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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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Marco Fortunato, L’offesa, la colpa, il fantasma.

 

 

 

 

Marco Fortunato

L’offesa, la colpa, il fantasma.
Muovendo da
Caducità di Freud

Prefazione di Elio Matassi

 

Genova, il melangolo, 2013, pp. 195,
ISBN 9788870189193, € 22,00

 


 

 

 

 

Marco Fortunato coniuga in questo libro l’offesa, la colpa e il fantasma, esplorando con grande rigore analitico ed intelligenza ermeneutica i loro effettivi rapporti e i loro transiti interdisciplinari. Si tratta di tre nozioni complesse che rientrano tra quelle più dibattute soprattutto in ambito psicoanalitico e trovano una propria collocazione esplicita in un celebre testo di Freud, Caducità, del 1915, pubblicato a Stoccarda un anno dopo nel cuore della catastrofe della Grande guerra che «depredò il mondo delle sue bellezze».

Nel tardo autunno, o all’inizio dell’inverno del 1915, Freud scrive di una passeggiata «attraverso una contrada estiva in piena fioritura» avvenuta nell’estate prima del conflitto mondiale, dunque nel 1913. Freud è in compagnia di Rainer Maria Rilke, il poeta delle Elegie Duinesi e di Lou Andreas Salomé, che era stata l’amica prediletta di Friedrich Nietzsche. Tema della conversazione è la caducità, ossia il valore della caducità, l’evidenza che il nostro dominio sul mondo è precario e la certezza che ogni cosa perirà. Freud avverte in questo splendido testo che la percezione della caducità anticipa lo choc della morte, dell’inabissarsi di tutte le cose, ma allo stesso tempo si può intravedere una nuova luce che le avvolge e le protegge. «Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata le aggiunge un nuovo incanto».

Il volume di Fortunato prende le mosse da Caducità, isolando dal testo freudiano «i tre più salienti approcci speculativo-esistenziali al problema-vulnus della caducità/della mortalità: la prima posizione è la consolazione metafisico-religiosa, la seconda posizione è la consolazione laica e la terza posizione è la non consolazione. Proviamo ad esplorare ciascun approccio, evidenziando punti di forza e punti di debolezza, nonché il punto di vista dell’Autore. Certamente la prima posizione è quella classica di tanta filosofia e di tanta teologia, perché guarda oltre/dietro/al di sopra della caducità, aggirandola con un richiamo alla dimensione trascendente della realtà, «ad un alternativo binario di realtà, un livello della redenzione, della salvezza e della pienezza che smentisca - neutralizzi - rovesci quel dramma e che sia, esso sì, la vera ultima parola» (p. 24). Il positivista, l’illuminista, l’ateo Freud, osserva Fortunato, non è tenero con questa posizione ritenuta non seria e poco rispettosa sul piano logico. Si tratta di una posizione ingenua che segna in maniera fin troppo evidente «il trionfo del desiderio e della speranza sull’esperienza e sulla ragione, del sogno sulla dura effettualità, del principio di piacere su quello della realtà» (p. 26).

Ma per il grande filosofo russo Šestov, che Fortunato interroga nella discussione della prima posizione, questo cosmo della ragione è destinato a rivelare il suo carattere mendace e a crollare di fronte ad alcune esperienze decisive dell’esistenza che ci toccano personalmente e ci restituiscono alla nostra realtà di individui concreti, e quindi alla nostra paura. Tale è l’esperienza del dolore, legata alle disgrazie, alla malattia, alla vecchiaia, all’esperienza della morte, la cui deformità mostruosa e le cui sofferenze ci costringono a dimenticare ogni cosa, comprese le nostre verità evidenti, e a partire alla ricerca di una verità nuova. Queste esperienze, infatti, ci aprono gli occhi su un universo di dis-armonie, di caos che recidono i legami con la nostra precedente esistenza e ci inducono a pensare che è il momento di compiere il salto ad un’altra metafisica, o, in altri termini, ad un’altra ontologia. Nessuna scienza può venire a capo dell’enigmaticità dell’esistenza, sostiene Šestov richiamando echi pascaliani e kierkegaardiani. Semmai, l’uomo deve trarre dalla disperazione estrema l’energia e l’audacia per resistere al male e provocare il suo ribaltamento in un bene ancora più grande perché ripristini la sua piena padronanza e la sua piena felicità, «qui nel mondo reale creato da Dio» (p. 33).

Il ritmo di scrittura di Fortunato è serrato, dialettico, in specie quando, dopo aver illustrato la tesi, la ribalta, ne coglie i lati più problematici. Al bel raccontare di Šestov egli contrappone la linea Spinoza-Nietzsche, cui si aggiunge anche il Leopardi del Cantico del gallo silvestre,secondo cuilo scenario del completo annientamento del mondo lascia ben poco sperare nella felicità o infelicità dell’uomo. La seconda posizione che Fortunato isola nel testo freudiano è quella laica e sobria rispetto al problema-vulnus della caducità e mortalità di ogni cosa. Tutt’altro che un’umiliazione, la caducità è un dato di fatto, una verità inconcussa che semmai ha il valore della rarità. Lo stesso Freud sembra riconoscerlo quando stabilisce una superiorità in fatto di valore del caduco/del mortale rispetto a quello che non lo è. Infatti Freud, durante la passeggiata, si accorge del turbamento del giovane amico e gliene chiede la ragione. Il giovane poeta gli risponde che è diventato triste al pensiero che tutta quella bellezza intorno presto perirà con l’inverno. Freud rovescia l’interpretazione del poeta. Non è la bellezza che perirà, ma è l’uomo che scomparirà a causa della sua condizione umana. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna a fiorire ogni anno dopo l’inverno e questo ritorno in rapporto alla durata della vita è un eterno ritorno. Caducità dunque davanti all’eterno alternarsi delle stagioni: l’uomo, al contrario delle piante, non rinasce in primavera dopo la sua morte e un doloroso conflitto gli impedisce, dunque, di godere pienamente della bellezza della vita.

Ciò che Freud – osserva l’Autore – non può approvare, anzi sembra giudicare con severità, è che l’individuo-uomo tenga fermo, con rammemorazione commossa e addolorata, a un oggetto d’amore quando ormai è finito/perduto/morto in quanto realtà rilevabile e tangibile (p. 86). La terza posizione è la non consolazione,di gran lunga quella preferita dall’Autore, al punto che occupa la metà del volume. L’argomentazione è sorretta da una sorta di «‘gusto’ paranarrativo» di cui parla Elio Matassi nella breve e agile prefazione al volume. Il lettore è invitato ad inoltrarsi in un repertorio di testi non solo filosofici, ma anche narrativi e filmici, che meglio danno conto di quella «pre-visione della rovina, del destino di caducità e di morte cui è consegnato il grande e il bello» (p. 95).

Il giovane poeta di Caducità che rivela i sicuri tratti di Rainer Maria Rilkenon potrà mai ricavare piacere dall’incontro con tutto ciò che è bello e la sua «Stimmung melanconica è-non può che essere permanente e assoluta, inconsolabile, perché qui, chiunque e qualunque cosa si incontri-si veda-si tocchi (verrebbe fatto di dire: ovunque ci si giri), si incontra-si vede-si tocca sempre e comunque un caduco/caducità, un mortale/mortalità» (p. 95). Del resto il grande tema delle rilkiane Elegie Duinesi è che dallo spaventoso e, nel terribile di ciò che rapidamente muta, si possono costruire le ragioni della nostra esistenza. A questo punto si può dire «che siano state poste le premesse necessarie all’espressione della nostra posizione circa l’idea del poeta di Caducità secondo cui le cose-gli individui sarebbero svalorizzati dalla loro finitezza/dalla condanna a morte che è emessa contro di loro» (p. 136), ossia esposte all’offesa del tempo.

Il lettore in questo punto del libro è affascinato da un’analisi sottile e raffinata del film Dimenticare Venezia, di Franco Brusati (1979), che Fortunato eleva a modello esemplare per questo tipo di considerazioni. Il film racconta una comunità tutta al femminile che vive in una fattoria veneta; ci sono due giovani donne, Claudia e Anna, zia Marta e la balia/servitrice della casa, l’anziana Caterina. Le quattro donne convivono senza grossi problemi. Anna è in pratica colei che si occupa della fattoria, dei raccolti e della gestione vera e propria della casa, che è di proprietà di Marta, una ex cantante lirica a riposo dal bel passato e dal carattere gioviale. Claudia invece è un’orfana accolta nella casa e che lavora come maestra insegnando ai bambini del vicinato e gestendo anch’essa la fattoria, alla quale presta la sua opera. L'efficace titolo rimanda a Venezia, città cristallizzata nella storia e nella memoria, «terra maliosa ma potenzialmente paralizzante dei ricordi» (p. 137). Lo snodo principale del film è probabilmente questo, il momento cruciale in cui il peso dei ricordi deve fare i conti con il presente, con l’età adulta dei protagonisti che oscuramente sentono di dovere un pesante tributo proprio alla loro adolescenza. Claudia, la più giovane, vorrebbe che tutto restasse così per sempre, che nulla mutasse più per loro, che non si verificasse più alcun cambio di scena. Il tempo, però, non lo si ferma, i ricordi devono restare tali per poter vivere il presente. Ma è un bene che l’uomo esiga immortalità e unicità o l’immutabilità del tempo? Non si rende forse conto di commettere un errore di valutazione, di contrarre la colpa, la massima colpa? L’Autore sviluppa su questo punto un complesso ragionamento che muove dall’antico detto di Anassimandro fino ad Heidegger passando per Romano Guardini e Simone Weil. A rimuovere ogni residua traccia di violenta affermazione dell’uomo è proprio Weil, che si è sottratta a qualsiasi sospetto di colpevolezza, lasciandosi morire fino all’in-esistenza, assecondando così la propria estinzione fisica ad appena trentaquattro anni.

Infine, resta il fantasma, il terzo termine del trittico che dà il titolo al librodi Fortunato. Qual è la natura del fantasma? L’inconsistenza, la fuggevolezza, l’inafferrabilità, l’evanescenza, l’invisibilità, tratti che aboliscono essenzialmente «la pressione percettivo-sensoriale, che è la componente principale della generale e complessiva pressione e fatica della realtà» (p. 182). Il fantasma impegna la vista, sia pure solo quella interna, e scorre nel silenzio di un solitario auto-ascolto, come nel caso in cui si riceve senza preavviso un telegramma che preannuncia l’imminente visita di un amico perso di vista da tempo. Quello del fantasma o dei fantasmi è il tema caro a tanto cinema e a tanta letteratura (da Visconti a Borges, da Marias a Cardarelli), come Fortunato evidenzia con raffinati ed efficaci commenti ad Un cuore così bianco, il romanzo di Marias, a Funes o della memoria, il celebre racconto di Borges, a Passato, la struggente poesia di Vincenzo Cardarelli, o a La tragedia dell’Infanzia di Savinio. Richiami puntuali e stringenti per esplicitare quella che l’Autore chiama l’esperienza del fantasma, che si situa «fra le sole forme e situazioni sublimi di trascendenza divina – di permanenza nel mondo che però lo eccede, di uscita dal mondo che però rimane nel mondo – possibili e “frequentabili” dall’uomo, accanto al dolore, alla dis-interessata e in-utile dépense, al sacrificio di sé e a certe folgorazioni offerte dall’arte» (p. 186). Si chiude qui l’indagine che Marco Fortunato ha condotto in maniera eccedente ed estrema rispetto ai canoni tradizionali dell’argomentazione filosofica, il cui significato resta tutto da cercare, dentro la trama o l’altrove di una scrittura che mima l’im-possibile oblio.