Per esorcizzare i demoni della realtà

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Introduzione a Jacques Ellul, Bisogna assumere un atteggiamento positivo

 

«Storico del diritto, sociologo, pensatore della società tecnologica e della modernità, teologo della speranza e della libertà», così è presentato Jacques Ellul (1912-1994) sulla pagina dell’Associazione internazionale a lui dedicata dai suoi allievi, che continuano a curarne l’eredità e a rilanciarne le sfide.[1] Di formazione cosmopolita, inizialmente prossimo al movimento personalista che si raccoglieva intorno alla rivista «Esprit», della quale rappresentava la frangia libertaria, fu allontanato dall’Università di Clermont-Ferrand, di cui era un giovane docente, in seguito alle regole imposte dal Governo di Vichy, in quanto figlio di un cittadino inglese; aderirà in seguito alla resistenza per poi diventare, nel 1943, docente di diritto all’Università di Bordeaux, dove insegnerà fino al 1980 presso l’Istituto di Studi Politici della Facoltà di Legge. Pensatore iconoclasta, profetico e visionario, aveva di fatto previsto (quasi) tutte le crisi che ormai caratterizzano il nostro presente, come suona il titolo di un saggio a lui dedicato da Jean-Luc Porquet.[2] Autore di un’opera imponente che comprende una sessantina di monografie, molte delle quali tradotte nelle maggiori lingue, oltre a circa un migliaio di articoli di argomento teologico, sociologico, storico, giuridico, etico e politico, che in genere invitano alla resistenza intellettuale, alla critica e alla demistificazione dell’ideologia dominante, incitando alla libera scelta e all’impegno civile, l’oggetto principale delle sue indagini era stato in realtà soprattutto il problema della tecnica, a cui aveva dedicato le sue energie migliori.[3]

L’opera dalla quale estrapoliamo il testo qui tradotto, Exégèse des nouveaux lieux communs, riprende già nel titolo Léon Bloy, Exégèse des lieux communs, che già nei primi anni del secolo scorso aveva radicalmente denunciato la mediocrità della contemporanea società di massa, suscitando presto l’ammirazione di Walter Benjamin, come risulta da una lettera del 16 settembre 1924 spedita da Capri a Gershom Scholem, in cui il critico tedesco così commenta il libro di Bloy sui luoghi comuni, da poco acquistato a Napoli: «Forse mai è stata scritta una critica, o meglio una satira, contro la borghesia, più aspra di questo commento alle sue locuzioni».[4] Sulle orme di Bloy, pur sottolineando esplicitamente di non avere l’intenzione né di proseguire la sua ricerca, né di rinnovarla, quello di Ellul è un divertissement ironico e pungente contro gli intellettuali da quattro soldi che si fanno sirene di una società trionfante e aspirano solo a rassicurare la sua cattiva coscienza diffondendo banalità e stereotipi:

Ogni società produce i suoi luoghi comuni, ma come un corpo vivo produce i suoi escrementi. I luoghi comuni sono lo sterco [fiente] della società.[5]

Dalla vivisezione di tali residui si potrà peraltro risalire al nutrimento di una realtà storica, che allora si smaschererà nei suoi sogni e nelle sue affabulazioni, così come nella carne viva delle sue condizioni oggettive, mostrando insieme le tossine espulse e il microbo che rimane, le illusioni collettive e l’aspirazione piccolo borghese del singolo, la mediocrità del buon senso e dei buoni sentimenti e insieme il loro cinismo.

La riflessione su Bisogna assumere un atteggiamento positivo, nel prendere le mosse dalle banalità ripetute sulla stampa d’intrattenimento, si riferisce poi anche a certa vulgata riprodotta fin nella produzione intellettuale di moralisti, sociologi e addirittura teologi: Teilhard de Chardin è esplicitamente nominato già nelle prime righe e l’argomentazione della prima parte si conclude ironizzando su una teologia che rischia di assolvere tutto, volendo così contrastare quell’attitudine gemella e contraria che intende invece tutto condannare. Anche il rimando a Léon Bloy è dichiarato fin dal primo capoverso: se negli anni Venti la “positività” era identificata senz’altro con il successo economico dell’affarista, negli anni Sessanta l’atteggiamento positivo che il luogo comune incoraggia vale analogamente a contrastare quella miseria umana scoperchiata dalla psicoanalisi e dall’esistenzialismo, protagonisti della koinè culturale allora imperante.

Ma l’aspetto più interessante che affiora nella riflessione sull’imperativo attivista e ottimista che si va a decostruire è la considerazione della funzione e del ruolo che hanno tutti i luoghi comuni come rassicurazione scaramantica e apotropaica nei confronti di una realtà che in genere e di regola contrasta i nostri desideri, come formula magica «fondata su una falsa evidenza, ma grazie alla quale pretendiamo di sfuggire a quanto ci inquieta, ci turba e ci minaccia».[6] Allora il luogo comune diventa un salvavita a buon mercato, un modo per cavarsela, pur goffamente, nonostante gli affronti della vita, capovolgendo, sì, e mistificando la realtà, ma anche implicitamente dimostrando che non intendiamo attribuirle alcun potere definitivo su di noi.

 

 
Note con rimando automatico al testo

[1] Cfr. www.jacques-ellul.org. Si veda per esempio il testo che raccoglie i risultati del convegno organizzato nel centenario della nascita: P. Troude-Chastenet (a cura di), Comment peut-on (encore) être ellulien au XXIe siècle? Actes du colloque des 7, 8 et 9 juin 2012, Paris, La Table Ronde, 2014. Tra gli intellettuali che, pur non ascrivendosi direttamente alla sua eredità, nondimeno riconoscono l’ampiezza e lo spessore delle sfide teoriche da lui lanciate, si potrà ricordare l’economista Serge Latouche, cfr. il suo La Mégamachine. Raison techno-scientifique, raison économique et le mythe du Progrès. Essais à la mémoire de Jacques Ellul, Paris, La Découverte-MAUSS, 1995; tr. it. di A. Salsano, La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso. Saggi in memoria di Jacques Ellul, Torino, Bollati Boringhieri, 1995. Si veda anche Id., Jacques Ellul contre le totalitarisme technicien, Neuvy-en-Champagne, Le Passager clandestin, 2013; tr. it. di G. Carbonelli, Jacques Ellul. Contro il totalitarismo tecnico, Milano, Jaca Book, 2014.

[2] Jean-Luc Porquet, Jacques Ellul. L’homme que avait (presque) tout prévu, Paris, le Cherche-Midi, 2003; tr. it. di G. Carbonelli, Jacques Ellul, l’uomo che aveva previsto (quasi) tutto, Milano, Jaca Book, 2008.

[3] Si veda in particolare J. Ellul, Le Système technicien, Paris, Calmann-Lévy, 1977; tr. it. di G. Carbonelli, Il sistema tecnico. La gabbia delle società contemporanee, Milano, Jaca Book, 2009. Il suo primo libro sulla questione – cfr. Id., La Technique ou l’enjeu du siècle, Paris, Armand Colin, 1954; tr. it. di C. Pesce, La tecnica rischio del secolo, Milano, Giuffrè, 1969 – era stato molto apprezzato da Aldous Huxley, che l’aveva fatto tradurre in inglese negli Stati Uniti, dove presto era diventato un vero e proprio bestseller filosofico. 

[4] J. Ellul, Exégèse des nouveaux lieux communs, Paris, Clamann-Lévy, 1966. L. Bloy, Exégèse des lieux communs, a cura di J. Petit, in Œuvres de Léon Bloy, vol. VIII, Paris, Mercure de France, 1968; tr. it. di G. Auletta, Esegesi dei luoghi comuni, Milano, Edizioni Paoline, 1960. Una prima edizione dell’opera di Bloy era stata pubblicata nel 1902, nel 1913 era poi seguita una Nouvelle série, entrambe pubblicate presso la casa editrice Mercure de France di Parigi. Cfr. in proposito W. Benjamin, An Gershom Scholem. Capri, 16.9.1924, in Gesammelte Briefe, vol. II: 1919-1924, a cura di C. Gödde e H. Lonitz, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1996, p. 487; tr. it. di A. Marietti e G. Backhaus, Lettere 1913-1940, Torino, Einaudi, 1978, p. 101.

[5] J. Ellul, Exégèse des nouveaux lieux communs, Paris, La Table Ronde, 2004, p. 13.

[6] Ivi, p. 249.