Giorgio Mele, Per la scuola di tutti. Breve storia della scuola italiana

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Giorgio Mele

Per la scuola di tutti.
Breve storia della scuola italiana

Roma, Ediesse, 2014

151 pp., ISBN 9788823018730

12,00

 

 

 

 

La scuola pubblica è la scuola di tutti e la scuola pubblica è un pilastro della società civile. Dalla Rivoluzione francese, ovvero dall’Illuminismo, l’idea che l’istruzione sia base ed essenza della democrazia è diventata “normale”; l’eguaglianza dei cittadini trova uno dei suoi compimenti nella possibilità data a tutti di avere un’istruzione, e cioè perlomeno di saper leggere, di saper scrivere, di saper fare i conti, e quindi di poter gestire la propria vita in modo consapevole e attivo.

Ogni stato democratico occidentale all’atto della sua fondazione ha dovuto fare i conti con le proprie strutture educative; nel 1861 l’Italia si è trovata davanti a una popolazione che era per tre quarti (il 75%) analfabeta, con enormi squilibri territoriali legati alle diverse storie dei vari stati che il Regno di Sardegna andava integrando. La scuola pubblica era giocoforza uno dei punti nevralgici che dovevano nel tempo strutturare e unificare il Paese.

A scrivere una storia sintetica della scuola pubblica italiana nel volume Per la scuola di tutti, si è provato un filosofo e uomo politico, Giorgio Mele, per due volte impegnato in qualità di senatore nella Commissione Istruzione del Senato. La struttura e la stesura del libro sono basate su una grande chiarezza espositiva, risultato già notevole vista la complessità della materia, immersa e avvolta in problematiche legali, concettuali, amministrative ed economiche.

La scuola italiana nacque nel 1861 appoggiandosi alle strutture della scuola del Regno di Sardegna, che era di fatto una scuola avanzata per l’epoca. L’obiettivo principale era di dare a tutti un’istruzione minima e questo si ottenne grazie agli sforzi, in particolare, del ministro Michele Coppino, da cui prese nome la legge che lungamente regolò l’istruzione in Italia. Un altro problema fu quello di garantire una scuola laica, senza per questo entrare in conflitto con la morale cattolica del paese; su questo argomento Mele ha posizioni nette e rigorose – condivise in pieno da chi scrive – che vedono nelle ingerenze della Chiesa e nel continuo “pasticcio” legato alle scuole private cattoliche un problema serio e mai risolto. Mele sottolinea come i cattolici arrivassero ad attaccare l’obbligo scolastico fino alla terza elementare, perché istillava nozioni opposte a quella della religione (p. 20).

I primi capitoli del libro ovviamente raccontano gli sforzi dei governi di fine Ottocento e inizio Novecento, sia di destra che di sinistra, per organizzare la scuola, e accennano alla restaurazione, al conflitto sociale e al crescere di squilibri interni alla giovane nazione italiana. Sembra incredibile oggi leggere le affermazioni di uomini politici che di fatto manifestano perplessità davanti al principio dell’obbligo scolastico, per sua natura legato al concetto di eguaglianza e proprio per questo messo in discussione da chi nella “democrazia” credeva molto poco.

Il percorso storico descritto da Mele è denso di numeri, di statistiche e di richiami alle varie leggi e decreti che assestavano e determinavano la struttura scolastica. La Prima guerra mondiale, preceduta dalla crisi economica degli anni Dieci, serve all’autore per fare il punto della situazione; nel dopoguerra vi è anche «un sostanziale mutamento del panorama politico in primo luogo con la nascita del Partito Popolare Italiano, d’ispirazione cattolica, nel gennaio 1919» (p. 39). I popolari spinsero per una maggiore presenza religiosa, contestando l’eccessiva laicizzazione della scuola com’era uscita dal periodo di inizio secolo. Nel 1921, Benedetto Croce fu nominato ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Giolitti; in quello stesso anno si verificava la scissione tra socialisti e comunisti. La struttura della scuola pubblica era stata fino ad allora soggetta a continue modifiche, tra cui non va dimenticata la posizione laterale delle scuole professionali, collegate non con il ministero dell’Istruzione ma con quello dell’Agricoltura, industria e commercio.

Una profonda riforma della scuola avvenne solo quando «sull'Italia si abbatté la notte totalitaria e tutto lo Stato centrale e periferico fu conformato all’ideologia fascista». Se nel ’21 il ministro era stato Croce, ora fu la volta di Giovanni Gentile, anch’egli filosofo di fama internazionale, il cui nome è ormai legato più alla riforma scolastica del 1923 che all’opera saggistica.

La riorganizzazione decisa da Gentile riguardò tutti i gradi dell’istruzione dalla scuola materna all’università, ma le sue parti più significative furono l’istituzione dell’esame di stato e la riorganizzazione istituzionale e programmatica della scuola secondaria. L’obiettivo dichiarato di Gentile non era quello di portare la scuola a tutti. Ma quello di rendere la scuola più selettiva, aristocratica perché doveva selezionare i migliori. […] La legge del 1923 si fondava sulla centralità della cultura classica e umanistica e sulla subalternità della cultura tecnica e professionale (p. 43).

Mele non manca di sottolineare il peso formale ed effettivo che la riforma Gentile affidò all’educazione religiosa.

I vari periodi scolastici erano scanditi da esami, e anche l’università, dopo il rilascio del titolo accademico, prevedeva un esame di stato per l’accesso alle professioni. Esame di stato era anche l’esame finale delle superiori, creato nella scuola pubblica dopo che era stato introdotto nelle scuole private allo scopo di uniformarle appunto alle pubbliche.

La riforma divenne effettiva nonostante qualche polemica e si confermò come uno degli assi centrali del Fascismo, regime classista per definizione e conservatore sotto ogni aspetto. La scuola, culla delle nuove generazioni, è sempre il luogo primario in cui una dittatura fa i conti con il futuro; il Fascismo fu creativo ed efficiente non solo nelle strutture educative, ma anche in quelle parascolastiche, tra cui fu essenziale l’Opera Nazionale Balilla, di fatto una sorta di servizio militare obbligatorio per ragazzi.

Dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del Fascismo, la nuova repubblica italiana si dotò – grazie a due anni di lavoro dell’assemblea a ciò deputata – di una Costituzione nuova e tuttora in gran parte vigente. Mele analizza e racconta con dovizia di particolari gli articoli legati al tema educativo, tra cui naturalmente quello della presenza della Chiesa nello Stato, con la più che discutibile conferma dei Patti Lateranensi, il cui riflesso nelle strutture scolastiche è notevole soprattutto per quanto riguarda l’esistenza delle scuole private, possibile solo se non gravano sui costi dello Stato.

In effetti, Mele evidenzia le contraddizioni implicite nei vari enunciati della Costituzione, che ora sembra piegare verso una laicità di fondo, poi torna sul concetto di religione di Stato, ora accetta che esistano scuole private, poi riafferma con una frase bellissima che «La scuola è aperta a tutti».

Tra il 1948 e il 1962 i governi democristiani non fecero che aggiustare alcuni punti della struttura educativa, ma senza in alcun modo ristrutturare la scuola gentiliana nata nel Fascismo. L’obbligo scolastico era limitato alla scuola elementare, e la scuola media era ancora destinata a quanti volevano proseguire gli studi.

Nel 1962 il partito socialista per la prima volta appoggiava un governo democristiano e nelle sue richieste poneva una riforma scolastica che unificasse la scuola media, elevando l’obbligo ai 14 anni. Fu la prima vera riforma dai tempi di Gentile; il ritardo culturale della situazione italiana è esemplificato dai dati statistici, che ancora vedono negli anni Sessanta una popolazione di analfabeti che arriva quasi al 10% della popolazione.

La cronaca degli anni Sessanta è per Mele una narrazione densa di fatti, di proteste che – dai primi movimenti in California – trovano la loro apoteosi nel maggio francese. Sono gli studenti occidentali che si fanno carico di pretendere una rivoluzione totale, nel nome di una società più giusta e democratica che si basi su una scuola più giusta e democratica.

Mele analizza il movimento studentesco e le varie dispute parlamentari che ne seguirono, precisando infine un aspetto non sempre ricordato, che delle richieste strutturali del Sessantotto in pratica quasi nulla fu accettato, a parte la liberalizzazione dell’accesso all’Università e l’alleggerimento dell’esame di maturità.

Per seguire la posizione dell’autore su ciò che accadde in seguito, basti questa citazione: «Spesso la ricostruzione degli anni 70 visti come il decennio della violenza serve solo a coprire il fatto che quello fu un periodo di grandi conquiste sociali, oggi messe in discussione» (p. 93). Sono gli anni delle BR e del terrorismo, culminati nell’omicidio di Aldo Moro del 1979.

Gli anni Settanta sono anche gli anni dell’applicazione dei Decreti Delegati, ovvero di quel cambiamento nella gestione delle cose scolastiche che al principio sembrò innovativo, ma che nel tempo si risolse in un ulteriore ispessimento delle burocrazie interne. Dal 1972 la scuola italiana vede attivati al suo interno e nei rapporti col territorio alcuni organismi collegiali che segnavano l’ingresso nella gestione della scuola di genitori e studenti; in realtà, gli organi di consulta distrettuale e provinciale non hanno mai funzionato e le strutture interne hanno un ruolo consultivo e non amministrativo, se si eccettua parzialmente il Consiglio d’Istituto.

Si sono poi accumulate in quegli anni le piccole leggi di riforma, come quella che ha introdotto il tempo pieno nelle scuole medie, quella che ha eliminato gli esami di riparazione nelle scuole medie inferiori e ha spinto le scuole ad aprire i cancelli alle esigenze di quartiere, e soprattutto quella che ha consentito la frequenza dei corsi regolari ai portatori di handicap.

Passando per il movimento del ’77, che fu nei fatti osteggiato anche dai partiti di sinistra, si giunge infine al cambiamento epocale nella società occidentale determinato dalle scelte economiche degli anni Ottanta: l’avvento del neoliberismo che ha i suoi propellenti nei governi inglesi di Margareth Thatcher e nella presidenza americana di Ronald Reagan. La posizione di Mele è fortemente critica e mette il dito nelle piaghe sociali che l’ideologia delle privatizzazioni e del mercato libero ha creato.

Ma gli anni ’90 per la scuola italiana sono densi di novità legate al primo governo Prodi e poi a tutti i successivi, di centrodestra come di centrosinistra. Nascono le sperimentazioni, che sopperiscono all’immobilità della programmazione globale, e rapidamente gran parte degli istituti si differenziano con vari indirizzi, creando varietà ma anche confusione; sono aboliti gli esami di riparazione; la scuola elementare cambia finalmente struttura e abolisce il maestro unico; l’università introduce le lauree brevi, con il famigerato sistema del 3+2.

I governi di Berlusconi negli anni 2000 riportano indietro alcune posizioni volute dai predecessori, e, cancellando le riforme degli uni, vengono fatte passare le nuove riforme degli altri. Il ministro Moratti e poi il ministro Gelmini si incaricano di una riforma che tocca veramente la struttura gentiliana e che abolisce le sperimentazioni, unifica vari settori, sposta alle regioni i corsi professionali. È storia recente e va seguita con attenzione perché implica e definisce la scuola italiana attuale. Ma un punto va ricordato in questa storia recente, ed è l’incredibile taglio di quasi 8 miliardi di euro che il ministro Tremonti impose alla Pubblica Istruzione nel periodo 2009-2013.

La scuola è di tutti ed è un cardine della società democratica: un traguardo e uno slogan che bisognerebbe ripetere sempre. Questo libro esplicito, chiaro ed esauriente riesce a farci capire, purtroppo, quanto in Italia siamo ancora lontani da quella meta.

 

Indice:

La scuola e l’unificazione dell’Italia

La crisi di fine secolo

L’università

Giolitti e 1o sviluppo della scuola di base

Verso il Fascismo

La Costituzione della Repubblica italiana

Senza oneri per lo Stato

Libertà delle scuole o libertà nella scuola?

La scuola nella ricostruzione

Gli anni Sessanta

Finalmente la scuola media unica

Il ’68!

La scuola materna

Gli anni Settanta: la partecipazione

Le 150 ore

Il ’77

Gli anni Ottanta e Novanta: riflusso e galleggiamento

L’Università, la legge Ruberti e la pantera

La formazione, l’Europa, il primo governo Prodi

Parità scolastica

L’Università verso l’Europa?

Dopo il centrosinistra la Moratti

Scuola privata, insegnanti di religione

L’ultimo centrosinistra

L’ultimo governo Berlusconi e l’onda

Cenni conclusivi