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Azioni Parallele

NUMERO  7 - 2020
Azioni Parallele
 
Rivista on line a periodicità annuale, ha ripreso con altre modalità la precedente ultradecennale esperienza di Kainós.
La direzione di Azioni Parallele dal 2014 al 2020 era composta da
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La guerra secondo Francisco Goya
di A. Bonavoglia
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Berlino. Topografie della memoria

 

Veduta dall'alto di Topographie des Terrors

 Il Monumento agli ebrei d’Europa assassinati di Peter Eisenman, inaugurato a Berlino nella primavera del 2005 in occasione del 60° anniversario dell’Olocausto e della fine della Seconda guerra mondiale, venne ad affiancarsi idealmente all’altra grande iniziativa realizzata nella capitale tedesca, la costruzione nel 1998 del nuovo Museo Ebraico, progettato da Daniel Libeskind. In seguito, nel 2010, sulla base di un progetto nato nel 1987 le cui primarie intenzioni erano la catalogazione, la documentazione e la pubblicazione di ogni atto del regime hitleriano nei suoi dodici anni di vita, il Senato di Berlino ha aperto una terza struttura fisica legata alla memoria, il Museo Topographie des Terrors,sulla Niederkirchnerstraße 8, là dove si trovavano la sede centrale della Gestapo e il comando delle SS. Le storie progettuali ed esecutive di questi tre monumenti sono complesse, tra concorsi conclusi e poi riaperti, costi sempre troppo alti, progettisti non confermati o divisi tra loro, ma i risultati sono straordinari e sono tuttora premiati da un numero di visitatori altissimo. La capitale tedesca sembra attirare folle di turisti soprattutto desiderosi di vedere e ricordare le tracce del Muro, gli orrori del nazismo e le nuove grandiose architetture amministrative: uno strano connubio.

In verità, la Germania ha scelto di ricordare, e ricordare vuol dire soprattutto non dimenticare. Gli orrori del nazismo sono presenti nella coscienza del popolo tedesco, che cerca ancora oggi di capire che cosa ha potuto permettere lo svolgersi di un simile atroce percorso, una topografia, appunto, del terrore e dell’omicidio di massa. La capitale oggi sfavillante e riunificata rivela ed espone le cicatrici della sua divisione – sfregi curati ma sempre in vista – e non nasconde ciò che fu abbattuto e cancellato, dopo i bombardamenti bellici, nel periodo di dominio sovietico tramite la DDR. Scomparsi il palazzo imperiale, la cupola del Reichstag, la nuova grandiosa Cancelleria di Hitler, le sedi dei Ministeri, la sede della Gestapo, oggi i berlinesi ricostruiscono (come la cupola e in futuro lo Schloss) o rievocano le immagini o ricostruiscono i frammenti di quel mondo e di quel tempo maledetti. Come è tipico della cultura tedesca, un enorme sforzo è rivolto alla documentazione e alla catalogazione, che razionalizza e trasforma il passato in un terribile archivio della memoria.

Topographie des Terrors sorge nell’area sotto il livello stradale che fungeva da fondamenta per gli uffici della Gestapo e delle SS. Siamo a due passi da Potsdamer Platz, affiancati al Martin-Gropius-Bau e sul versante orientale della città divisa; un frammento autentico del Muro fa da sponda al museo, sulla strada. L’accesso è libero e ciò che è esposto è semplicemente la narrazione degli anni del regime nazista; il museo peraltro organizza seminari, ospita una biblioteca e rende partecipi dell’esistenza di una Fondazione che lo gestisce. Perduto nella burocrazia il progetto poderoso di Peter Zumthor, l’attuale struttura semplice e giustamente anonima è stata progettata da Ursula Wilms e da Heinz W. Hallmann. La visita informa e rivela, tramite tabelloni, fotografie, filmati, la storia di un orrore.

VIDEO del Museo, incorporato da YouTube

I lavori di Libeskind e Eisenman sono legati invece, nel panorama unico e sensazionale dell’architettura della nuova Berlino, a un’interpretazione espressionista e drammatica dell’arte in genere. Dopo le informazioni meticolose di Topographie des Terrors, è quindi il momento delle emozioni e della meditazione.

Per la pianta del nuovo Museo Ebraico, sua prima grande realizzazione, Daniel Libeskind ha immaginato una saetta, un fulmine, una gigantesca scarica elettrica a forma di zigzag, una linea a suo dire derivata dalla stella di Davide; nel grande volume creato su questo zigzag nulla ha l’aspetto consueto di una parete, di una finestra, di un cortile. Le simbologie e i numeri usati come elementi generatori, secondo un metodo caro tanto alla cultura ebraica quanto a quella musicale, si perdono sicuramente nella normale utilizzazione dell’architettura, ma contribuiscono al carico di fascinazione e di mistero.


Veduta laterale del Museo Ebraico

L’allestimento del museo, nei piani superiori piuttosto abbondante e ricco di oggetti ed immagini legati a una chiara vocazione didattica e informativa, ha nascosto e mascherato molte scelte spaziali, ma non ha cancellato l’aura che avvolge e penetra l’edificio. Dal piano sotterraneo, dove si trovano spazi di informazione e di incontro, si accede a una torre vuota e a un giardino, che quindi fuoriescono a livello del terreno senza essere accessibili dall’esterno; la Torre commemora l’Olocausto, un vuoto della ragione tagliato da ferite luminose, e il Giardino con i suoi 49 pilastri cavi di cemento, disposti su una griglia inclinata e ricolmi di terra per nutrire gli alberi d’olivo piangente piantati dentro, ricorda l’Esilio. Questa idea di oggetti geometrici disposti regolarmente a formare stretti percorsi che appaiono labirintici, ma che sono in realtà del tutto aperti, è la stessa di Eisenman nel suo Monumento.


Shalechet (Foglie cadute in ebraico), di Menashe Kadishman

Al piano terra del Museo si propone il vuoto come esposizione; spazi obliqui e tagliati da aperture irregolari conducono a uno stretto cortile chiuso tra pareti di cemento. Percorrendo il vuoto della galleria, un rumore misterioso e spiacevole può accogliere i visitatori, come di ferraglia lavorata in una fabbrica. Poco oltre, nel cortile, una singolarissima opera, Shalechet (“Foglie cadute” in ebraico) di Menashe Kadishman, svela il mistero di quel rumore, prodotto da altri eventuali visitatori, invitati dai cartelli a utilizzare l’opera camminandoci sopra. Sono centinaia di tondeggianti pezzi di ferro, forati per creare la traccia infantile di un viso sofferente e buttati per terra come foglie, per ricoprire più volte, su più strati, la superficie del cortile: un’immagine terribile e inquietante del dolore e un modo inusuale di fruire di un’opera d’arte.

Il Museo di Libeskind rappresenta l’ingrandimento di una struttura culturale già esistente, fondata nel 1962 e ospitata in un edificio ottocentesco piuttosto anonimo, che oggi funziona da ingresso e da spazio per esposizioni temporanee; il contrasto tra quella semplice facciata e le lucide pareti metalliche, incise dalle aperture oblique, del nuovo edificio, è fortissimo e rientra nella forza espressiva del progetto. Siamo nel quartiere di Kreuzberg, non lontani dalla piazza dedicata al ponte aereo che nel dopoguerra salvò la città dall’assedio sovietico.


Veduta esterna della vecchia e della nuova parte del Museo Ebraico

Per trovare il Monumento di Eisenman dobbiamo invece ritornare nel pieno centro della città, non lontano da Topographie des Terrors. L’area prescelta e il monumento sono il frutto di un dibattito politico, culturale e artistico che ebbe inizio nel 1983 e che sicuramente non si è ancora concluso. Senza entrare nel dettaglio di una storia complessa e intricata tanto per la scelta del sito, quanto per la scelta del monumento stesso, basti ricordare che il progetto vincitore dell’ultimo concorso, nel 1997, portava la firma non solo di Eisenman, ma anche di Richard Serra e che quest’ultimo rinunciò all’incarico nel 1998. Altri cinque anni di polemiche e di compromessi dovevano passare prima che il tenace Eisenman potesse vedere l’inizio dei lavori nell’area occupata in epoca nazista dai giardini del Ministero degli Interni, a pochi passi dagli scomparsi centri del potere hitleriano e praticamente sul retro della ricostruita Pariser Platz, la piazza simbolo di Berlino, dove si trova la Porta di Brandeburgo e dove gli americani e i francesi hanno costruito le loro nuove ambasciate (a poche decine di metri si trovano anche l’ambasciata russa e quella britannica).

 

 

Il monumento con lo sfondo del retro di Pariser Platz

Si può entrare nel Monumento quando e dove si vuole, non ci sono cancelli; potrà dare fastidio, a volte, che qualche visitatore corra o scherzi dentro questo luogo inquietante che a volte rimanda a un labirinto, senza esserlo affatto, più spesso a un cimitero le cui normali strutture si stringano intorno a noi, ma è nella normalità delle cose che ciò accada. I visitatori diventano parte dell’opera e reciproco riferimento visivo.

Ma si tratta di una scultura o di un’architettura? Eisenman, architetto di fama sin dalla sua inclusione nei “Five Architects” di New York e saggista teorico di profonda capacità analitica, ha spesso dichiarato la sua ammirazione per Adolf Loos; qui forse ha voluto costruire un luogo che corrispondesse alla perentoria affermazione di Loos nel celebre saggio Architettura del 1910, “Solo una piccola parte dell’architettura appartiene all’arte: il cimitero e il monumento”.1

 


Una superficie di due ettari non può essere la base di una scultura e una scultura non può possedere mille vedute interne e mille vedute esterne; nonostante le indicazioni di qualche guida turistica o di qualche interprete superficiale, allora, il monumento di Eisenman è senza alcun dubbio una geniale, discutibile, controversa e memorabile opera di architettura, costruita nel centro della capitale della nuova Germania e costituita da una selva di parallelepipedi di cemento grigio distribuiti su una griglia ortogonale di vicoli percorribili solo a piedi. La pianta del monumento presenta infatti uno schema regolare a scacchiera, come la pianta di certe antiche città greche e romane o di molte moderne città americane. Non è per nulla regolare invece l'andamento verticale, perché le stele, tutte uguali alla base, sono tutte diverse per l’altezza e per la lieve inclinazione, creando così una forma globale imprevedibile e tormentata. Anche i vicoli, di eguale larghezza, pavimentati da grigi cubetti stesi regolarmente, non sono piani, ma si inclinano senza logica apparente, giungendo a sprofondare nel terreno in corrispondenza delle stele più alte. In un livello sotterraneo è inoltre ospitata la Fondazione che si occupa di catalogare e censire i nomi di tutti gli ebrei sterminati dalla follia nazista.

Alcuni numeri possono fornire una pallida indicazione sulla singolarità di questa costruzione: la superficie è di 19.000 metri quadrati; il primo progetto firmato da Eisenman e Serra prevedeva 4200 stele, il progetto realizzato 2711; le stele sono di calcestruzzo, prodotto in modo tale da garantire una facile pulizia della superficie esterna, larghe alla base 95 centimetri, lunghe 2 metri e 38, alte da zero fino a 4 metri e 70, inclinate tra 0,5 e 2 gradi; il peso medio di una stele è di 8 tonnellate; i vicoli sono 54 in direzione nord-sud e 87 in direzione est-ovest; l’illuminazione è fornita da 180 lampade fisse. Sul lato della Ebertstrasse sono stati piantati 41 alberi.

Nel suo discorso all’inaugurazione del monumento, il 10 maggio del 2005, Eisenman ha detto: “Non mi resta che tacere adesso e consegnare questo monumento al popolo tedesco, adesso e per il futuro, e lasciare che il vostro monumento parli a e per il popolo tedesco, e al mondo intero. Nel cuore io sono un newyorkese, ma da oggi parte della mia anima resterà per sempre qui a Berlino”.1

[Gran parte di questo articolo risale al 2007, pubblicato su una rivista d'arte oggi scomparsa.
Le fotografie sono dell'autore.] 

 

Note al testo

1 Nur ein ganz kleiner Teil der Architektur gehört der Kunst an: das Grabmal und das Denkmal.

2 For now it remains for me to become silent, to give this memorial to the German people, now and in the future, and to let your memorial speak to and for the German people and to the world. At heart I am a New Yorker, but from today, part of my soul will always remain here in Berlin.