro da sé10. Senza lasciarsi incantare dalla nostalgia delle antiche e dorate vestigia, occorrerebbe pensarlo come laboratorio socio-politico e culturale dell’avvenire dell’Europa, ma anche del resto del mondo. Per questo l’Europa dovrà optare per uno dei due modelli classici che ne possono rappresentare il percorso geofilosofico: il primo è incarnato dall’Ulisse omerico, navigatore mediterraneo che, tra le coste e da isola ad isola, rispetta i limiti del Mare Nostrum; il secondo è l’Ulisse dantesco, che si lascia sedurre dall’Illimite, rappresentato dall’Oceano: nonostante sia ormai vecchio, disdegna di navigare all’interno degli angusti confini mediterranei e varca le colonne d’Ercole, spiccando “il folle volo” verso l’Atlantico, nel quale la sua nave si inabissa, attestando, così, la “colpa” di chi smarrisce il senso della misura. Il Mediterraneo, infatti, è ineludibile esperienza dei limiti e dei confini. L’Oceano, invece, è distesa a perdita d’occhio, spazio illimitato e privo di misura.

Predrag Matvejević

All’interno di questo interrogarsi circa il destino dell’Europa, immemore della sua “origine” mediterranea, si inseriscono le riflessioni e l’impegno politico-culturale di Predrag Matvejević11, che da decenni ha profuso le sue inesauribili energie per dare voce alle molte lingue del Mediterraneo e per riallacciare i duraturi legami che, proprio attraverso il Mediterraneo, annodano indissolubilmente la storia europea a quella di tutte le sponde che su di esso si affacciano, a partire dalla constatazione, da lui più volte ribadita, che, in verità, nell’Unione Europea il Mediterraneo non solo non viene assunto come imprescindibile orizzonte di riflessione, ma, anzi, assuma, in certi frangenti, e soprattutto in ambienti continentali, una connotazione dispregiativa. Al massimo si ricordano e riconoscono le passate glorie di questo mare, senza contemplarne l’importanza per il futuro dell’Europa. Pensarlo a partire dal suo passato è diventata, infatti, una tenace consuetudine che, alla fine, – è Matvejević a sottolinearlo con forza – si è rivelata controproducente. I magnifici miti fondatori della cultura europea, ai quali spesso ci si riferisce con gusto meramente antiquario, hanno piuttosto contribuito a creare degli stereotipi, proiettando il Mediterraneo più verso un lontano passato che verso il futuro12. L’Europa, invece – questa è la prospettiva che Matvejević non si è mai stancato di rilanciare – dovrebbe liberarsi dall’eccesso di continentalismo che, come affezione patogena ricorrente spesso l’affligge, attraverso un vero e proprio percorso di “conversione”, aprendosi a quei mondi relegati in second’ordine, Terzi e Quarti Mondi, che, pure, in passato, hanno fecondato la sua storia e la sua cultura, oggi respinti negli abissi del Mediterraneo o da muri e confini divenuti invalicabili.

Come sottolineato da più parti, e soprattutto di recente, il Mediterraneo assume in misura sempre maggiore il carattere di frontiera tra mondi divenuti ostili, separando per la prima volta in modo così marcato il distacco della “fortezza” Europa dal “suo” mare. Com’è stato osservato: «il termine Mediterraneo è stato invece sempre più utilizzato per designare soltanto i ‘paesi terzi’, non europei, del bacino mediterraneo o considerati convenzionalmente tali. Da un decennio si trova sempre più di frequente l’espressione Europa e Mediterraneo come due termini del tutto distinti»13. Matvejević, invece, immagina un’Europa che assuma la sua mediterraneità consustanziale e che sia più dei cittadini e meno delle nazioni, più centrata sulla cultura e meno sul commercio, più ospitale che respingente. Egli è stato tra i primi a immaginare un’“alternativa mediterranea”14, in grado di indicare all’Europa un percorso diverso nel suo progetto di unificazione. Dobbiamo constatare, con sconforto, che mai come oggi questa prospettiva sembra non solo lontana, ma addirittura ferocemente contrastata da alcuni Stati europei, sotto lo sguardo di un’Unione Europea incapace di assumere una chiara e netta posizione a riguardo, paralizzata dal ricatto di crescenti populismi nazionalistici e sciovinistici. E tuttavia, nonostante la disastrosa congiuntura presente, come Matvejević non si è stancato di ripetere in molti suoi interventi, non vi è altro futuro per l’Europa se non quello di riconoscersi nella sua “culla”, in quel mare dal quale proviene l’intreccio inestricabile delle sue molte lingue e delle sue molte culture. Da questo pluriverso, refrattario ad ogni reductio ad unum, sono nate inedite forme di convivenza e di scambio, di solidarietà e di condivisione, dalle quali soltanto l’Europa può aspettarsi un avvenire. Il Mediterraneo, dunque, non è solo un mare del passato, da archiviare come un prezioso reperto, ma è l’unico spazio geopolitico e geofilosofico al quale l’Europa dovrebbe attingere per comprendere meglio se stessa e per immaginare il proprio futuro, purché, come ha ribadito con forza Caterina Resta, «sappia pensarsi come un “universo plurale”, che non nega le differenze, centro propulsore di un nuovo nomos della terra che sappia esso stesso costituirsi come pluriverso nel segno non dell’ostilità e dello scontro di civiltà, ma dell’ospitalità e della traduzione»15.

 

Intervista 

Le riflessioni sulla Sicilia, sul carattere “isolano” o “insulato” dei suoi abitanti, costituiscono un prezioso tassello del mosaico di riflessioni mediterranee di Matvejević. Per questo, riprendere oggi un’intervista16 che ebbi modo di fare a Matvejević – e che lui ebbe la generosità di concedermi – nel 2003, in occasione di un suo intervento pubblico a Messina17, serba lo stesso interesse di allora e ne rivela, anzi, ancor più, il carattere di lucida preveggenza e di sagacia analitica. Ritorno volentieri, dunque, con il pensiero, a quel mattino radioso di sole, che solo beffardamente poteva definirsi autunnale, e di cielo azzurro, in cui Matvejević mi attendeva per l’intervista, insieme alla moglie Mira, di fronte al loro hotel dal nome promettente, “Paradis”, mutuato dal nome della località in cui è ubicato, Paradiso, un tempo borgo marinaro, che si estende lungo un tratto della via Consolare Pompea, la strada che, fin dai tempi dei Romani, costeggia il bordo messinese dello Stretto, conducendo fino ai Laghi di Ganzirri, nelle prossimità di Capo Peloro.

Erano entrambi affacciati ad una ringhiera di ferro che sporgeva direttamente sulla spiaggia e, illuminati dal riverbero scintillante del mare, di un indescrivibile colore blu profondo, si tenevano vicini, guardando in silenzio l’orizzonte: soltanto dopo aver carezzato le due coste, siciliana e calabrese, esso si apre, oltre i due promontori di Capo Peloro e di Scilla, verso il mar Tirreno. Osservandoli, mentre arrivavo dalla zona Sud della città, ripercorrevo ciò che conoscevo delle loro vite così intense, difficili, tese tra un Paese e l’altro, tra “asilo ed esilio”, come spesso ama ripetere Matvejević: Jugoslavia, Russia, Francia, Italia, per nominare solo quelli più vicini; per non parlare dei mille luoghi visitati per scrivere il Breviario mediterraneo, le migliaia di volti e di sguardi incrociati.

Nella lucentezza quasi abbagliante dei suoi capelli bianchi sotto il sole siciliano, sembrava spandersi la spuma di tutti i mari attraversati, e le rughe della sua fronte apparivano come concrezioni di memoria di quei porti che l’hanno accolto, intento a coglierne voci, parole, usanze, paesaggi. In lui si sentiva viva la presenza della storia, l’ansia del presente, la proiezione verso il futuro. La moglie Mira, raffinata donna russa dal volto e dalla voce delicata, mi faceva pensare ad una novella Penelope che attendeva sempre il suo Ulisse, ma che, a volte, anche, lo accompagnava nei viaggi. Durante l’intervista ho, poi, potuto constatare quale atmosfera incantevole riuscivano a creare scherzando insieme e celiando un po’ l’uno con l’altro, con uno humor sottile, ironico, sussurrato. Di fronte allo Stretto di Messina, a quell’esiguo braccio di mare che divide la Sicilia dal Continente, luogo simbolico di eccezionale pregnanza per l’intera storia del Mediterraneo, ho iniziato a porre le mie domande a colui che ne è stato tra i più profondi conoscitori.

R.F. Professor Matvejević, nel suo testo Il Mediterraneo e l’Europa18, lei definisce la Sicilia un’«Isola-continente». Vuole spiegarci cosa intende?

P.M. Parlando delle isole, dobbiamo pensare che esse cambiano molto nei vari periodi storici. Ci sono momenti in cui l’isola è molto dipendente dal resto, in cui gli abitanti non si sentono sicuri e preferiscono andare via, mentre ci sono periodi in cui essa diventa prosperosa, sufficiente a se stessa e autonoma. In questi casi l’Isola comincia ad avere l’ambizione di diventare un Continente. Questo si vede molto nella storia della Sicilia. Non soltanto storicamente, pensando al Regno delle Due Sicilie, in cui c’era una conferma, appunto, storica, di questo stato, ma ci sono momenti in cui chiaramente “Sicilia” è diventata una nozione, un concetto, una realtà a sé stante.

R.F. Come ha vissuto il rapporto con la Sicilia nell’ambito dei suoi viaggi?

P.M. Per quanto riguarda la mia esperienza della Sicilia, c’è da dire che ci sono stato tantissime volte, l’ho percorsa davvero tutta, da Nord a Sud, da Est a Ovest. I miei primi viaggi, erano più che altro percorsi letterari, seguendo vecchi libri di viaggi, testimonianze antiche, e testimonianza particolarissima, non abbastanza valorizzata dai siciliani stessi, è la cartografia siciliana. Una grandissima cartografia che si è avviata già nel XII secolo, col cartografo arabo Al-Idrisi, detto anche “il Siciliano”, proprio perché la sua opera si realizza in Sicilia. In queste carte si vede come il Nord è in giù e il Sud è in su, non c’è infatti nessuna ragione cosmica per mettere il Nord su e il Sud giù, sono dei privilegi che ci scegliamo noi stessi.

La Sicilia nella carta di Al-Idrisi

Dunque scoprii queste carte, andando dove si custodivano gli originali, o meglio le antiche riproduzioni, ed ho imparato qualche centinaio di parole arabe per decifrarle. Mi sono reso conto di come forse era la prima volta che la carta geografica diventava anche un oggetto artistico, che sveglia la gioia, tanto che Al-Idrisi, che viveva alla corte di Ruggero II, gliele dona per regalargli “una distrazione”. Una carta fatta con grande erudizione, ma dall’altra con grande gioia nel rappresentare il mondo e nel far vedere questa rappresentazione. Inoltre da questo apprendiamo che noi abbiamo visto le carte di Tolomeo sei o sette secoli dopo gli arabi di Sicilia, poiché esse sono state introdotte solo molto tempo dopo, nel XV secolo. Se si facesse davvero una Fondazione Euromediterranea a Palermo o Napoli vorrei subito vedere se si potesse fare uno studio approfondito su questa tradizione geografica, cartografica, cosmografia siciliana19.

R.F. Nel Breviario20lei scrive dell’usanza di riferire alle isole degli aggettivi solitamente riferiti agli esseri umani, “isole beate”, “felici”, o “isole tristi”. Inoltre parla di isole come luoghi di libertà, ma anche come luoghi di reclusione, le “isole-prigione”. Qual è l’impressione che si è fatta della Sicilia, del suo rapporto con il mare, e quale esperienza, secondo lei, ne hanno coloro che qui vivono?

P.M. Io ho avuto una corrispondenza con Sciascia. Ci siamo incontrati a Parigi, nello studio del suo editore Maurice Nadeau, quando io ero molto giovane e forse l’ho annoiato un po’; avevo già in testa l’idea del Breviario Mediterraneo e Sciascia mi ascoltava. Io ero molto orgoglioso che uno scrittore così conosciuto avesse tanta pazienza nel parlare con un giovane esordiente. E mi scrisse una lettera in cui mi diceva di come i siciliani voltano le spalle al mare, e non ne sono in realtà attratti fino in fondo. Mi scrisse dei proverbi che i siciliani di certi luoghi ripetevano spesso: «Lu mari è amaru»; «Mari, focu e fimmini, Diu ‘nni scanza»; «Loda lu mari, afferrati a li giumari». Io ero sorpreso, perché avevo immaginato i siciliani come sempre rivolti al mare e questo mi ha causato molti dubbi creativi, che mi hanno spinto alla ricerca, e a fare dei viaggi che non fossero più viaggi di piacere e abbastanza brevi, in cui mi fermavo solo nei porti. Ho così scoperto che al centro della Sicilia c’è tutto un mondo continentale che non ha niente a che fare con il mare, un po’ come in Spagna. Sono simili queste situazioni, in cui la gente non vuol sentire parlare del mare, il mare è uno sconosciuto. Questi dati mi sono stati molto utili per approdare ad altre isole e guardarle in modo diverso. Talvolta sul primo promontorio finisce la “marinità” e comincia subito il continente. Come se ci fosse una paura di guardare il mare dal promontorio, pur avendone da lì una visione bellissima e lontana.

R.F. Lei parla anche di “isolani” e di “insulati”. Ha riscontrato queste “categorie” anche in Sicilia?

P.M. C’è una differenza fra “isolani” e “insulati”, come già ho scritto nei miei testi. Gli “insulati” sono legati in modo quasi maniacale all’isola, alle passioni e alle follie di essa, hanno tanto vissuto l’isola che ne sono marchiati. Per esempio i siciliani di Siracusa, secondo me, sono “insulati”, così come quelli di Trapani. A Messina la situazione è più difficile da descrivere perché forse, all’inizio del secolo scorso, c’è stato il grande terremoto, un trauma che forse, come ogni grande dolore, interrompe delle passioni antiche, dei modi di essere. Infatti non credo di poter dire che i messinesi sono “insulati”. Sono anche stato sorpreso, ad esempio, andando verso Gela, verso l’interno, vedendo i contadini tanto simili a quelli dei Balcani, molto tradizionalisti, molto lontani dal mare; nel loro discorso il mare è quasi un tabù, qualcosa di molto lontano, molto misconosciuto e forse temuto.

R.F. Anche qui a Messina, al parco Horcinus Orca di Capo Peloro, ha parlato della difficoltà riscontrata, all’interno del Mediterraneo, di realizzare dei progetti che pure sembravano accompagnati da tanto entusiasmo. Quasi delle catene invisibili che non permettono ai popoli mediterranei di prendere in mano il loro destino. Come si inserisce la Sicilia in questo quadro?

P.M. La Sicilia è l’emblema del Mediterraneo. In essa si raccoglie tutto il bene, ma anche tutto il male di questo mare. Appena si arriva in Sicilia dall’esterno viene subito voglia di fare qualcosa, viene voglia di lottare per questa isola così deturpata anche dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Poi si vede come i siciliani stessi siano quasi bloccati dal loro passato, che non sono riusciti a gestire. Ci sono alcuni punti cruciali nel rapporto con il proprio passato: a volte occorre, nella storia, “difendere il” proprio retaggio. Ma altre volte occorre “difendersi dal” proprio retaggio. Stesso dicasi per la memoria. Si tratta a volte di salvaguardare la memoria, ma altre volte di salvarsi dalla memoria. È assolutamente prioritario e necessario riconoscere questi momenti di svolta epocali. La Sicilia non l’ha fatto. E così non riesce a gestire il suo passato, cosa che spinge più al negativo che al positivo. Anche perché la tendenza a non avere consapevolezza di questi fenomeni viene inculcata anche dall’esterno. La Sicilia è sintesi e concentrazione di questi fenomeni.

R.F. Quali sono i segni più evidenti di questa schiavitù del retaggio del passato e della memoria? 

P.M. Anche a questo proposito la Sicilia è emblematica all’interno della situazione mediterranea, che riproduce, esasperandola: in nessun altro luogo “l’identità dell’essere” è così marcata, e d’altra parte in nessun altro luogo è così scarsa “l’identità del fare”. Intendo con “identità dell’essere” il possesso di una lingua, di una storia, di una mitologia, di un modo di sentire e presentare le cose, di soffrire e gioire. Forse alcuni fenomeni come la mafia nascono proprio da una così forte identità dell’essere. Ma senza l’identità del fare tutto scade, si rovina. Occorre trasformare le energie in strategie, cercare di volgere il male in bene. Il progetto di una Fondazione euromediterranea a Palermo rientrerebbe proprio in questo tentativo. A volte occorre cercare, oltre la cultura esplicita ed evidente – e parlo di autori che vanno da Sciascia, Pirandello, Quasimodo, fino a Camilleri – una cultura che si vede meno, direi una cultura implicita, che si trova nelle persone e nelle città, sulle coste e nell’interno. Occorre guardare oltre l’esterno rovinato dagli usi e dagli abusi, e andare alla ricerca di una Sicilia implicita e segreta, ma viva.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Imprescindibile per ogni approccio geofilosofico al Mediterraneo è il prezioso volume di C. Resta, Geofilosofia del Mediterraneo, Mesogea, Messina 2012. Per un’introduzione agile e puntuale alla geofilosofia si veda L. Bonesio - C. Resta, Intervista sulla geofilosofia, a cura di R. Gardenal, Diabasis, Reggio Emilia 2010.

2 P. Matvejević, Quale Mediterraneo, quale Europa?, in AA. VV., L’alternativa mediterranea, a cura di F. Cassano e D. Zolo, Feltrinelli, Milano 2007, p. 436.

3 M. Sgalambro - F. Battiato, “Una voce”, in Il cavaliere dell’intelletto, Casa Musicale Sonzogno/L’Ottava, Torino 1994. Sul rapporto geofilosofico di Manlio Sgalambro con la Sicilia mi sono soffermata in R. Fulco, Una febbrile tendenza a pensare, in Manlio Sgalambro. L’ultimo chierico, intervista a cura di R. Fulco, Mesogea, Messina 2015, pp. 85-91, a cui mi permetto di rimandare anche per ulteriori riferimenti bibliografici.

4 L’idea di un “razzismo istituzionale”, riferito, in particolare, alla situazione italiana, è vividamente affrontato da C. Bartoli, Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Laterza, Roma-Bari 2012.

5 P. Matvejević, Mediterraneo. Un nuovo breviario, tr. it. di S. Ferrari, Garzanti, Milano 1991, p. 38.

6 Encomiabili, da questo punto di vista, tutte le iniziative culturali volte a promuovere la cultura mediterranea. Tra le tante, vorrei segnalare il progetto editoriale della casa editrice Mesogea di Messina, che ormai da anni pubblica opere di autori provenienti dall’intero bacino mediterraneo; una casa editrice che, con coraggio, si presenta come una sponda in cui confluiscono molte riflessioni “mediterranee” portatrici di un sogno: riallacciare insieme mari, isole, coste ed entroterra del Mare Nostrum e creare una nuova cultura mediterranea, che sia davvero “altra” e alternativa rispetto ai modelli imperanti.

7 Su queste questioni si veda C. Resta, Atlantici o mediterranei?, in Geofilosofia del Mediterraneo, cit.. Cfr. anche M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994; Id., L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997; F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996; F. Saffioti, Geofilosofia del mare. Tra oceano e mediterraneo, Diabasis, Reggio Emilia, 2007.

8 J. Derrida, Oggi l’Europa, tr. it. di M. Ferraris, Garzanti, Milano 1991, p. 14.

9 C. Resta, Un mare che unisce e divide, in Geofilosofia del Mediterraneo, cit., pp. 95-103.

10 Su questa opportunità offerta dal pluriverso Mediterraneo si veda D. Zolo, La questione mediterranea, in AA. VV., L’alternativa mediterranea, cit., p. 18.

11 Le allarmanti notizie, che stanno circolando tra amici ed estimatori già dall’inizio del 2016, circa le precarie condizioni di salute di Matvejević, ricoverato presso un ospedale psichiatrico di Zagabria, impongono interventi immediati che gli assicurino cure adeguate e condizioni di vita consone ai suoi bisogni di uomo e di intellettuale. Restituirgli la parola, attraverso la pubblicazione di questa intervista, rappresenta per me un doveroso omaggio alla sua figura e la testimonianza di quanto importante sia, a tutt’oggi e per tutti noi, il contributo di Predrag Matvejević per ripensare il Mediterraneo e l’Europa.

12 Cfr. P. Matvejević, Il Mediterraneo e l’Europa. Lezioni al Collège de France, tr. it. di G. Vulpius, Garzanti, Milano 1998, p. 24: «Lo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi».

13 S. Bono, Mediterraneo, storie di un’idea liquida,Mediterranea - ricerche storiche”, 36, 2016, pp. 130-131.

14 Per questa prospettiva si rimanda al prezioso volume di AA. VV., L’alternativa mediterranea, cit., al quale lo stesso Matvejević ha contribuito con un suo saggio, precedentemente citato.

15 C. Resta, Un mare che unisce e divide, cit., p. 111. Su questi temi si veda anche Ead., L’estraneo. Ostilità e ospitalità nel pensiero del Novecento, il melangolo, Genova 2008.

16 L’intervista è stata originariamente pubblicata nel settimanale “Centonove” del 24 ottobre 2003, pp. 36-37.

17La giornata di studi “Il Mediterraneo e l’Europa. È possibile una nuova cultura mediterranea?”, organizzata dal Parco Horcinus Orca, dalla casa editrice Mesogea e dalla Libreria Hobelix, tenutasi a Messina il 18 ottobre 2003 con il coordinamento di Caterina Pastura. Con Predrag Matvejević ha dialogato Caterina Resta.

18 P. Matvejević,Il Mediterraneo e l’Europa, cit.

19 Si veda a proposito di tale progetto: http://www.caffeeuropa.it/pensareeuropa/291matvejevic.html

20 P. Matvejević, Mediterraneo. Un nuovo breviario, cit.