Bisogna assumere un atteggiamento positivo

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Bisogna assumere un atteggiamento positivo[*]

 

(cfr. l’introduzione di G. Baptist)

 

Raramente formulato come un adagio, questo luogo comune si incolla come gelatina a tutti i giudizi espressi sulle persone e diffusi da Marie-Claire, Paris-Match, dal Readers Digest, dai comandamenti di Public Relations, dai test attitudinali, dalle opere di teologia (e in maniera eminente dal buon padre Teilhard!), dalle critiche letterarie, dal pensiero (se così si può dire) dei nostri moralisti e dei sociologi più in vista e di maggiore autorità… Ma è tempo di fermarsi per fare un po’ di luce, prima di essere completamente sviati. Giacché quarant’anni fa era in voga un luogo comune la cui formulazione era quasi analoga, ma il senso del tutto differente. Nel 1920 occorreva “essere positivi”. Questa espressione così netta aveva un significato molto semplice: “Si tratta innanzitutto di guadagnare quattrini”. Ciò che non “fruttava” non era positivo. L’uomo positivo era il businessman, il colonialista, colui che “faceva strada”. Non mi dilungherò su questi nobili pensieri: Léon Bloy aveva fatto giustizia in anticipo di questo luogo comune.

Ai giorni nostri, abbiamo approfondito la questione e l’abbiamo portata al livello dei “valori”. Si tratta di considerare le cose con uno sguardo favorevole, di mantenere il cuore e lo spirito massimamente aperti a quanto succede, di esprimere giudizi ottimisti su quanto accade e sulle persone, di assumere un atteggiamento attivo (guarda, guarda, ritroviamo il legame con il “positivo” del 1920) e di partecipare a tutto ciò che si trova a portata di mano. L’uomo, gli uomini, i nostri vicini, ma come sono bravi! La tecnica, ma è meraviglioso! La politica, il più bel mestiere! ecc. Beninteso, non ci si ferma solo a questo anglosassone: oh, nice!, si dimostra, si prova. E nel frattempo si svergogna quell’insopportabile che non è mai contento. Tutti sanno, al giorno d’oggi, che ogni proposizione deve essere formulata in maniera positiva (e mai negativa), che lo spirito critico è uno spirito da poco – che il pessimista è semplicemente tale perché soffre di fegato… che la negatività è solamente la prova che non si è ancora usciti dalla propria adolescenza e che non si è ancora degli adulti. Se, nel nostro mondo, non sei il bel giovane keep smiling, estroverso, sportivo (magari non proprio un paracadutista), che accoglie il progresso ed è soddisfatto del pensiero contemporaneo, allora sei subito sospettato delle peggiori nefandezze. Non è la società ad essere criticabile, né il vicino sgradevole, sei Tu. Tu il negatore (e poi tutti sanno che è il diavolo il vero negatore! Ma ritroveremo i teologi un po’ più avanti!). Tu che rendi cattive le cose e le persone attraverso il tuo atteggiamento critico. E questo risale ai complessi spaventosi di cui non hai saputo sbarazzarti. “Non sarai forse un incestuoso borderline? Eh? La tua diffidenza verso il progresso esprime certamente qualcosa del genere”. È chiaro come il sole. Diffidenza verso il progresso = attaccamento al passato = volontà di tornare alla prima infanzia = attrazione per l’utero materno = incesto. Come volevasi dimostrare. Oggi tutti gli psicologi ti incoraggiano ad avere un atteggiamento positivo verso la vita. Sembra che sia questo l’atteggiamento virile. Tutti i sociologi oggi ti dimostrano che non c’è altra via d’uscita se non la partecipazione. È solamente grazie alla partecipazione positiva al gruppo, alle sue opere e alla sua unanimità che l’uomo si realizza e si completa. Nessuna salvezza al di fuori del gruppo! Colui che assume un atteggiamento negativo rispetto al gruppo, non solo non troverà mai né la felicità né l’equilibrio, ma neanche coltiverà la sua vocazione, che è quella di aiutare gli altri a sbocciare, il che non può accadere se non all’interno di una vita di gruppo armoniosa, dove le buone relazioni sono la panacea psicosociale. Così accediamo al dominio della morale. Il Bene è oggi essere una persona aperta alle realtà positive di questo tempo, è esorcizzare i demoni della negatività, del rifiuto, della passività. Il Bene è accordarsi sui compiti positivi da onorare collettivamente. Laddove si incontrano ostacoli e problemi, il Bene è trovare soluzioni positive, attive e ottimiste. Trascinati da un così bel flusso collettore, è poi necessario che i teologi ci mettano del proprio secondo la loro buona abitudine. Ci chiedono dunque, in nome della Rivelazione cristiana, di avere un atteggiamento positivo verso lo Stato, verso l’uomo, verso la tecnica. Non si tratta più di sostenere argomenti desueti in funzione di teologie sorpassate: basta solamente proclamare il Gran Sì di Dio, la Grande Approvazione di tutte le opere umane. Bisogna ricordarsi che la Creazione è buona. Che la caduta non esiste. Che il mondo evolve secondo una creazione continua, o ancora che evolve seguendo la sua inclinazione verso un compimento che è automaticamente il Regno di Dio, oppure che la sovranità di Gesù Cristo nostro Signore significa che fin da ora tutto è salvo, redento, condotto dal Bene e dalla Verità. Perciò chi se ne infischia dei monaci, degli asceti e dei cenobiti! Perciò chi se ne infischia dei puritani, questi negatori, questi guastafeste! Dovevano essere dei pessimi teologi, giacché non hanno tenuto a mente che la caduta, il Giudizio universale, la dannazione… dimenticando tutto il resto… (Pur non essendo un teologo, sarei tentato di osservare che i nostri teologi attuali a loro volta non tengono a mente che tutto il resto, dimenticando la caduta, il peccato, il Giudizio universale, la dannazione… E se vogliamo rischiare un’idea generale, potremmo dire che si ha un po’ l’impressione che i teologi dimenticano sempre la metà della Rivelazione…).

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È perlomeno curioso constatare che è proprio nel momento in cui i filosofi esistenzialisti ci rivelano la nefandezza dell’uomo e l’assurdità del mondo – nel momento in cui gli psicoanalisti, sollevando il sacro pavimento del conscio, fanno venire alla luce le idre, i rospi, i fantasmi e le larve che abitano nel fondo dell’uomo e che costituiscono la realtà profonda di quest’uomo stesso – è proprio in questo momento che ci vengono a dire che bisogna assumere un atteggiamento ottimista e positivo giacché tutto, in fin dei conti, va molto bene. E senza dubbio già avere l’impressione che c’è qualche contraddizione significa seguire questa dannata abitudine critica e pessimista. Ma forse, al contrario, qui raggiungiamo uno dei sensi profondi del luogo comune, non solo di questo unicamente, ma di tutti. Nella loro grottesca assurdità, nella loro complessiva contraddizione rispetto al reale e nell’attaccamento fanatico degli officianti di questi luoghi comuni bisogna vedere decisivamente un’operazione di magia e di esorcismo. È precisamente perché la realtà non è ciò che si vorrebbe che occorre gridare il suo contrario per annullare il suo potere su di noi, per evocare l’apparizione del contrario desiderabile, per rendere già presente il contrario del reale, attualizzato dalla parola e dalla credenza. Il luogo comune è la formula incantatoria dei nostri giorni fondata su una falsa evidenza, ma grazie alla quale pretendiamo di sfuggire a quanto ci inquieta, ci turba e ci minaccia. È una formula incantatoria perché non ha alcun senso, perché colui che lo ripete non gli attribuisce alcun contenuto effettivo – giacché il luogo comune, pur fondato sull’evidenza, fa parte di un codice collettivo e ottiene la sua forza e il suo senso dall’innumerevole ripetizione per bocca di “legioni”. È una formula magica, perché ha lo scopo di agire e di modificare attraverso un processo misterioso il reale, che pretende d’altronde di esprimere. Il luogo comune contiene sempre un imperativo all’azione, un’indicazione di atteggiamento, e di conseguenza modifica anche veramente qualcosa – una semplice cosa che si chiama uomo.

 

(Traduzione dal francese di Gabriella Baptist)



[*] J. Ellul, Il faut prendre une attitude positive, in Exégèse des nouveaux lieux communs, Paris, La Table Ronde, 2004, pp. 246-250.