AZIONI PARALLELE 
non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile
la 
"libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".

Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
Gabriella Baptist,
Giuseppe D'Acunto,
Aldo Meccariello
e Andrea Bonavoglia.
Sede della rivista Roma.

Nuova informativa sui cookie

AP on line e su carta

 

AP 6 - 2019
FALSIFICAZIONI
indice completo


 AP 5 - 2018
LA GUERRA AL TEMPO DELLA PACE
indice completo
(compra il libro
presso ARACNE) 


AP 4 - 2017
SCALE A SENSO UNICO
indice completo
(compra il libro
presso ARACNE
)


AP 3 - 2016
MEDITERRANEI
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]


AP 2 - 2015
LUOGHI non troppo COMUNI
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]


 AP 1 - 2014
DIMENTICARE
indice completo
[compra il libro 
presso ARACNE]



 

 I NOSTRI 
AUTORI

Mounier
di A. Meccariello e G. D'Acunto
ed. Chirico

[compra presso l'editore Chirico]


Modern/Postmodern
ed. MANIFESTO LIBRI
 
[compra presso IBS]


Solitudine/Moltitudine
ed. MANIFESTO LIBRI

[compra presso IBS]


 Vie Traverse
di A. Meccariello e A. Infranca
ed. ASTERIOS

[compra presso IBS]


L'eone della violenza
di M. Piermarini
ed. ARACNE

[compra presso ARACNE]


La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
ed. ASTERIOS 

(compra presso ASTERIOS)

Luoghi: nozioni comuni della mente, spazi aperti e chiusi, ecceità, flussi-eventi e metamorfosi

  A Gilles Deleuze, indimenticabile maestro, nel suo anniversario



Introduzione

In genere si considerano luoghi comuni, in senso figurato, le convinzioni della massa, che coincidono talvolta col buon senso e talaltra con le banalità di un sapere privo di criticità, il senso comune. Il senso comune, che comprende in sé sia elementi del buon senso che credenze popolari, si fonda sull’autorità e sulla tradizione1, cioè territori storico-culturali rispetto ai quali la filosofia esercita il suo ruolo di critica,per superarne l’impianto irriflessivo e il contenuto sostanzialmente mitologico2.
Gilles Deleuze

Letteralmente, invece, i luoghi comuni sono i luoghi dell’abitare, i luoghi pubblici, di transito e di stazione, luoghi di attività della nostra esistenza di lavoro e di vita materiale, luoghi di relazioni sociali o spazi chiusi, in cui la nostra sensibilità prende dimora e costruisce una nicchia, un rifugio contro l’esterno. I luoghi reali pretendono di possedere un’apparente “neutralità” rispetto alle rappresentazioni del pensiero. Non bisogna credergli. Leon Bloy, lo scrittore mistico cattolico, ha dedicato un’opera famosa all’esegesi dei luoghi comuni, presentandoli come formule trite e vuote che appartengono agli pseudo-valori dell’identità borghese3. La critica del senso comune diventa così la critica del comune intelletto borghese e si spinge molto aldilà dei limiti del dubbio metodico cartesiano. Per Bloy tutta l’esistenza borghese, che trova il suo centro nell’idolatria del denaro, è basata su “principi” senza fondamento.

Gilles Deleuze, nel quadro di una filosofia dell’evento e del divenire molteplice, considera il paradosso, “il pathos o la passione della filosofia”4, una potenza dell’inconscio che afferma contemporaneamente due sensi, spinge ai limiti le facoltà, genera “il rovesciamento simultaneo del buon senso e del senso comune” e rompe “l’alleanza” tra l’io, il mondo e Dio, costruita dall’ontologia dell’analogia e riflessa per così dire dal linguaggio.5 Il paradosso ristabilisce dunque una distribuzione nomade, cancella le compensazioni e le uniformazioni del buon senso6, dove questo aveva stabilito una distribuzione sedentaria. In ogni caso il territorio in cui si opera la donazione di senso è sempre una regione che precede il buon senso e il senso comune, non è un recinto, ma uno spazio libero di donazione di senso.



1. Gli Stoici, Cartesio, Spinoza

Il pensiero si trova però ad avvolgere la doxa e a riconoscere a ciò che è comune un valore insopprimibile. Così per gli Stoici le nozioni comuni7 costituiscono una fonte di verità. Queste nozioni appartengono ad “un comune modo di pensare e [al]le prolessi condivise da tutti gli uomini”8. Sulla base di esse, naturali o acquisite che siano, considerate criteri di verità, la stessa ragione, definibile come “un insieme di concetti e di prolessi”, può svilupparsi. Il piano di comunanza del sapere e dell’opinione comune dell’umanità fonda i valori essenziali della convivenza sociale e i principi della morale di base, che la filosofia elabora successivamente in una scienza rigorosa.

Gli Stoici consideravano gli eventi cosmici e le azioni umane in una stretta correlazione e, in ultima analisi, le assumevano come conseguenze di una realtà unica: il Logos9. Per questo motivo, ad esempio, i segni “premonitori” del linguaggio dei sogni, oggetto di una credenza fortemente radicata nel sapere popolare che ha prodotto l’onirologia antica del Libro dei sogni di Artemidoro, non furono rigettate dagli Stoici che, basandosi sull’idea dell’universale correlazione causale dell’universo, le giustificarono parzialmente. Liberati da ogni interpretazione magica esoterica10, i sogni diventavano un elemento della divinazione degli eventi in punto di accadere. Tale credenza, parzialmente accolta dagli Stoici, specie da Posidonio, nel potere dei sogni di pre-dire il futuro, viene giustificata in nome della virtualità degli eventi. In realtà, come chiarisceDeleuze, negli Stoici l’interpretazione divinatoria non significa l’abbandono della spiegazione razionale fondata sui nessi causa-effetto, ma è, in quanto fondativa della morale, un ponte stabilito tra questa e la logica. La morale è volere che accada ciò che accade, ma gli eventi che stanno per accadere, l’evento puro non ancora effettuato, può essere riferito alle cause corporee e in ultima istanza alla Physis universale soltanto attraverso un’operazione di scivolamento sulle superfici,di taglio dello spessore e di moltiplicazione, seguendone le linee,per individuarne traiettorie e direzioni.

La “visione divina”degli Stoici riunisce insieme tutte le cause fisiche nell’unità di un “presente cosmico” e, insieme,vuole l’evento nella sua effettuazione più limitata.11 I corpi fisici si conoscono con le rappresentazioni, gli eventi-effetti incorporei sono invece espressioni, senza le quali la rappresentazione del senso “comune” (e i luoghi comuni o prolessi dell’umanità che ne derivano) non potrebbero internamente essere comprensivi, cioè avvolgere l’evento, che il sapere cerca dove è. La rappresentazione avvolge un evento che soltanto l’espressione coglie o meglio va a cercare dove esso è. Il compito assegnato al saggio è dunque quello di attendere e incarnare l’evento, perché tutto è governato dal destino, ma senza necessità deterministica. Le cause sono rinviate ad una unità, alla visione della Natura cosmica o divina e gli effetti, in quanto eventi, costituiscono espressioni delle loro cause, così come istituiscono rapporti reciproci di espressione. La comunicazione tra gli eventi si presenta come una ripetizione e proliferazione secondo una quasi-causalità espressiva12. La duplicità modale di tempi (Chronos e Aìon) libera l’evento dal determinismo dei corpi e delle cause, necessari comunque alla loro rappresentazione e conoscenza fisica, in quanto avviluppano l’evento come virtualità interna dei corpi e delle loro metamorfosi.

Il cosmo-organismo vivente è un universo solidale, nel quale, per quanto abbiamo detto, il tempo e lo spazio, come spazi comuni e forme trascendentali della comune pratica del mondo, proliferano attraverso gli sviluppi di eventi aleatori dell’esperienza psichica ‘normale’ e della pre-monizione onirica. La virtualità giustifica il sogno come divinazione ed elimina ogni scissione tra vita cosciente e vita onirica. I luoghi e i tempi dell’esperienza della veglia si mescolano ai loro corrispondentiluoghi e tempi nei sogni e trovano in essi echi e corrispondenze. Questo approccio, per cui il pensiero si uniforma alla legge comune del Logos, si nutre di un tessuto di nozioni comuni a tutto il genere umano e insomma, nella sua origine, come nella sua destinazione, circoscrive una sfera di intersoggettività, di comunanza tra i viventi,viene radicalmente negato nel razionalismo cartesiano.

Mentre per gli Stoici come Crisippo le nozioni comuni sono i più grandi criteri di verità che abbiamo dalla natura13, per Cartesio bisogna dubitare dei princìpi ricevuti, allontanarsidalla strada comune. Il programma di Cartesio è tassativo: “procedere in solitudine, al di fuori del comunee a guidarsi da sé”. Il pensiero comune resta fuori del territorio della scienza, che si conquista procedendo con metodo e cautela:

Ma come fa un uomo che cammina da solo nelle tenebre,decisi di procedere così lentamente e di adoperarein ogni cosa tanta prudenza da evitare almeno di cadere,pur avanzando assai poco”14.

Spinoza invece riprende e modifica la dottrina stoica delle nozioni comuni”15. Non concede nulla alla superstizione e alla divinazione, ma combatte la nozione positiva del falso e contesta la condanna cartesiana del modo di conoscenza di derivazione empirica chiamato immaginazione. Se è vero chel’essenza della Mente consiste nella conoscenza16, lo è altrettanto che non esiste una nozione positiva del falso17. Ciò che si chiama falso è la privazione della conoscenza “che inerisce a idee inadeguate, ossia mutile e confuse”, sebbene l’idea inadeguata non sia in nessun caso un’idea inferiore, ma,commenta Deleuze, sia

come una conseguenza senza le proprie premesse (II, 28, dim.). Essa è separata, privata delle sue due premesse, formale e materiale, poiché non si esplica formalmente attraverso la nostra potenza di comprendere, non esprime materialmente la propria causa, e si attiene a un ordine di incontri fortuiti anziché raggiungere la concatenazione delle idee. È in tal senso che il falso non ha forma, e non consiste in nulla di positivo” (II, 33)18. 

L’idea inadeguata è il livello più basso della nostra facoltà di comprendere, è un pensiero inesplicato nella sua potenza che necessita di emendazione e superamento.Ma questo primo genere di conoscenza è un passaggio obbligato, un modo inaggirabile di iniziare il progresso della conoscenza.

La nostra potenza di conoscere non può restare al suo grado più basso, ma deve passare alle idee adeguate. Le nozioni comuni si riferiscono appunto al secondo genere di conoscenza con il quale si raggiunge la conoscenza delle cause e degli effetti. E’ grazie ad esse che accediamo ad una “matematica del reale o del concreto” che si pone al di là di ogni astrazione ed entità fittizia; “le nozioni comuni sono delle generalità, nel senso che non riguardano che i modi esistenti senza costituire nulla della loro essenza singolare (II, 37). Ma esse non sono per nulla fittizie o astratte: esse rappresentano la composizione dei rapporti reali fra modi o individui esistenti19.

La distanza che separa Spinoza dall’impianto cartesiano della dottrina dell’errore-colpa è profonda e altrettanto profondo il recupero della “visione divina” stoica, della concatenazione delle cause e degli effetti, delle interpretazioni e delle quasi-cause degli eventi.20

Nella libertà dello Stato repubblicano democratico fondato sulla libertà di pensiero, come teorizzato nel Trattato politico21, il passaggio dai luoghi comuni alle nozioni comuni, cioè alle generalità che consentono di conoscere con certezza cause ed effetti,diviene accessibile a tutti gli uomini. Il piano di comunanza tra gli uomini, la loro comune origine e dignità razionale vengono saldamente confermate come il terreno su cui la filosofia esercita il suo ruolo critico e il suo compito di emancipazione.



2. Spazi aperti e chiusi: i luoghi come paradossi

I luoghi del vivere sono i luoghi dell’abitare, dello stare, del transitare, i luoghi dello spazio che viene diviso in esterno e interno. Dal punto di vista molecolare questi luoghi sono territori e deterritorializzazioni, ingressi e uscite, trasformazioni ai limiti delle linee divisorie, delle membrane e dei bordi degli spazi circoscritti, aperti o chiusi. Si tratta sempre e comunque di mondi-ambiente (Uexküll,) o di concatenamenti (Deleuze), in cui si uniscono elementi eterogenei e le forze intensive mutano la natura degli elementi, degli strati, dei passaggi di stato e il cambiamento di natura. In una parola, i luoghi dell’abitare il mondo sono altrettante metamorfosi. Nell’ontologia di Deleuze non soltanto le serie che compongono il fenomeno sono eterogenee, ma ogni serie è composta di elementi eterogenei. Qui il carattere paradossale si gioca nello scambio tra aperto e chiuso, dalle zone di indeterminatezza, dalle opposizioni che premono ai bordi dei rispettivi domini. I diversi mondi-ambiente sono i veri luoghi comuni dei divenire molteplici, una volta che si smetta di pensare la molteplicità come divisione platonica dell’Uno, cioè dell’omogeneo in parti quantitative omogenee, e si concepisca con Deleuze la molteplicità nei termini di

distanze variabili [che] non sono quantità estensive che si dividerebbero le une nelle altre, ma piuttosto ogni volta degli indivisibili, dei «relativamente invisibili», dal momento che non si dividono al di qua e al di là di una certa soglia, non aumentano o non diminuiscono senza che i loro elementi cambino natura.  […] “22.

Le serie e linee di divenire sono pertanto altrettante metamorfosi e non sviluppi o alterazioni dell’omogeneo: sono “distanze indivisibili che si modificano senza sosta, che non si dividono o non si modificano senza che i loro elementi cambino natura” eogni volta rinviano al “carattere intensivo degli elementi e dei loro rapporti in questo genere di molteplicità”. Sono dunque definibili come eventi:

esattamente come una velocità, una temperatura non si compongono di velocità o di temperature, ma si avvolgono in altre o ne avvolgono altre che segnano ogni volta un cambiamento di natura.[…] queste molteplicità non hanno il principio della loro metrica in un ambiente omogeneo, ma altrove, nelle forze che agiscono in esse, nei fenomeni fisici che le occupano, precisamente nella libido, che le costituiscono dal di dentro e che non le costituiscono senza essere prima divise in flussi variabili e qualitativamente distinti” 23.

Queste modificazioni, che costruiscono delle esperienze su piani difformi, non sono lanciate nel nulla di significato, ma si ordinano, in quanto eventi, su regimi provvisori che fungono da vettori trascendentali della loro nascita da altro e del loro svanire in altro.



  2.a Walser, la Passeggiata e i luoghi dell’aperto come attraversamento del mondo

Nel racconto “La passeggiata” di Robert Walser, si presentae stratifica il vissuto secondo piani che si intersecano con gli eventi, piani di segni e piani di effetti. L’inarrestabile movimento dei significati scivola in una perdita di significato, un passeggiare, un trascorrere che non è più un discorrere o un disporre di sé: la passeggiata linguistica dei significanti sullo scenario di un mondo, di un luogo comune che ostacola ed esige tutto al prezzo dell’infelicità dell’individuo, diventa uno spazio che genera sconcerto, sradicamento. Walser non celebra l’idillio della Terra dei Laghi, ma mantiene il passo di Baudelaire e di Benjamin nello spazio aperto ma limitato di un paesino svizzero. Ciò che gli si stende innanzi e che appare al narratore è una poesia dello spazio aperto, consueto, quotidiano, dunque “comune”, lo spazio delle figure sociali tra le quali trascorre la sua vita e lo spazio del rapporto con la terra, i laghi e il cielo sopra le vette dei monti.

Una tempesta di immagini animate lo investe ed egli risponde sorridendo con compiacimento. La passeggiata è allegoria e metafora,ma soprattutto emersione di un fondo di sofferenza, di gesti che fluttuano come il tempo. La scrittura si dilata come un corpo che, nelle ore del giorno, gioca e scherza con gli eventi. Le parole tracciano geroglifici che disegnano un mondo di superficie, un mondo tessuto di organi interni e masse vitali.Walser riesce a sconfiggere il Mondo come chiusura e l’Interno bloccato della pagina. Lo stesso Aperto diventa un luogo domestico, un’anima vivente che parla attraverso oggetti e personaggi.Il doppio registro testo-movimento dell’andare segnala in effetti questi scarti: il testo trova ostacoli, inciampa e si smarrisce; mentre il passo si prolunga nella promenade, il testo agisce, l’azione scrive le linee della vita individuale sulla scena del mondo, fuori dai biografismi e dalla psicologia; l’io-ambiente del passeggiatore guarda fuori, l’aperto, per marcare il dentro a se stesso.

 Si tratta di “attraversare il mondo come mondo”. Il mondo come mondo non si lascia confinare nella coppia soggetto-oggetto, perché il viandante-passeggiatore non è un “puro occhio sul mondo”; egli rappresenta una vibrazione del mondo, un alito di evento, un riverberarsi di luce che rompe l’aria stagnante.

La parola tace, fallisce o, semplicemente, viene meno, si insedia nel testo e nella cifra del mondo, ma come un ospite temporaneo, che non avanza ambizioni di controllo e di dominio, che non ha una voce-assolo, ma si spende, si avvia, accade, nel mondo dell’andare.L’andare, infine, non è un progetto, non ha causa finale, è pura virtualità, pura insignificanza cui dare significato. Il soggetto frana, rovina su se stesso, nell’andare; non è uno specchio, né una trappola che cattura “ciò che viene”, ma un conato multiplo di emozioni, rinvii, registrazioni, contraccolpi, abitudini e attese, esitazioni e piccoli slanci. Nella Passeggiata la contingenza abbraccia tutto, non fa capo che all’arte di orchestrarne la voce spettrale.

Il mondo diventa un mondo che emerge, affiora e si inabissa repentinamente, senza fiato ma con ritmo, come Moby Dick in Melville. Il mondo diventa protagonista del suo puro scorrere, che incrocia l’andare del passante, le emozioni in processo del passeggiatore. L’integrità del poeta rinuncia al ruolo di soggetto epistemico, sociale, etico e diviene totale disponibilità; si rimette all’impianto di esperienza che sperimenta, giocoforza, la scena del mondo. L’ordine delle parole e le loro strutture semantiche rinunciano a rappresentare, cioè a catturare l’esperienza e si volgono alla libera fluttuazione della vita, alla diminuzione, sin quasi alla scomparsa, del soggetto.Il soggetto della locuzione è l’oggetto del passeggiare ed è il passeggiare a dettare legge o caos, a determinare lo spettro fluttuante dei significati. L’azzeramento del soggetto diventa una condizione preliminare del passeggiare, del meditare sul mondo a partire non dall’io, ma dal mondo stesso.L’io non subisce una frantumazione, come in Rilke (I Quaderni di Malte Laurent Briggs) o in Joyce (Ulysses), ma dismette se stesso.

La salvezza è la pura esperienza dell’attraversare il mondo, del mondizzarsi, dello svanire quando, inevitabilmente, la scena reale e quella del linguaggio si affollano di personaggi. Nell’assoluto isolamento si ha l’assoluto contatto con gli eventi.Che cos’è passeggiare? Deviare, oltrepassare, varcare, costeggiare il mondo ai suoi bordi, perché diventino i bordi dell’essere. Nel passeggiare entriamo in contatto senza prendere. Si realizza così, in questo straordinario testo di Walser, il rovescio del Gestell, dell’imposizione, dell’impianto heideggeriano, attraverso la disposizione che si rivela soprattutto essere una esposizione, l’azzeramento di sé nell’andare, la perdita, l’evacuazione linguistica, incontro con il mondo che ci viene incontro.Nulla chiedere, nessuno e niente fermare, niente pretendere nello slanciarsi, nel prendere avvio della passeggiata. Il mondo emerge e ci viene incontro, nella mera gratuità dei suoi moti, delle sue tensioni irrisolte, dei suoi conati, intervalli, scarti. Lo incontriamo non per possederlo, ma come una deriva dell’essere.Togliersi a sé per farsi mondo al mondo, attraversandone la vicenda: ecco la gratuità del mondo.La cifra leggera di un impegno che, poco definito all’inizio, si scioglie in itinere in cristallino vissuto (Erleben), conferisce alla Passeggiata di Walser, malgrado il senso di vuoto e, infine, di dismissione nell’andare, di nesso senza scopo o atto gratuito, il significato di una riabilitazione del luogo comune, dello spazio pubblico e della sua costruzione.

 

  2.b Bachelard e lo spazio-rifugio dell'intimità nella "Poetica dello spazio"

In G. Bachelard troviamo, al contrario, la smaterializzazione del luogo chiuso e la sua traduzione nella vita intima del pensiero e dell’esperienza dei sogni. Si tratta dunque di una territorializzazione che viene spezzata da una linea di fuga, attraverso il sogno e la memoria:

L’essere che ha trovato un rifugio sensibilizza i limiti del suo stesso rifugio; nella più interminabile delle dialettiche vive la casa nella sua realtà e nella sua virtualità, attraverso il pensiero e i sogni.  Tutti i ripari, tutti i rifugi, tutte le camere possiedono dunque valori consonanti di onirismo. La casa non è allora più «vissuta» davvero nella sua positività, non ne riconosciamo i benefici soltanto nell’ora che suona. Le vere felicità hanno un passato e tutto un passato vive, attraverso il sogno, in una casa nuova”24.

La smaterializzazione dell’ambiente chiuso della casa la fa fluttuare nel tempo memoriale e la priva di una determinazione di grandezza fisica.

Lo spazio e il tempo kantiani, le forme della comune pratica del mondo vengono così messe tra parentesi nella dimensione soggettiva, che si presenta nel “mondo-ambiente”:

La casa che abbiamo davanti è grande nel nostro mondo-ambiente, mentre nel mondo-ambiente di chi si allontana diventa sempre più piccola. Se scoppiasse una discussione sulla grandezza della casa, sarebbe quindi impossibile decidere se la casa è grande o piccola. Dal momento che tutti gli oggetti possiedono sempre solo una grandezza soggettiva, ogni soggetto ha ragione nel suo mondo-ambiente”25.

 

3. Estermo e interno dei sogni.  Ecceità, flussi-eventi e metamorfosi

 

                 3.a Esterno e interno dei sogni. 

Quali sono le forme viventi che si agitano nell’onirismo o i nuclei di esperienza cheritornano e si ripetono in esso? In primo luogo anche il sogno è un “luogo comune”. Nessun’altra dimensione di esperienza risulta comune a tutti gli uomini come il sogno, lo spazio comune condiviso tra vivi e defunti, appartenenti ad epoche e culture diverse. Nello spazio del sogno essi si incontrano. La narrazione oniricaintreccia immagini, rappresentazioni e presenze, rende udibili le parole senza suono e visibile ciò che non è presente. Il sogno, inoltre, ha un significato prospettico, che non può essere confuso con il suo carattere rivelativo, nel senso di divinatorio. Nel sogno veniamo trasportati e ci sentiamo in dominio di un “potere”. Non siamo noi a reggere il timone e spesso la rotta è ignota o incomprensibile. Eppure il viaggio continua.Il sogno non è però una magia, non crea dal nulla, ma altera la materia delle nostre percezioni. Esso è, come affermò, confermando lo sperimentalismo della sua filosofia, Bergson in una celebre conferenza,“fabbricato con sensazioni reali”. Esso si incontra con il ricordo, che sarà la forma che lo determinerà. Il sogno, insomma, per Bergson, diversamente da Maria Zambrano, non è creatore, ma dà forma, plasma il materiale reale dell’esperienza, grazie al ricordo. In esso la sensazione indeterminata e il ricordo si attraggono a vicenda26. Il punto di contatto tra la percezione (o stato d’animo) “vissuto contestualmente” e i ricordi, ripescati e introdotti nella realtà del piano onirico di esperienza e “montati” come un materiale filmico su cui costruire una narrazione onirica, ha, come rilevaBergson, una funzione decisiva. Potremmo dire che costituisce lo start del sogno. Soltanto grazie a questo contatto-contaminazione il sogno diventa così la visione che rappresenta la fusione di emozioni e ricordi27.

Per Bergson dunque,nel sogno si incontrano percezioni sensibili, prodotte in relazione al mondo esterno, e ricordi della memoria, l’esterno e l’interno. Ma il sogno non è forse esso stesso una materia sottile che si divide in spazi e tempi, i cui luoghi accendono la nostra immaginazione e si depositano sul fondo della nostra memoria?

In rapporto all’esterno, cioè agli spazi e ai luoghi chiusi, è vero che noi riempiamo di sogni i luoghi del nostro vivere, trasfigurandoli in dimore dell’anima, luoghi abitati dell’esistenza, cioè viviamo la loro materialità di spazi chiusi esterni alla nostra anima ma comunicanti con essa, quasi fossero espansioni della spazio onirico, in un continuo scambio e in una continua contaminazione: nei sogni riconosciamo, privati ormai di ogni solidità fisica e di ogni pesantezza ontologica, i luoghi e le nicchie in cui si raccoglievano le nostre emozioni e che le nostre viscere riconoscevano come nido e protezione dei nostri affetti. Al tempo stesso il sogno ha sempre un carattere proiettivo, la stessa spontaneità e volatilità dell’evento. Esso irrora i luoghi della nostra vita della sua luce notturna, delle sue tensioni energetiche e dei suoi abbandoni vitali. La casa della Poetica dello spazio di Bachelard è il luogo dei sogni così come i sogni sono il rifugio in cui l’interiorità si protegge contro ogni ingerenza estranea.

La casa non si vive dunque solamente giorno per giorno, sul filo di una storia, nel racconto della nostra storia: attraverso i sogni, le diverse dimore della nostra vita si compenetrano e conservano i tesori dei giorni antichi. Quando, in una nuova casa, ritornano i ricordi delle antiche dimore, ci trasferiamo nel paese dell’Infanzia Immobile, immobile come l’Immemoriale28.

In un certo senso tutta la nostra psiche (nella sua dimensione individuale e collettiva, “comune”) è una casa, la “nostra casa”, come ha ben visto C.G.Jung, in un celebre sogno, raccontato nella sua autobiografia29. Lo stesso Jung riconosceva che “La coscienza era rappresentata dal salotto: aveva un'atmosfera di luogo abitato, nonostante lo stile di altri tempi”, mentre la discesa verso il basso e l’immissione della caverna indicava gli strati profondi dell’inconscio collettivo, “il mondo dell’uomo primitivo in me stesso”, in cui

la psiche primitiva dell’uomo confina con la vita dell’anima animale, così come le caverne dei tempi preistorici erano di solito abitate da animali prima che gli uomini le rivendicassero per sé.”30

Il sogno è in effetti il luogo della non-azione del soggetto, il cui nome, come forma linguistica del chi, sembra cancellato, in modo da liberarela molteplicità delle serie divergenti di metamorfosi che costituiscono la “fabula” della sua narrazione. In esso una trama viene rappresentata in modo falso, l’esperienza viene deformata dalla componente di delirio che appartiene ad ogni narrazione, ad ogni récit. Il delirio è legato al desiderio31, il romanzo è delirio, ma il delirio del sogno ha un potere in più: il potere profetico32. Grazie ad esso siamo rinviati dalla serie degli effetti alla totalità delle cause, cioè al cosmo e all’”ordine del divino” stoico, senza scivolare nella divinazione come forma dell’idolatria, che isola un fenomeno e sovverte il rapporto tra Essere ed enti.Impossibile – è l’errore della psicanalisi freudiana – interpretare il sogno in un ordine di relazioni causa-effetto. L’interpretazione freudiana è precisamente la traduzione idolatrica del significato cosmico del sogno, riconosciutonella psicologia analitica junghiana. Gli effetti del sogno, cioè le indicazioni e i segni del suo lavoro, sono infatti incarnazioni di una molteplicità di cause e quasi-cause, nonrilevabili in una rappresentazione, pur appartenendo all’esperienza, e non riducibili ad una interpretazione, pur essendo una pre-visione di eventi futuri, di eventi che stanno per accadere33.

I luoghi del sogno sono punti di inabissamento dei vissuti della psiche e del tempo della coscienza ridotta a corpo vivente, in contatto con la natura cosmica come parte di essa, senza astrazioni e filtri coscienziali. Ogni sogno è un delirio, dal quale ci si libera una volta desti, che guadagna però punti di forza nellacomprensione delle linee di sviluppo di eventi virtuali o aleatori che stanno sul punto di effettuarsi. Si tratta di una caccia sottile, al livello di tensione diminuita delle funzioni della coscienza e del pensiero, in cui la nostra attenzione si colloca sulle lunghe durate della vita, sui flussi molecolari che la costruiscono, sulla disseminazione delle sue traiettorie, sui livelli energetici più profondi ed oscuri della psiche. Questo statuto del corpo umano che “cade”, si abbandona nel sonno e, almeno per un po’, si perde34, si amplifica e si complica nell’attività “creatrice” del sogno, che non soltanto influenza la vita da svegli, ma spesso ne illumina la strada e ne segna il destino35.

 

  3.b Ecceità, flussi-eventi e metamorfosi

Le grandi metropoli e le loro piazze, i monumenti, i vicoli e gli angoli bui, i cortili e i giardini della nostra infanzia, sono altrettante icone dello spazio che interiorizziamo. Perfino nella dilatazione di esperienza dell’erranza, il non-luogo della deriva diventa cifra narrativa di un flusso di esperienza molecolare. Il flusso di esperienza che avanza la pretesa di scriversi nel libro del tempo come una storia significativa, di negare il luogo comune, si coagula nella coscienza e si ramifica nei dispositivi dell’inconscio macchinale, da cui può sgorgare come la declinazione più propria di una modalità esistenziale, di una cifra di esperienza che non sia il calco di un “tipo”, ma rimandi alle ecceità36, alla serie di metamorfosi dell’energia vitale, alle “migliaia e migliaia di scene particolari, nei mondi-ambiente dei singoli soggetti”37. Richiamandosi a Jung, Deleuze e Guattari indicavano come un’immagine vada, nel trattamento analitico del sogno, inserita in una serie archetipica, nella quale si generanodelle sequenze di genere, di età, di specie, di elementi e di flussi molecolari38.

I sogni presentano sempre dellemetamorfosi,visioni che connettono le forme e i divenire-altro in una serie:

D’altra parte, i rapporti degli animali fra loro sono compresi nei rapporti dell’uomo con l'animale, dell’uomo con la donna, dell’uomo con il bambino, dell’uomo con gli elementi, dell’uomo con l’universo fisico e microfisico. La doppia idea «serie-struttura» supera, a un certo momento, una soglia scientifica, ma non è da là che essa proviene e non ci resta oppure passa in altre scienze, anima per esempio le scienze umane, per servire allo studio dei sogni, dei miti e delle organizzazioni” 39.

La serialità-flusso si oppone alla struttura e al tipo, che rinviano alla figura della soggettivazione sostanziale, inevitabile conseguenza della visione analogica dell’ontologia, inconciliabile con il punto di vista molecolare e micropoliticodell’univocità dell’essere, dell’evento e del concatenamento:

Precisamente, l'animale è inseparabile da una serie che comporta il duplice aspetto progressione-regressione e in cui ogni termine svolge il ruolo di un trasformatore possibile della libido (metamorfosi). […]. Una tale serie può comportare sequenze femminili o maschili, infantili, ma anche sequenze animali o vegetali o anche elementari, molecolari. Diversamente dalla storia naturale, l’uomo non è più il termine eminente della serie, al posto dell’uomo può esserlo un animale, il leone, il granchio o l’uccello da preda, il pidocchio, in rapporto a un certo atto, una certa funzione, secondo una certa esigenza dell’inconscio” 40.

Le linee di svolgimento delle metamorfosi,nel sogno come nella veglia, sono serie di ecceità, che sfuggono alla visione convenzionale dell’esperienza:

Non si è nel mondo, si diviene con il mondo, si diviene contemplandolo. Tutto è visione, divenire. Si diviene universo. Divenire animale, vegetale, molecolare, divenire zero. […] Quale terrore ossessiona la testa di Van Gogh presa in un divenire girasole?”41.

Le “ecceità”della filosofia molecolare deleuziana non sono soltanto concretizzazioni, coordinate spazio-temporali e “messe a punto”, ma rivestono un valore ontologico, perché gli viene attribuito un potere di azione all’interno dei divenire. Esse si iscrivono in una carta e non in un calco, o mappa42.

La modulazione molecolare dell’indagine dei luoghi comuni invita perentoriamente la filosofia a conoscere le sequenze minime del pensiero diffuso per rintracciare in esse le segmentazioni molari delle teorie e delle filosofie istituite. La stessa storia della filosofia si scopre costruita da concatenamenti e da ecceità che diventano costruzioni e segmenti molari. In quanto non ripetono un tipo o una forma, ma costituiscono ilcontenuto del piano di consistenza43, le ecceità si iscrivono in una cartografia, non in un calco, a prescindere dalla semiotica della loro espressione. La conseguenza è evidente: i luoghi comuni o le esperienze comuni, le minuzie e le “sfumature”rivestono il carattere di dimensioni necessarie dell’essere:

Perché non darete nulla alle ecceità senza rendervi conto che ne fate parte e non siete nient’altro[...] Siete longitudine e latitudine, un insieme di velocità e di lentezze tra particelle non formate, un insieme di affetti non soggettivati. […] Tutto il concatenamento nel suo insieme individuato è un’ecceità; si definisce mediante una longitudine e una latitudine, per velocità e affetti, indipendentemente dalle forme e dai soggetti che appartengono a un altro piano. Il lupo stesso o il cavallo o il bambino finiscono di essere soggetti per divenire eventi, in concatenamenti che non si separano da un’ora, da una stagione, da un’atmosfera, da un’aria, da una vita. […] Il clima, il vento, la stagione, l’ora non sono di una natura diversa dalle cose, dagli animali o dalle persone che li popolano, li seguono, vi dormono o vi si svegliano”44.

Il flusso di divenire sfugge ai codici, si deterritorializza seguendo una linea di fuga, si riorganizza, in transizioni e intensità diverse, su una modalità molecolare, de-stratificata e de-soggettivata45. Le serie evolutive, nucleo portante delle analisi della deleuzianaLogica del senso, si prolungano le une con le altre e divergono le une dalle altre, si contraggono connettendosi e si esplicano nella loro irriducibile eterogeneità. Questa relazione tra eterogenei genera sempre delle linee segmentate, che si fondono e si scindono, operano spinte, separazioni, riunionie sintesi disgiuntive.I luoghi comuninon sono estranei alla coppia di coefficienti molare-molecolare. Ad esempio nella città e nell’organizzazione dello spazio, fatto di segmentarietà e di linee e nei flussi molecolari del senso comune, o nella storia delle idee, in cui i flussi molecolariinvestono i segmenti molari delle filosofie e delle grandi concezioni del mondo.Tutti i divenire sono molecolari, non hanno un soggetto distinto dal divenire stesso, cioè dalla realtà propria del divenire. La nostra immaginazione dinamica o cosmica, presente nei sogni e nei miti, li raggiunge e ne esprime l’andamento.

Con riferimento ai flussi molecolari e alla loro relazione con una dimensione cosmica Deleuze scrive:

Il fatto è che il molecolare ha la capacità di far comunicare l'elementare e il cosmico: proprio perché opera una dissoluzione della forma che mette in rapporto le longitudini e latitudini più diverse, le velocità e le lentezze più varie e assicura un continuum, estendendo la variazione ben oltre i suoi limiti formali46.

Il molecolare organizza l’insieme del concatenamento delle ecceità. Il molecolare-ecceità, generato nella distribuzione nomade, rende possibile la visione cosmica, riportata da Uexküll:

Ci immaginiamo il viandante, che sulle colline sabbiose del deserto cerca la propria strada nella notte scura. Le stelle brillano sopra di lui, questi eterni spiriti luminosi, di cui però solo pochi sono ben disposti verso gli uomini. Il giorno, poi, il Sole regna nella sua lucentezza e giustizia. La dea lunare, come i pianeti, è benevola verso gli uomini. Ma quando il Sole e la Luna dileguano, governano le grandi costellazioni. La Terra amata, dove regnano l’ordine e la morale, si sente minacciata dalle forze del caos”47.

Allo stesso modo il lavoro onirico del sogno amplifica le sensazioni fisiologiche immettendole nel flusso della memoria e trasfigura una realtà prosaica in una visione cosmica:

Mi addormentai, e nel mio confuso sogno di affamato vidi il barattolo di latte condensato di Shestakov - un barattolo smisurato con un'etichetta blu come una nuvola. L'enorme barattolo, blu come il firmamento notturno, era forato in mille punti e il latte ne colava fuori e scorreva formando il largo fiotto della Via Lattea. E io riuscivo facilmente a raggiungere il cielo con le mani, e bevevo quel denso, dolce latte stellare”48.

 

 

Note con rimando automatico al testo

1 Cfr. G.Vico, Scienza nuova: “XII. Il senso comune è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il gener umano. […] XIII Idee uniformi nate appo intieri popoli tra essoloro non conosciuti debbon avere un motivo comune di vero. Questa degnità è un gran principio, che stabilisce il senso comune del gener umano esser il criterio insegnato alle nazioni dalla provvedenza divina per diffinire il certo d'intorno al diritto natural delle genti, del quale le nazioni si accertano con intendere l'unità sostanziali di cotal diritto, nelle quali con diverse modificazioni tutte convengono” e cfr. G.Vico,De nostri temporisstudioriumratione, nel quale il senso comune è collocato in una posizione intermedia tra il vero e il falso, generato dal verosimile, e “essendo per lo più vero, assai di rado è falso”.

2 A.Gramsci, nei Quaderni del carcere, sottolinea sia il compito critico della filosofia che, in linea con il suo storicismo, la sua intrinseca connessione col buon senso, che rappresenta un piano intersoggettivo di saperi contenenti in germe il pensiero unitario e organico. Lo stesso pensiero individuale dei filosofi professionisti segna una punta di progresso del senso comune:“Una filosofia della prassi non può che presentarsi inizialmente in atteggiamento polemico e critico, come superamento del modo di pensare precedente e del concreto pensiero esistente (o mondo culturale esistente). Quindi innanzi tutto come critica del «senso comune» […]” (A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, a c. di V. Gerratana, Ed. Riuniti, 1996, p.37 ebook ecfr.(p.27)

3 Cfr. L.Bloy, Eségésedeslieuxcommuns, Mercure de France, Paris, 1901

4 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano, 1997, p.294

5 G.Deleuze, Logica del senso, , Milano, 2009, pp.75 e 76.

6 G.Deleuze, Differenza e ripetizione, ed. cit.pp. 290-291

7 Il termine nel lessico stoico comprende sia le “nozioni naturali” o prolessi, le nozioni innate della mente umana (cioè ricevute dagli Dèi), sia con l’educazione e la vita sociale.

8 Cfr. Stoiciantichi, Tutti i frammenti, a c. di R.Radice, Bompiani, 2002, p. 885 [Bf 1017]

9 Anthony Long,La filosofia ellenistica, Il Mulino, p. 147. Il mondo degli stoici non è quello del zoologo, l’unimondo, ma quello del biologo, il multimondo, il “mondo-ambiente” di J. Von Uexküll e i tagli, che operano sul flusso degli eventi, sembrano trovare un riscontro nel carattere selettivo del divenire proprio dei “mondo-ambiente”:“È uno degli artifici preferiti dalla natura quello di escludere dal mondo-ambiente di un animale gli effetti collaterali provenienti dal mondo esterno, che avrebbero un’azione disturbatrice. Le farfalle notturne, che vengono cacciate dai pipistrelli, possiedono un organo acustico che è completamente sordo a tutti i suoni, eccetto che per il fischio acuto del loro inseguitore” (J. Von Uexküll, L’immortale spirito nella natura, Castelvecchi, Roma, 2014, p.112 ed. epub).

10 Così Epitteto nelle Diatrib e si richiama al foro interiore come all’unicoindovino nella sfera dei doveri e condanna l’uso improprio della divinazione: (Epitteto, Le Diatribe e I Frammenti, par. “Come usare la divinazione”, p.175. Lo stesso Marco Aurelio, nei Ricordi, crede che gli dei inviino oracoli agli uominin e i sogni, per educarli,

11 G.Deleuze, Logica del senso, ed. cit., p.139

12 G.Deleuze, op cit., ed, cit. p.152.

13 Stoiciantichi, Tuttiiframmenti, ed. cit., p. 586.

14 Cartesio, Discorsosulmetodo, trad. I. Cubeddu, Ed. Riuniti, 1996, p. 20.

15 Ne consegue che ci sono alcune idee o nozioni comuni a tutti gli uomini. Infatti (per il Lem. 2) tutti i corpi concordano in alcune cose che (per la Prop. prec.) devono essere percepite da tutti adeguatamente, ossia in modo chiaro e distinto” (Spinoza, Etica, II). Nello Scolio II alla prop. XL della parte II dell’Etica Spinoza chiama il modo di conoscenza proprio delle “nozioni comuni e idee adeguate delle proprietà delle cose” “ragione e conoscenza di secondo genere” (Spinoza, Etica, Bompiani, Milano, 2004, trad. G. Durante, p.112). La ragione si presenta così, rispetto all’immaginazione od opinione, come la facoltà delle nozioni comuni o sistema delle verità eterne concernenti l’esistenza.

16 Spinoza, Etica,ed. cit., V, XXXVIII

17 Cfr. Spinoza, Etica, ed. cit, , II, prop. XXXIII.

18 G.Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerrini e associati, Milano, 1991: v. il cap. quarto, “Indice dei principali concetti dell’Etica”, ad vocem “Idea”.

19 Laddove la geometria non coglie che dei rapporti in abstracto, le nozioni comuni ce li fanno cogliere tali quali sono, cioè quali sono incarnati negli esseri viventi, con i termini variabili e concreti fra i quali essi si stabiliscono. E' in questo senso che le nozioni comuni sono più biologiche che matematiche, e formano una geometria naturale che ci fa comprendere l’unità di composizione della Natura intera e i modi di variazione di questa unità” (G.Deleuze, op. cit., p. 210).

20 Cfr. la Quarta Meditazione di Cartesio, (Meditazioni metafisiche, obiezioni e risposte in Opere filosofiche, vol. 2, Bari, Laterza, 1992, pp.53-4 e passim), dove l’inganno in cui si cade con l’errore è condannato irrevocabilmente come peccato prodotto dall’irruzione della volontà nella sfera propria dell’intelletto.

21 B,Spinoza, Tractatuspoliticus, Lanciano, Carabba, 1918

22 G. Deleuze, F.Guattari, Millepiani, Cooper Castelvecchi, Roma, 2003, p. 72.

23 G. Deleuze, F.Guattari, Millepiani, pp.72-3.

24 G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo ed., Bari, 2011, p.66 .

25 J. Von Uexküll, L’immortal espirito nella natura, ed. cit., p. 12.

26 Il ricordo vorrebbe ottenere una materia che lo riempisse, gli desse peso e, insomma, gli desse realtà. […] Il ricordo-fantasma, materializzandosi nella sensazione che gli dà sangue e carne, diventa un essere che vive una propria vita, un sogno” (H. Bergson, Il sogno. Conferenza tenuta presso l’Institutgénéralpsychologique, 26 marzo 1901, inH.Bergson, L’energia spirituale, Cortina editore, Milano, 2008, p. 200, vers. epub).

27 Un bell’esempio di tale start lo troviamo nel celebre romanzo di Elias CanettiAuto da fé, nel quale percezione corporea, stato emotivo, visione onirica si fondono in un struttura temporale discontinua:“L'angoscia lo assale, la voce di Dio lo libera, lui si allontana e osserva la stessa scena dallo stesso posto. Per quattro volte si fa prendere in giro. Il ritmo con cui si svolgono gli avvenimenti diviene di volta in volta più rapido. Lui sa di essere in un bagno di sudore. Segretamente anela a quell'attimo di respiro che gli viene concesso tra un'emozione e l'altra. Mentre riposa per la quarta volta, lo raggiunge il Giudizio universale. Carri giganteschi, alti come case, come montagne, come il cielo, s'avvicinano da due, da dieci, da venti, da tutte le direzioni all'ara ingorda. La voce, potente e annientatrice, annuncia con scherno: «Questa volta son libri!». Kien lancia un urlo e si sveglia. Dopo mezz'ora non s'era ancora rimesso dall'oppressione e dallo stordimento che quel sogno, il peggiore di cui serbasse memoria, gli aveva procurato.” (E. Canetti, Auto da fé, Adelphi, Milano, 2001, vers. epub, p.91).

28 G. Bachelard, op. cit., p.67.

29 C. G. Jung, Ricordi sogni, riflessioni, Il Saggiatore, Milano, 1965, epub, p.384.

30 C.G. Jung, op.cit. p. 388.

31 VediG.Deleuze, Abecedario, D come desiderio, Derive-approdi, 2014.

32 Ulteriori esempi di fusione tra 1) stato emotivo e manifestazioni fisiologiche (crampi, disturbi del sonno), 2) angoscia, elaborazione del lutto-sonno, 3) sogno-incubo in T. Bernhard e V.Salamov:“ Sono intrappolato in un ciclo infernale, disse. Ogni notte è uno sfacelo, ogni volta che penso, adesso riuscirò a prender sonno, mi ritornano quei crampi e sono costretto ad alzarmi e a camminare su e giù per la stanza. Pressoché tutta la notte non ho fatto altro che camminare su e giù, e non sono riuscito a prender sonno, venivo svegliato di soprassalto da quegli incubi di cui le ho parlato. Durante quegli incubi sogno mia moglie, è una cosa tremenda. Dal giorno della sua morte mi assalgono quegli incubi, ininterrottamente, tutte le notti.” (Thomas Bernhard, Antichi maestri, Adelphi, vers. pub, p.227) dove è lo stesso sogno della moglie morta, cioè il delirio, a determinare l’interruzione del sonno. L'intensità onirica sovverte lo stato di abbandono del sonno. Nel testo di V. Salamov, viceversa, lo stato diabbandono interviene per spegnere la sensazione di freddo e azzerare, sulla base dei ricordi, la sensibilità fisiologica: “Mandai giù qualche frutto e mi addormentai. Da un pezzo avevo imparato ad addormentarmi prima che si riscaldassero i piedi: una volta non ero capace di farlo, ma cosa non fa l'esperienza! Il mio sonno era simile a un tuffo nell'oblio” (V. Salamov, I racconti della Kolyma, Adelphi, 1996, vers.epub, p. 42).

33 All’opposto del divinatore, ilprofeta non interpretanulla: ha un delirio d’azionepiùche un delirio d’idea o d'immaginazione; ha un rapporto con Dio passionale e autoritario anziché dispotico e significante; svela e previene le potenzedell’avvenire, invece di applicareipoteripresenti e passati. (G.Deleuze, F.Guattari, Millepiani, ed.cit., p. 192)

34 Maria Zambrano, I sogni e il tempo, Pendragon, Milano, 2004, p.31:

Il sonno, in quanto occultamento reale, è nell’uomo caduta. E’ caduta abbandonare la realtà e se stesso. Abbandonarsi come corpo tra i corpi, diventare tutto corpo. Cedere e obbedire alla gravità…come se essa si estendesse anche alla vita e alla cosa più vivente della vita: a questo star presentandosi, dichiarandosi e dichiarando”.

35 Sui “luoghi” del sogno v. Maria Zambrano, Il sogno creatore, Bruno Mondadori, 2006 p. 29 sgg.(“Luogo e materia nei sogni”).

36 Ecceità è il nome delle individuazioni concrete degli elementi materiali, cioè delle individuazioni come longitudini (movimento-riposo, velocità differenziali) e latitudini (intensità di affetti, gradi di potenza e di passione), che comandano le metamorfosi delle cose e dei soggetti: “C’è un modo di individuazione molto differente da quello di una persona, di un soggetto, di unacosa o di unasostanza. Gli riserviamo il nome di ecceità24. Una stagione, un inverno, un’estate, un’ora, una data hanno un’individualità perfetta, che non manca di nulla, sebbene non si confonda con quella di una cosa o di un soggetto. Sono ecceità, nelsensochelìtutto è in rapporto di movimento e di riposotramolecole o particelle, potere di intaccare e di venire intaccato.” (G.Deleuze, F.Guattari, Millepiani,ed. cit.p.368). Da sottolineare che le ecceità nell’ontologia deleuziana non sono soltanto concretizzazioni, coordinate spazio-temporali e “messe a punto”, ma rivestono un importante valore ontologico, cioè un potere di azione all’interno dei divenire. I luoghi comuni sono iluoghi di tale cartografia di longitudine e latitudine. Il termine opposto è la mappa, che rinvia all’ontologia dell’analogia tra gli enti e al loro rapporto gerarchico così come il tempo indefinito dell’evento Aìon, tempo del non più e non ancora, sioppone a Chronos, il tempo della misura, che “fìssa le cose e le persone, sviluppa una forma e determina un soggetto” (G.Deleuze, F.Guattari, op. cit. pp.369-370).
L’insieme di queste considerazioni rientra nella modulazione molecolare dell’indagine filosofica.

37 J. Von Uexküll, L’immortale spirito nella natura, cit., p.81.

38 G. Deleuze,F.Guattari, Millepiani,ed. cit. p.338.

39 G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani,ed. cit. p.338.

40G.Deleuze, F.Guattari,op, cit., p.338.

41 Deleuze, F.Guattari, Che cos’è la filosofia, Einaudi, Torino, 1996, p.198.

42 Nelle ecceità tutto è in rapporto di movimento e di riposo, velocità e lentezza tra molecole e particelle (latitudine) e di affetti ( cioè di potenza (azione) e passione) (longitudine). (Cfr. G.Deleuze, F.Guattari, Millepiani, cap. 10, “Ricordi di un’ecceità”. I luoghi comuni si presentano a loro volta come luoghi di tale cartografia di longitudine e latitudine dell’eecceità. Il termine opposto è la mappa, che invia all’ontologia dell’analogia tra gli enti e al loro rapporto gerarchico. Due approcci e due tempi corrispondenti: il tempo indefinito dell’evento Aìon, tempo del non più e non ancora, si oppone a Chronos, il tempo della misura, che “fìssa le cose e le persone, sviluppauna forma e determina un soggetto (op. cit. pp.369-370).

43 Il piano di consistenza contiene soltanto ecceità secondo linee che si incrociano. Le forme e i soggetti non sono di questo mondo. […] Ecceità, nebbia, luce cruda. Una ecceità non ha inizio né fine né origine né destinazione; è sempre nel mezzo. Non è fatta di punti, ma soltanto di linee. È rizoma.” (G.Deleuze, F.Guattari, Millepiani, ed. cit.,p. 371).

44 G.Deleuze, F.Guattari, op.cit., p.370. Si confronti, all’interno della teoria del “mondo ambiente “ il ponte tra soggetti umani e oggetti del mondo esterno, interpretato da Uexküll, con termine musicale”contrappunto” : “.L’esempio piùsemplice ce lo offre il bastone da passeggio, che costruisce un ponte tra la mano e il terreno. Ogni ponte congiunge nello spazio due luoghi distantil’uno all’altro, iqualistanno in un rapporto reciproco del tutto determinate”(J. Von Uexküll, L’immortal espirito nella natura, cit., p. 50).

45 “Ecco come si potrebbe distinguere la linea a segmenti e il flusso a quanta. Un flussomutanteimplicasemprequalcosachetende a sfuggireaicodici, a sottrarsiaicodici, e i quanta sonoprecisamentesegni o gradi di deterritorializzazione sul flusso decodificato“ (G.Deleuze, F.Guattari, Millepiani, op. cit., p.314).

46G.Deleuze, F.Guattari, op. cit.,p.426.

47J. Von Uexküll, L’immortalespiritonellanatura,ed.cit.,p.14.

48V. Salamov, I raccontidella Kolyma, cit., p.119.