Paolo Virno, Parole con parole. Potere e limiti del linguaggio

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Paolo Virno

Parole con parole.
Potere e limiti del linguaggio

 

 

Roma, Donzelli, 1995, pp. XII-164,
ISBN 9788879891196, € 18,08

 

 

 

 

 

Al modo del possibile è l’ultimo capitolo di un importante lavoro del filosofo Paolo Virno, Parole con parole. Potere e limiti del linguaggio, edito da Donzelli nel lontano 1995 e poco importa se nello spazio di una breve nota si comincia dalla fine, verso cui convergono le diverse parti del libro. «Nel suo insieme, la riflessione sul “possibile”, dovrebbe rendere ragione del cruciale rapporto tra il fatto-che-si parla e ciò-che-si-dice (ovvero tra “inserzione del discorso nel mondo” e discorso sul mondo)» (p. 122). Il possibile apre varchi extra-linguistici, perfora la divina natura della parola, rinvia alla caducità e alla mutevolezza della realtà sensibile provocando la reciproca convertibilità tra l’evento della parola e il mondo non linguistico.

Scrive Virno: «Nella metropoli contemporanea – esattamente come nella lingua, secondo Ferdinand de Saussure – tutto è necessario o possibile, nulla semplicemente ‘reale’. L’esperienza più comune, nelle strade o al lavoro, si dipana biforcandosi tra condizioni necessarie – prestabilite da scienza, tecnologie, convenzioni astratte – e sistemi di possibilità […]. Un evento, un incontro, un conflitto sono sospesi tra assiomi inappellabili e labilissime contingenze» (p. 122). L’irruzione del possibile e del necessario intese come due modalità del discorso della logica modale per le quali il predicato non appartiene mai semplicemente al soggetto significa la messa in crisi della concezione denotativa, ossia assertoria del linguaggio. Come è noto, Virno ha elaborato un’antropologia linguistica di matrice deleuziana attraverso un armamentario teorico che va dalla logica alla metafisica, dalle neuroscienze alla psicoanalisi per esibire il carattere radicalmente finito della parola umana.

La tesi del libro è portare a fondo una critica radicale della concezione denotativa del linguaggio, quella per la quale, tanto per intenderci, a ogni “nome” corrisponde un “nominato”; di conseguenza, l’essenza del mondo è inafferrabile e sbagliano i filosofi metafisici, che pretendono di stabilire un rapporto tra la parola e l’oggetto corrispondente. L’Autore, discutendo con perizia filologica e acume teoretico su denotazione e significato, autoriferimento e metalinguaggio, nomi propri e afasia, si serve di un’analogia: «come Feuerbach identificò nella teologia la proiezione trasfigurata della realtà mondana, così qui si vorrebbe ravvisare il profilo dell’esistenza sensibile e finita nelle più rarefatte costruzioni della filosofia del linguaggio» (p. VII). Molti sono i filosofi di cui si parla nel testo (Hegel, Russell, Platone, Anselmo, Kant e Leibniz) ma si tace di uno, ossia di Wittgenstein, perché l’autore del Tractatus è sempre presente dalla prima all’ultima pagina del libro.